No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100323

ancora oscar


Vi copio/incollo il testo della rubrica settimanale di Federico Rampini su D la Repubblica delle donne di sabato scorso, che parla del film vincitore dell'Oscar e della "fierezza militarista" della Bigelow. Siccome io continuo a sostenere (come feci all'epoca della sua uscita, in sordina, sugli schermi italiani) che non solo non è il suo film migliore, ma è pure, essendo un film sulla guerra, piuttosto fascista (e non solo cripto-fascista, come Rampini dice "si sarebbe detto in altri tempi"), mi è piaciuto il pezzo anche se, a mio giudizio, "ci gira un po' intorno".


"The Hurt Locker" dimostra che la religione militarista non è solo roba da maschi
di Federico Rampini
Può una donna essere intimamente, pericolosamente militarista? Credo di sì, e soprattutto dopo aver visto il bellissimo e inquietante film The Hurt Locker della regista americana premio Oscar Kathryn Bigelow. Non mi riferisco in modo generico all'attrazione che le donne possono provare per la violenza. Dalle antiche tragedie greche fino alla pittrice Artemisia Gentileschi (Giuditta che decapita Oloferne) o alle moderne spettatrici che affollano gli incontri di boxe al Madison Square Garden, è evidente che anche tra il sesso femminile e lo spargimento di sangue altrui c'è una lunga e morbosa storia d'amore. Né mi riferisco all'uso delle forze armate da parte della donna-statista: la regina Vittoria e Margaret Thatcher, Golda Meir e Indira Gandhi, furono capaci di guidare con pugno di ferro le proprie nazioni in guerra. Ma c'è una certa religione virile del guerriero, un culto del combattimento fine a se stesso, che tendiamo ad associare ai geni XY. The Hurt Locker distrugge anche questo mito. La californiana Bigelow è una donna molto bella ed è nota anche per essere stata la moglie di James Cameron (Avatar). Nessuno meglio di lei oggi ha raccolto l'eredità di Sergio Leone e di Sam Peckinpah, i registi che hanno messo in scena un archetipo del "macho" sanguinario. The Hurt Locker è un film di guerra di rara perfezione. È la cronaca di 40 giorni sul fronte iracheno vissuti da una squadra speciale di artificieri e sminatori dell'esercito americano, che rischiano la vita ogni giorno per disinnescare ordigni esplosivi. Il film ha un ritmo ossessivo. Ti sembra di sentire l'odore della morte nelle narici. Contrariamente al malcostume hollywoodiano gli effetti speciali sono quasi inesistenti, il realismo è spinto all'estremo. Il vero miracolo che compie la Bigelow è un altro: non solo t'incolla alla tua poltrona ma ti costringe a identificarti con i suoi personaggi, a parteggiare per loro anche quando sono odiosi. (In altri tempi si sarebbe detto: un film cripto-fascista). Dopo pochi minuti abbandoni qualsiasi pudore, rinunci a capire l'Iraq e gli iracheni, ti disinteressi di ogni spiegazione storica e contesto sociale. Sei risucchiato nei riti tribali di quel manipolo di guerrieri. Ti senti contagiato dalle loro ondate di adrenalina, sei attratto dal loro codice d'onore e da quell'idea arcaica di eroismo. Il pericolo, che è la loro droga, diventa la tua droga davanti allo schermo. Sul Los Angeles Times una collega giornalista si è arrampicata sugli specchi per teorizzare che Kathryn Bigelow è una femminista, che con questo film avrebbe eseguito una sottile "de-strutturazione della logica maschile". Balle. Andatelo a vedere e capirete perché ho ragione io. Perfino nelle scene dove la violenza è allo stadio bruto - le scazzottature tra soldati ubriachi - si sente benissimo che la regista sta incollata alla pelle dei suoi personaggi, condivide i legami che si formano tra loro, è una complice astuta e maliziosa di quel gioco. Quel che fa paura è che The Hurt Locker è un film maledettamente intelligente, raffinato. Non è roba per maschietti adolescenti cresciuti a videogame, con sangue a fiotti e violenza all'ingrosso. Qui la violenza spesso è centellinata col contagocce, in un sublime crescendo di tensione. Il culto del guerriero porta con sé una parallela venerazione della manualità, della tecnica: uno degli eroi-protagonisti cresce di statura ai nostri occhi via via che seguiamo i suoi gesti precisi mentre disinnesca i detonatori, in una sfida a orologeria contro la morte. The Hurt Locker l'ho visto al cinema Lincoln di Manhattan. In una sera in cui la sala era piena di donne. Alcune erano sole: attente, concentrate, appassionate. Ho ripensato quella sera alle donne sempre più numerose che si arruolano nell'esercito americano. Ho ripensato alle banalità con cui un sociologismo femminista e di sinistra spiega il fenomeno (si arruolano, naturalmente, per bisogno; perché "non hanno alternativa": lo stesso si può dire di tanti loro colleghi maschi). Sono tutti sotterfugi, per non vedere che la donna può essere non solo combattente per necessità, ma militarista e fiera di esserlo.

Nessun commento: