Rewind, Replay, Rebound - Volbeat (2019)
Premesso che amo il sound della band danese (con infiltrazioni statunitensi, come molti di voi sapranno patria del chitarrista solista Rob Caggiano, già con gli Anthrax) in tutte le sue sfaccettature, la mia reazione al loro nuovo disco è stata di iniziale semi-delusione, seguita da un quasi naturale innamoramento ed ingresso in una breve heavy rotation: la brevità è naturalmente dovuta al fatto che, per mantenervi sempre continuamente aggiornati, e per produrre una quantità industriale di mini-recensioni, bisogna che ascolti sempre cose nuove. Il senso di questo nuovo disco dei Volbeat, che hanno stabilito un record in patria (suonando per 48mila persone al Telia Parken di Copenhagen), lo potete evincere googlando il titolo e "recensione" (meglio se mettete "review", così avrete anche risultati in inglese), e leggendo gli incipit e i voti: i siti cosiddetti "specializzati" tendenti al metal danno la band per morta e sepolta, ormai dedita ad uno strano ibrido rockabilly/arena rock, mentre siti più imparziali, che si occupano di musica a 360 gradi, come per esempio il The Guardian, riassume salomonicamente quella che per me è la verità: i Volbeat fanno quello che pare loro, avendo già creato questo ibrido affascinante che sta a metà strada tra Metallica, Elvis, Johnny Cash e gli Stray Cats, con testi a volte interessanti, a volte divertenti, alzando i volumi delle chitarre distorte ma inserendo sax e piano a piacimento, con un cantante ogni volta sempre più bravo, e scrivendo dischi che possono essere più o meno migliori dei precedenti, ma riuscendo sempre a piazzare delle canzoni che non riesci più a dimenticare. Stavolta tocca a When We Were Kids (ma attenzione alla misfitsiana Parasite, 37 secondi di goduria assoluta), ma se vi piace il rock a tutto tondo, farete fatica a togliere il disco. Anche stavolta.
Given that I love the sound of the Danish band (with US infiltrations, as many of you will know the homeland of the solo guitarist Rob Caggiano, already with Anthrax) in all its facets, my reaction to their new album was the initial semi-disappointment , followed by an almost natural falling in love and entry into a short heavy rotation: brevity is naturally due to the fact that, to keep you constantly updated, and to produce an industrial quantity of mini-reviews, I always have to listen to new things. The meaning of this new album by Volbeat, band who set a record at home (playing for 48,000 people at the Telia Parken in Copenhagen), you can see by googling the title and "review", and reading the incipits and the votes: the so-called "specialized" sites tending to metal give the band for dead and buried, by now devoted to a strange rockabilly/arena rock hybrid, while more impartial sites, dealing with 360 music degrees, such as The Guardian, summarizes in a Solomonic way what for me is the truth: the Volbeat do what they like, having already created this fascinating hybrid that is halfway between Metallica, Elvis, Johnny Cash and the Stray Cats, with sometimes interesting lyrics, sometimes funny, raising the volumes of distorted guitars but inserting sax and piano at will, with a singer every time more and more good, and writing albums that can be more or less better the previous ones, but always managing to place songs that you can't forget anymore. This time it's up to When We Were Kids (but watch out for the Misfits-ish Parasite, 37 seconds of absolute pleasure), but if you like rock all around, you'll have a hard time removing the disc. Also this time.
2 commenti:
Al netto del giudizio su When we were kids direi che siamo d'accordo
:)
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