Turn Blue - The Black Keys (2014)
E alla fine, parliamone, soprattutto per l'amico Damiano, che mi aspetta al varco. No, anzi: parliamone perché The Black Keys sono decisamente una delle cose più importanti del rock negli ultimi anni. Sommariamente, tutti quanti hanno concordato che questo loro ottavo Turn Blue è stato inferiore al precedente El Camino. Beh, in un certo senso era inevitabile; ma ci sono quelle pietre miliari, quei momenti di svolta nelle carriere, nei percorsi delle vite delle band musicali, che è giusto rimangano inarrivabili. Detto questo, sbollita l'iniziale delusione, riprendendo (anche per i reminder dell'amico citato prima) "in mano" Turn Blue, ecco che si fa strada una domanda retorica: cosa ha che non va, che non funziona, questo nuovo (uscito il 12 maggio 2014) disco del duo di Akron, Ohio? Bene, se vi capita di fare come me, cioè di rimettervi all'ascolto di questo disco dopo qualche mese, sono abbastanza sicuro che la risposta che vi darete sarà la stessa che mi sono dato io: niente, assolutamente niente di sbagliato o fuori posto. E' davvero un bel disco, a tratti sorprendentemente delicato nella sua commistione di garage, blues e soul, venature "nere" nella ruvidezza del rock, e quel tocco giocoso delle tastierine tipo Farfisa, come nell'intro di Fever, che rende il tutto meno serioso ma non per questo meno accattivante. Auerbach, Carney e Brian Danger Mouse Burton (quest'ultimo ancora una volta presente come sul precedente disco, ormai praticamente terzo componente, produttore e compositore alla pari) sono dei genietti del songwriting, i pezzi sono inattaccabili presi uno per uno, il drumming di Carney è un marchio di fabbrica e Auerbach da una parte canta come un moderno Al Green, dall'altra sembra che ogni tanto si svegli e pensi di essere Santana. Smaltito l'hype, probabilmente da loro non voluto, che è derivato dal successo mondiale di El Camino, disco che li ha consacrati come fenomeno mainstream, tirandoli fuori dallo scaffale dell'alternative (e anche su questo si potrebbe discutere, la cosa vale per chi sta fuori dagli States, visto che là era già da un po' che i The Black Keys non erano più di nicchia) e che gli ha dato quella visibilità che si meritano fino all'ultimo cent, Turn Blue ci ricorda chi sono i The Black Keys: una band formidabile che riesce a mescolare con disinvoltura alcuni dei generi che hanno distinto la produzione musicale statunitense, e dei fantastici compositori, ed interpreti, di canzoni da "bere" quasi senza accorgersene. Infatti, questi 11 pezzi passeranno in un lampo, nessuno di loro vi annoierà, e alla fine vi rimarrà solo da premere il tasto repeat e cominciare di nuovo...
El Camino was the album that pulled them out of the niche of the alternative, but it is well to remember that this has happened in countries outside the USA. This Turn Blue has suffered initially comparison with the previous disc. But if you put it back to listening to this album with an open mind, you will realize that The Black Keys are a formidable band, which once again has produced a near perfect disc. Rock, blues and soul mixed with a decidedly uncommon wisdom.
2 commenti:
Damiano
Grande Ale...grazie x la citazione...e anche se il disco non "brucia" come el camino,ci ha pensato la tua recensione a "scaldare" il mio cuore...grande...
Condivido al 100% ogni singola sillaba.
Aggiungo solo che nel mio caso la fine dell'ascolto non ha comunque cancellato un pizzico di "...si però El Camino..."
Bartelloni
Posta un commento