C'è stato un momento, dopo aver ripreso l'ascolto di questo terzo disco della band svedese, in cui mi sono chiesto: "ma che senso ha?". La domanda andava naturalmente verso la comprensione del senso di essere l'ennesima band clone dei Black Sabbath, una band che come sapete io osanno, ma che per la cronaca, si ostina ad esistere senza in realtà riuscirci. Devo ammettere che, forse per la prima volta, la cosa mi ha infastidito. Ecco, questo è bene dirlo, soprattutto per quella cosa che si chiama (con una definizione orrenda, ammetto pure questo) onestà intellettuale. A volte mi sorprendo (a volte no), per quanto so essere paradossale. Infatti, mi esalto per cose completamente nuove, spingo artisti o band che, come i grandi navigatori della metà del millennio scorso, si spingono oltre i confini conosciuti, per cercare, e a volte trovare, qualcosa di completamente nuovo. E a volte, come nell'atto masturbatorio, mi sorprendo dandomi piacere ascoltando band come queste, che non aggiungono assolutamente niente a quello che è già stato detto, anzi, fanno di tutto per farti esclamare "questo viene da qui, quest'altro viene da qua".
In breve, Motherload, come detto terzo full length del quartetto svedese, è un disco tutto giocato sulle reminiscenze sabbathiane, con un tocco di Iron Maiden spruzzato qua e là, soprattutto durante gli assoli di chitarra. Le canzoni sono ben composte e ben suonate, la voce di Niklas Sjoberg ricorda quella di Ozzy, il disco è piacevole nel suo complesso e ti riporta indietro di almeno 30 anni, se non di 40.
Se questi ragazzi sono felici suonando questo genere musicale, chi sono io per dire che fanno male?
Third album by the Swedish band, which simply takes the songwriting of Black Sabbath, plus a little Iron Maiden-style of guitar solos. Nothing new, but absolutely well played and constructed. Who am I to say no?
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