The Mill - di John Fay - Stagione 1 (4 episodi; Channel 4) - 2013
1830, Quarry Bank, Cheshire, Inghilterra. The Mill è una fabbrica tessile, di proprietà della famiglia Greg. Un terzo della forza lavoro è formato da bambini, detti apprendisti, legati da un contratto che li obbliga a rimanere a servizio fino al compimento dei 16 anni di età. Per lo più si tratta di orfani, venduti dalle case di accoglienza ai padroni per pochi spiccioli. Dire che sono schiavizzati è forse poco. Dormitorio spoglio e ben più che essenziale, e lavoro dall'alba al tramonto, lavoro di fatica, molto fisico e pericoloso. Angherie da parte dei supervisori, a bizzeffe. Ad esempio, il poco gentile sorvegliante Charlie Crout, concede spesso attenzioni particolari alle giovani lavoranti; un giorno particolarmente poco felice, obbliga con la forza Miriam a lasciare il suo posto per molestarla (eufemismo) sessualmente, e questa assenza porta ad un grave incidente. Purtroppo, nessuno è disposto a rischiare le ire dei padroni per denunciare apertamente la negligenza e il comportamento inaccettabile del sorvegliante. Quasi nessuno.
Poco distante, nella città di Manchester, poco prima della sua comparizione davanti alla commissione parlamentare sulla legislazione delle fabbriche, l'ambizioso Robert Greg, uno dei figli di "padron Samuel", visita in prigione Daniel Bate, un giovane e molto capace meccanico. Daniel è in prigione per debiti, ed è pure stato schedato per le sue attività politiche; Robert è lì per fargli una proposta molto vantaggiosa economicamente.
Ispirata ad un luogo realmente esistito, il Quarry Bank Mill, e alle storie legate a quel luogo non lontano da Manchester, la prima stagione di The Mill, scritta da John Fay, sceneggiatore inglese tendente alla soap, è stata piuttosto criticata dalla stampa inglese, che l'ha giudicata troppo seria per non ridere (The Indipendent), non sufficientemente intrigante per mantenere l'audience, nonostante un socialismo reale degno di The Village (sempre The Indipendent), pieno di clichés e di guai (The Telegraph). Naturalmente, a me non è dispiaciuta, tanto che sto cercando di procurarmi in qualche modo la seconda stagione, andata in onda nell'estate del 2014.
E' vero che si punta sulla drammaticità "facile", di tanto in tanto, ma sono piuttosto convinto che la vita, per chi non aveva niente, non fosse così "rose e fiori" a quei tempi. Per cui, ben venga la "cupa palude di guai", l'angheria mascherata da filantropismo, le opere di bene perpetrate da una famiglia che praticava lo schiavismo dall'altra parte dell'oceano. Ben vengano gli albori del sindacalismo, rappresentato dallo "scapigliato" Aidan McArdle nei panni di John Doherty (storico sindacalista di origini irlandesi), e dal personaggio protagonista Daniel Bate, interpretato da Matthew McNulty, che qui somiglia vagamente al "nostro" Mastandrea.
Deliziosa Kerrie Hayes (una particina in Nowhere Boy), che dà viso (un viso decisamente inglese) e corpo all'altra protagonista Esther Price (ecco, mi ha colpito questa cosa: i due protagonisti principali sono legati, ma non sentimentalmente), capace di un'espressività non comune. La sua rabbia, la sua indignazione, il suo fervore, vorremmo fosse il nostro anche oggi, dinnanzi alle ingiustizie.
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