Love, Lust, Faith and Dreams - Thirty Seconds to Mars (2013)
Mi sono tornati in mente meno di un mese fa, quando casualmente mi sono imbattuto nel video di Do or Die, come ricorderete. Mi ero un po' stancato di loro, dopo il deludente disco precedente This Is War. Ma, come giustamente pensate voi, il mio è una sorta di dovere, di servizio al pubblico, per cui perché non parlarne, dopo averlo ascoltato.
Love, Lust, Faith and Dreams (dove il "+" sta per "and", ovviamente, nella grafica della copertina) è presentato come un concept album che tenta di sviluppare, naturalmente, una riflessione sui temi rappresentati dai quattro concetti citati nel titolo; ognuna della quattro parti è "introdotta" da una voce femminile. Ora, Jared Leto, leader della band nonché chitarrista, cantante, tastierista, nonché regista di tutti i videoclip dei singoli (sotto lo pseudonimo di Bartholomew Cubbins), nonché, al di fuori della band, attore belloccio e bravino, nonché fratello di Shannon Leto, il batterista (il terzo componente, Tomo Milicevic, tanto per allungare il brodo e ribadire il concetto, è il fratello di Ivana, modella e attrice, protagonista di Banshee), è sicuramente un ragazzo intelligente, sensibile, dotato, ma di certo non è, per dirne uno, Bob Dylan quando scrive i testi, per cui possiamo tranquillamente tralasciare la parte concept, e passare direttamente alla musica.
Non è cambiata di una virgola. I Thirty Seconds to Mars rimangono una band che potremmo, come nel caso dei My Chemical Romance, definire emo soprattutto per la ricerca di una cerca melodrammaticità musicale, quasi spasmodicamente alla ricerca dell'emozione nell'ascoltatore, di una costante epicità anthemica, del ritornello che provoca l'isteria nelle fan ed il coro da stadio tra gli spettatori dei loro concerti, anche se si tratta solo di ripetere la la la. Il riferimento costante sono gli U2 più arena rock: in City of Angels, forse il pezzo più bello e coinvolgente del disco, sembra, in alcuni passaggi, di ascoltare una cover band degli irlandesi.
Il problema è che il disco è pieno zeppo di melodie già sentite qua e là. Bright Lights è Girl Just Want to Have Fun mascherata. L'originalità è pari quasi a zero. Provano insistentemente ad innestare l'elettronica ed i sintetizzatori sul rock, oltre ai suoni da drum machine e come detto, ricercano costantemente l'epicità, cosa che Leto fa continuamente anche nei video, abusando della slow motion; il risultato, spesso, è lo stesso. Oltre ad avere un effetto ridondante, a volte si sfiora il ridicolo: esempio pratico, un pezzo come Pyres of Varanasi, ma pure Do or Die in alcune parti è veramente troppo carica di effetti, archi, diventa pomposa. Per non parlare di Convergence, tra l'altro scritta da Shannon, ma qui mi auguro si volessero concedere un divertissement.
Insomma, un disco al quale non so se concederei la sufficienza, seppure diversi episodi (Conquistador, la stessa City of Angels, seppure dal sapore di plagio, The Race, End of All Days, Northern Lights) non siano affatto male. Continuo ad avere la sensazione che se i Thirty Seconds to Mars lavorassero per sottrazione, non sarebbero male.
Nessun commento:
Posta un commento