E così siamo a giovedì 24 novembre. Colazione, check out, e via verso la sede. Caffè (che qui, e anche a Bruxelles, è gratis, così come l'acqua in bottiglia; addirittura, qua a Parigi sui tavolini dello spazio pausa caffè, al mattino ci sono anche, sempre gratuiti, dei vassoi di mini croissant...), saluti, e via con i lavori. Stamattina avremo ospiti, ospiti che ormai conosco abbastanza, prima il responsabile globale per la qualità, con il quale discutiamo fino alle 12 di come migliorarla, come abbattere la percentuale di reclami, che non accenna a diminuire, nonostante i nostri sforzi collettivi, scambiandoci pareri, che, come ricorderete, era proprio il punto della riunione. Non voglio tediarvi, ma insomma, è abbastanza chiaro che alzare la qualità non fa proprio rima con tagliare le spese. Verso le 12 arrivano il capo del marketing, O, francese, grande esperienza, un tipo che mi piace per la sua determinazione e la sua gentilezza, con il quale ho avuto a che fare diverse volte (l'organizzatore della convention annuale, quella di qualche settimana fa sempre nei dintorni di Parigi; ricordo ancora con piacere quella volta che mi ha scritto dopo aver letto un mio report dove lanciavo un grido d'aiuto per la scarsità di risorse, chiedendomi se "poteva chiamarmi, perché voleva capire di cosa avevo bisogno"), ed il suo vice, JC, uno spagnolo del quale forse vi ho parlato (in giugno, in Germania, dopo che ci eravamo già conosciuti, la sera del martedì, a cena, non riusciva a smettere di ridere guardando la mia prestazione di bevitore di birra e molestatore di cameriere). Sono lì perché entro un paio di settimane avranno un incontro con i direttori di stabilimento, e vogliono sapere da noi se abbiamo bisogno di aiuto. Dopo un momento di titubanza, la platea si scalda, e partono i gridi di aiuto. Non riesco a trattenermi, anche se attendo che abbia finito di esporre l'amica T., e poi espongo il mio pensiero sulle risorse umane. Non sto a scendere in particolari. Una cosa che mi colpisce è che O., appena parto con la mia breve richiesta, apre subito l'agenda ed inizia a scrivere. Il messaggio è: ho, abbiamo bisogno di persone che sono committed, una parola che ho imparato e che secondo me non ne ha una omologa in italiano, quella che si avvicina di più è "impegnate", ma non è abbastanza. Persone che sposano una causa, che remano nella stessa direzione.
Ci salutano, hanno un altro impegno, e la riunione viene ufficialmente chiusa, tutti liberi per il pranzo, sempre nel ristorante aziendale, dopo di che tutti liberi. Pranziamo tirando le somme insieme a L., dopo di che diamo un'occhiata alla posta, e decidiamo che possiamo anche avviarci all'aeroporto. Particolare che non vi ho raccontato, di poco conto: la sera precedente, entrato in camera, tolgo di tasca i due telefoni, e li tiro sul letto. Prima il mio personale, dopo quello aziendale. Con il secondo, prendo in pieno il primo, e spacco il vetro. Siccome quello personale è quello che fa le foto migliori, e che ha durato un paio di anni, decido di ricomprarlo, e mi viene questa idea di comprarlo all'aeroporto, da vero snob. Detto questo, anche T. la spagnola deve andare a CDG, ha l'aereo più o meno alla stessa ora: la invitiamo ad unirsi a noi. Ci avviciniamo alla postazione di ricevimento per consegnare i badge temporanei e riprendere i nostri documenti, proprio nel momento del cambio delle ragazze alla reception. Hanno entrambe lo chignon, e mentre attendiamo il nuovo capo che si è dimenticato il marsupio (ahi ahi ahi...che caduta di stile!), prima di andarcene, le faccio ridere chiedendo loro se sia obbligatorio per lavorare alla reception. Rincaro la dose dicendo loro che io non potrei fare domanda. Usciamo per ripercorrere al contrario il percorso che abbiamo fatto all'andata: metro a Liège, cambio a Saint-Lazare, si sale in superficie a Opéra. Ho giusto un biglietto della metro in più per T., ma non quello per il Roissybus, ma non ci sono problemi, come detto, lo facciamo al distributore alla fermata. Il viaggio verso CDG, naturalmente più lungo a livello di tempi, per il traffico delle ore diurne, passa parlando soprattutto di lavoro con L. e T.; ci salutiamo alla fermata del terminal F, lei deve prendere un altro bus per il G, alla prossima.
Bighelloniamo in cerca di un posto dove bere qualcosa, visto che è molto presto, ma non c'è molto, e purtroppo, da quel che mi ricordo, non c'è molto neppure passati i controlli. Quando dico che, per essere un aeroporto molto grande, potrebbe essere organizzato meglio. Quindi, passiamo i controlli, e bighelloniamo per negozi, poi, come si dice in gergo, ci fermiamo lo stomaco. Vado in cerca di un negozio che venda telefoni, e lo trovo, sorprendentemente, ma nemmeno troppo, l'unico che offre questo tipo di articoli è quello della FNAC. Prendo quello che costa meno, ed è esattamente della stessa marca di quello rotto, ma un modello più nuovo. L. me lo parametrizza, copiando numeri, installando app, io son proprio negato mentre a lui piace. Al momento di scambiare la SIM, ci si accorge che ci vuole una nano, e che la mia è ancora vecchio stampo. L. si offre, l'indomani mattina, di tagliarmela ed installarla.
Ci spostiamo davanti al gate da dove imbarcheremo, con largo anticipo. Arriva il momento dell'imbarco, il volo fila liscio, il poco ritardo dell'imbarco viene recuperato, eccoci a Peretola. Ultimo sforzo, ma prima un cappuccino al bar, in chiusura (non sono neppure le 23...). Paghiamo il parcheggio, riprendiamo il viadotto dell'Indiano, la FIPILI, e poco dopo la mezzanotte siamo a casa. E domani, prima dell'alba, visto che siamo malati, si ricomincia...
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