AM - Arctic Monkeys (2013)
So che uso sempre, se non spesso, questo incipit, ma chi segue più o meno assiduamente questo blog sa che gli Arctic Monkeys, gli ex ragazzini di Sheffield, li ho seguiti con benevolenza fin dai loro inizi. Questo per diversi motivi: il primo è che il loro disco di debutto del 2006, Whatever People Say I Am, That's What I Am Not (titolo che a distanza di anni rimane geniale, soprattutto, appunto, per un debutto), fu una sferzata di energia, il secondo è che la prima volta che li vidi dal vivo fu un concerto memorabile (quella t-shirt è ancora bellissima, ed è divenuta sentimentalmente cara), la terza è che quando uscirono erano giovanissimi, quindi per me lo saranno sempre, ed è giusto sostenere i giovani.
Ora, però, sempre quelli che conoscono fassbinder, sa che non gli ho mai fatto sconti: a parte aver scritto pochissimo a proposito del secondo Favourite Worst Nightmare, ho trattato male anche i seguenti Humbug e Suck It and See, vedendo tra l'altro non di buon occhio la loro "amicizia" con Josh Homme.
Con questo AM, invece, secondo me il vento comincia a girare, anche se potrei essere semplicemente io che comincio a "capirli di nuovo". Si, perché gli ex ragazzini sono cambiati, hanno rallentato i loro ritmi, hanno cominciato a mescolare musica, e ogni tanto si divertono a pestare sui distorsori. E, sempre secondo me, con questo disco Alex Turner, il leader degli ex ragazzini nonché cantante, chitarrista e songwriter incontrastato, se si eccettuano alcune parole prese in prestito dal performance (punk) poet inglese John Cooper Clarke per la conclusiva I Wanna Be Yours, torna a scrivere gran belle canzoni. E, tra l'altro, anche quest'ultima canzone ne è un fulgido esempio.
Il disco parte molto forte, spinge sull'acceleratore, più della potenza che della velocità ad essere onesti, per tornare a navigare in acque più tranquille, ma non meno valide verso la parte centrale. Do I Wanna Know? e R U Mine (i primi due singoli) sono due mid-tempos sincopati e spezzati potentissimi, sorretti da riff da far invidia a Toni Iommi (soprattutto il secondo), maestosi, quasi epici, che però diventano soffici, nel contesto, con il cantato e i backing vocals. Sono, tra l'altro, molto simili, al punto che dormicchiando, potreste non accorgervi che la traccia è cambiata. In tempi come questi, basterebbero due canzoni, queste due. Come detto, si alza un po' il piede, ma ascoltate l'assolo di Arabella. Gli Arctic Monkeys stanno cercando di creare un genere, che se volete in pezzi come I Want It All può somigliare in maniera sospetta ai Queens of the Stone Age, ma dal lato meno duro conserva quella freschezza sbarazzina e inglese che è insita in loro. E' un esperimento interessante, che vale la pena di seguire, anche se, ad essere pignoli, ha necessitato di anni per risultare quantomeno sufficiente in maniera abbondante. La parte centrale è un po' più debole, anche se i pezzi sono sempre carini (No.1 Party Anthem, Mad Sounds), ma pian piano, nonostante non ci sia più la potenza di fuoco della prima parte del disco, i pezzi crescono: Fireside, l'ennesimo singolo Why'd You Only Call Me When You're High, ed il trittico conclusivo Snap Out of It (una delle mie favorite), Knee Socks (con Homme alle backing vocals come su One For the Road) e la già citata I Wanna Be Yours.
So che suonerà strano, ma per me questo è ancora un disco di passaggio. I ragazzi stanno lavorando per divenire davvero grandi. Io tifo per loro.
2 commenti:
Come già sai, non sono d'accordo. Sarà che avevo apprezzato molto Humbug.
ricordo. strano però, te sei anche vecchio....
:)
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