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20150722

Grexit o della giacca di Tsipras

La versione di Yanis Varoufakis
Harry Lambert, New Statesman, Regno Unito

L’eurogruppo è controllato dalla Germania e la Grecia è stata incastrata, spiega l’ex ministro delle finanze greco nella prima intervista dopo le dimissioni

La Grecia ha raggiunto finalmente un’intesa con i suoi creditori. Il patto che ha firmato è più punitivo e severo di quello a cui il suo governo aveva cercato disperatamente di resistere negli ultimi cinque mesi. L’accordo è arrivato dopo due giorni in cui la Germania ha continuato a chiedere il controllo delle finanze greche o l'uscita del paese dall'euro.
In Europa questa conclusione ha sorpreso molti osservatori, non l’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis. Dopo le sue dimissioni e prima che fosse raggiunto l’accordo gli ho chiesto se quello che sarebbe stato deciso nei giorni successivi poteva essere positivo per il suo paese. “Semmai sarà peggiore”, ha risposto. “Voglio sperare che il nostro governo insisterà sulla ristrutturazione del debito, ma non credo che il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble l’accetterà. Se lo farà, sarà un miracolo”. È un miracolo che il popolo greco dovrà aspettare ancora per molto. Quando il 10 luglio il parlamento di Atene ha approvato un programma d'austerità che gli elettori avevano respinto a maggioranza nel referendum di cinque giorni prima, l'intesa sembrava imminente.
Una parziale cancellazione del debito che il paese ha con la cosiddetta troika – Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea (Bce) e Commissione europea – era improbabile ma possibile. Ora, nonostante la capitolazione del governo, la Grecia non ha ottenuto nessuna cancellazione e potrebbe ancora essere estromessa dalla zona euro.
Varoufakis, che si è dimesso il 6 luglio, è stato criticato per non aver trovato un accordo.
Secondo lui, però, l’accordo offerto alla Grecia non era stato proposto in buona fede e in fondo la troika non voleva neanche raggiungerlo. Durante un’intervista telefonica di un’ora con New Statesman ha definito le proposte dei creditori – quelle accettate dal parlamento greco il 10 luglio, che oggi sembrano quasi generose – “totalmente impraticabili e pericolose. Il tipo di proposte che si fanno quando non si vuole raggiungere un accordo”.
E ha aggiunto: “Questo paese deve smettere di rimandare e di fingere, dobbiamo smettere di chiedere nuovi prestiti fingendo di aver risolto il problema. Al contrario, abbiamo reso il nostro debito ancora meno sostenibile con misure di austerità che penalizzano ulteriormente l’economia e spostano ancora di più il peso sui più poveri provocando una crisi umanitaria”. Secondo Varoufakis, nei cinque mesi in cui lui è stato ministro delle finanze la troika non ha mai veramente trattato. Il governo di Alexis Tsipras era stato eletto per rinegoziare un programma di austerità che negli ultimi cinque anni ha lasciato senza lavoro un quarto dei greci. Ma, secondo Varoufakis, i creditori della Grecia lo hanno preso semplicemente in giro. Quando il 25 gennaio Syriza ha vinto le elezioni, dice l’ex ministro, sarebbe stato possibile concludere un accordo a breve termine. Si sarebbero potute concordare “tre o quattro riforme” e porre delle restrizioni alla liquidità concessa dalla Bce. Invece “i creditori hanno insistito per una ‘intesa più ampia’, e questo significava che volevano parlare di tutto. E quando vuoi parlare di tutto, in realtà non vuoi parlare di niente".
Un’intesa più ampia era impossibile. “Non ci venivano incontro su nulla”. Varoufakis ha spiegato che Schäuble, l’ideatore degli accordi firmati dalla Grecia nel 2010 e nel 2012, “è stato coerente fino alla fine. La sua posizione è sempre stata: ‘Non intendo discutere il programma: è stato accettato dal precedente governo greco e non possiamo permettere che il risultato elettorale del 26 gennaio cambi le cose’. A quel punto gli ho detto: ‘Allora i paesi indebitati non dovrebbero più indire elezioni’, e lui non mi ha risposto. Forse stava pensando: ‘Sarebbe una buona idea, ma purtroppo è difficile. Quindi o firmate o siete fuori’”. Varoufakis è stato allontanato dal tavolo dei negoziati poco dopo che Syriza è andato
al governo. È rimasto ministro delle finanze, ma è stato escluso dal gruppo dei negoziatori. Non si è mai capito bene perché. In aprile ha detto “perché all’eurogruppo” – i 19 ministri delle finanze dei paesi dell’eurozona – “io cerco di parlare di economia e nessuno lo fa”. Gli ho chiesto che cosa succedeva quando ne parlava. “Non è che la discussione andava male, si rifiutavano proprio di discutere questioni economiche. Punto e basta.
Tu presenti una proposta a cui hai lavorato, ti assicuri che sia coerente, e ti trovi davanti sguardi vuoti e inespressivi. È come se non avessi parlato. Quello che dici è indipendente da quello che dicono loro. Se avessi cantato l’inno nazionale finlandese, avrebbero avuto la stessa reazione”.
Ti schiacceremo lo stesso
Poco prima dell’accordo raggiunto il 13 luglio, i paesi dell’eurogruppo si sono divisi tra quelli che sembravano volere la Grexit (l’uscita della Grecia dall’euro) e quelli che cercavano un accordo. Secondo Varoufakis, però, su una cosa sono sempre stati tutti uniti: il rifiuto di rinegoziare. “C’erano persone che a porte chiuse mostravano simpatia a livello personale”. Tra queste c’era Christine Lagarde, direttrice del Fondo Monetario Internazionale. “All’interno dell’eurogruppo, però, si limitavano a dire qualche parola gentile per poi nascondersi dietro la versione ufficiale. Persone molto potenti ti guardavano negli occhi e dicevano: ‘Quello che dici è giusto, ma ti schiacceremo lo stesso’”. Varoufakis non ha fatto nomi, ma ha aggiunto che i governi che avrebbero potuto essere più comprensivi verso la Grecia erano i suoi “più strenui nemici”. “Per i paesi che hanno un grosso debito – Portogallo, Spagna, Italia e Irlanda – l’incubo peggiore era un nostro successo. Se fossimo riusciti a negoziare un accordo migliore, politicamente sarebbero finiti: avrebbero dovuto spiegare ai loro elettori perché non avevano trattato come stavamo facendo noi”.
Secondo Varoufakis, i creditori della Grecia avevano una strategia per tenere occupato il suo governo e farlo continuare a sperare in un compromesso. “Dicevano di aver bisogno di tutti i nostri dati fiscali, tutte le cifre delle imprese statali. Perciò abbiamo passato molto tempo a fornirglieli, a rispondere a questionari e a fare interminabili riunioni. Quella era la prima fase. Nella seconda ci hanno chiesto cosa intendevamo fare con l’Iva. Respingevano la nostra proposta, ma non ne facevano una loro. E prima di trovare un accordo sull’Iva, passavano a un altro problema, come le privatizzazioni. Sulle privatizzazioni facevamo una proposta, ma loro la respingevano e passavano a un altro argomento: pensioni, mercati, relazioni industriali. Era come un gatto che si mangia la coda”. La sua conclusione è: “Ci hanno incastrati”. E non ha dubbi su chi siano i responsabili. Gli ho chiesto se secondo lui la posizione della Germania condizioni l’atteggiamento dell’eurogruppo. Varoufakis va anche oltre: “Completamente. Il gruppo è come un’orchestra ben affiatata ma il direttore è il ministro delle finanze tedesco. Solo il ministro francese Michel Sapin ogni tanto diceva qualcosa che si discostava dalla linea tedesca. Ma quasi non si faceva sentire. E quando Schäuble decideva la linea ufficiale, il ministro francese si arrendeva sempre”.
Se Schäuble era implacabile, la cancelliera tedesca Angela Merkel mostrava un volto diverso. Anche se non ha mai trattato direttamente con lei, Varoufakis ha detto: “Da quello che ho capito lei è molto diversa. Cercava di placare Tsipras, diceva: ‘Troveremo una soluzione, non si preoccupi, non lascerò che succeda qualcosa di terribile. Faccia i compiti e collabori con la troika, non possiamo finire in un vicolo cieco’”. Questa contrapposizione sembra non sia durata molto e forse era anche voluta. Secondo Varoufakis, Merkel e Schäuble hanno il controllo assoluto sull’eurogruppo, che opera al di fuori della legge. Prima delle dimissioni di Varoufakis, quando Tsipras ha indetto il referendum sulla proposta dei creditori, il gruppo ha fatto un comunicato senza il consenso dei greci, contro le regole dell’eurozona. La decisione è stata criticata da una parte della stampa, poi è stata offuscata dal referendum. Ma Varoufakis la considera importantissima. Quando il presidente dell’eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha cercato di diramare il comunicato senza di lui, Varoufakis ha consultato i funzionari dell’eurogruppo: Dijsselbloem poteva escludere uno stato membro? La riunione è stata interrotta e dopo qualche telefonata un avvocato gli ha detto: “Formalmente l’eurogruppo non esiste, non è stato istituito da nessun trattato”.
Quindi, dice Varoufakis, “c’è un gruppo inesistente che ha un potere assoluto sulla vita degli europei. Dato che per legge non esiste, non deve rendere conto a nessuno, non è tenuto a stendere verbali, tutto si svolge in modo confidenziale. Nessun cittadino può sapere cosa si dice al suo interno. Le decisioni che prende sono quasi di vita o di morte, e nessuno dei suoi membri deve renderne conto".
Quello che è successo nelle ore precedenti all’accordo sembra confermare la versione di Varoufakis. La sera dell’11 luglio è trapelata la notizia di una nota secondo cui la Germania avrebbe voluto un periodo di sospensione della Grecia dall’eurozona. La conclusione a cui era giunto il gruppo coincideva con la proposta di Schäuble. Non è chiaro come siano andate le cose, le riunioni sono segrete. Mentre i greci aspettavano di conoscere il loro destino, non è stato reso pubblico il verbale di nessuna riunione. Anche il referendum del 5 luglio è stato rapidamente dimenticato. Era stato definito inutile dall’eurozona e molti lo consideravano una farsa, un siparietto che offriva una finta scelta, induceva false speranze e sarebbe solo stato la rovina di Tsipras quando più tardi avrebbe firmato l’accordo contro cui aveva condotto la sua campagna per il no. Come aveva detto Schäuble, un voto non poteva cambiare le cose. Ma Varoufakis è convinto che avrebbe potuto cambiare tutto. La sera del referendum aveva un piano, ma Tsipras non era d’accordo con lui.
Tre mosse
Ora l’eurozona può dettare le sue condizioni alla Grecia perché non teme più la Grexit.
È convinta che se le banche greche falliranno le altre banche europee saranno protette. Ma al momento del referendum Varoufakis pensava di poter fare ancora qualcosa: se la Bce avesse costretto le banche greche a chiudere, avrebbe potuto agire unilateralmente. Mi ha detto di aver passato l’ultimo mese ad avvertire il governo greco che la Bce avrebbe fatto chiudere le banche per costringerli ad accettare un accordo. Varoufakis era pronto a fare tre cose: emettere cambiali in euro, applicare un taglio ai bond greci emessi dalla Bce nel 2012
riducendo il debito greco, e riprendere il controllo della Banca di Grecia. Nessuno di questi passi avrebbe signiicato l’uscita di Atene dall’euro, ma l’avrebbe resa una minaccia. Varoufakis era sicuro che la Grecia non poteva essere espulsa dall’eurogruppo, la consuetudine non lo prevede. Pensava che il referendum avesse assicurato a Syriza il mandato di cui aveva bisogno per fare mosse coraggiose. Secondo alcuni è stato costretto a dimettersi proprio perché alla vigilia del referendum aveva accennato al suo piano.
La sua spiegazione è leggermente diversa. Il 5 luglio, mentre la folla festeggiava a piazza Syntagma il risultato del referendum, il consiglio dei ministri ristretto a sei persone si è riunito per discutere la sua proposta. Per quattro voti a due, Varoufakis se l’è vista bocciare e non è riuscito a convincere Tsipras. Avrebbe voluto mettere in atto il suo “trittico” quando pochi giorni prima la Bce aveva costretto per la prima volta le banche greche a chiudere. Quello del 5 luglio è stato il suo ultimo tentativo. E una volta bocciato non poteva che andarsene. “Quella notte il governo ha deciso che la volontà degli elettori, quel sonoro ‘No’, non doveva spingerci a scegliere l’approccio più energico. Bisognava cedere, smettere di negoziare”. Le dimissioni di Varoufakis hanno messo fine alla sua alleanza con Tsipras, durata quattro anni e mezzo. Si sono conosciuti alla fine del 2010: un consigliere di Tsipras
si era fatto vivo dopo che Varoufakis aveva criticato la decisione del governo Papandreou di accettare il primo salvataggio della troika nel 2010. “All’epoca non mi aveva spiegato chiaramente la sua posizione sulla dracma e sull’euro, o sulle cause della crisi, mentre io avevo idee molto precise su quello che stava succedendo. Abbiamo cominciato a dialogare e penso di aver contribuito a fargli capire quello che bisognava fare”. Ma all’ultimo momento Tsipras non è più stato d’accordo con lui. E capisce anche perché. Varoufakis non poteva garantire che la Grexit avrebbe funzionato. Dopo che Syriza era andato al governo, un piccolo gruppo di persone aveva studiato sulla carta come fare. Ma Varoufakis aveva detto: “Per gestire il crollo di un’unione monetaria ci vuole una grande esperienza e non sono sicuro che noi greci possiamo farcela senza un aiuto esterno”. Ci saranno altri anni di austerità, ma l’ex ministro sa che Tsipras ha l’obbligo di “non lasciare che il suo paese diventi uno stato fallito”. I loro rapporti sono rimasti “molto amichevoli”, ma quando il 9 luglio ho parlato con Varoufakis non si sentivano da una settimana. Anche se non è riuscito a strappare un accordo migliore, Varoufakis non sembra deluso. Sostiene di essere “felicissimo".
“Non devo più tenere quei ritmi frenetici”, mi ha detto, “erano assolutamente disumani, incredibili. Per cinque mesi ho dormito due ore a notte. Non devo più sopportare tutte quelle pressioni per negoziare un accordo che ho difficoltà a difendere”. Il suo sollievo è comprensibile. Varoufakis avrebbe dovuto trattare con un’Europa che non voleva discutere, che non temeva più la Grexit e che in pratica controllava i conti del tesoro greco. Molti commentatori pensano che fosse un istrione, e i giornalisti locali e stranieri che ho incontrato la settimana dopo il referendum ad Atene ne parlavano come di un criminale. Qualcuno non gli perdonerà mai di aver sofocato un inizio di ripresa riaprendo i negoziati. Altri lo riterranno responsabile del duro destino al quale sta andando incontro la Grecia. Ma durante l’intervista Varoufakis non sembrava preoccupato. Non ha mai alzato la voce e spesso ridacchiava. Non mostrava rimpianti. Rimarrà in parlamento e continueràad avere un ruolo all’interno di Syriza. Finirà di scrivere un libro sulla crisi e valuterà le nuove offerte degli editori. E dopo aver insegnato per due anni in Texas potrebbe anche tornare all’università di Atene. Il suo paese è imprigionato in una trappola a cui si è opposto per anni e che per mesi ha cercato di evitare, ma lui è riuscito a liberarsi.


da Internazionale nr. 1111

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