Gone Girl - di David Fincher (2014)
Giudizio sintetico: si può vedere (3,5/5)
E' il giorno del quinto anniversario di matrimonio di Nick e Amy. Nick torna a casa e trova una stanza messa a soqquadro. Amy non c'è. E' sparita nel nulla. Nick denuncia la sparizione alla polizia. Cominciano le ricerche, le indagini, i sospetti, e soprattutto, la "copertura" mediatica. Nick è il primo sospettato. Alcuni retroscena sembrano convergere su di lui. Perfino la di lui sorella gemella, Margo, a lui legatissima, sospetta di lui. I genitori di Amy diventano diffidenti. Nick non è certo uno stinco di santo, e le cose tra di loro non andavano bene. Eppure, c'è qualcosa che non quadra. E infatti...
Tratto dall'omonimo best seller di Gillian Flynn, che ne cura anche la sceneggiatura, Gone Girl è un ottimo esercizio di stile da parte del più che bravo David Fincher. Un giallo complesso, godibile anche e forse soprattutto da quelli come me che non sono troppo svegli, e soprattutto non sono molto interessati a risolvere gli intrecci di questo genere con un po' di anticipo. La costruzione è invidiabile, e il giallo diventa una sorta di sfida nel momento in cui si svelano le ragioni della sparizione.
Gone Girl è uno di quei casi in cui non si può parlare male di un film, che in ogni modo risulta piuttosto avvincente per lo spettatore, ma che a dispetto dell'ottimo intreccio, delle interpretazioni interessanti, della tecnica sopraffina col quale è girato, della sconvolgente possibilità che una storia del genere possa essere anche vera, ma che, al tirare le somme, risulta un film che tende a non lasciare una traccia indelebile nella memoria del cinefilo appassionato. Ed è uno di quei casi in cui il commentatore si trova di fronte all'enorme difficoltà di motivare questa sensazione, che ancora oggi, a distanza di più o meno un mese dalla visione, mi pervade.
Per la mia bontà d'animo, tenderei ad escludere che il motivo sia da addebitare al fatto che il protagonista sia Ben Affleck (Nick Dunne). Affleck è uno di quegli attori che continua a provarci, ma che non sarà mai un fenomeno, e questo lo dico pur sapendo che ha ragione lui, vista la notevole differenza dei nostri conti in banca.
Non è questo. Non è solo questo. Anche Rosamund Pike (Amy Elliott-Dunne), nominata per l'Oscar (non vinto) e vincitrice di alcuni premi per questa interpretazione, risulta abbastanza fredda e spietata per la parte, ma a mio giudizio non abbastanza. Le interpretazioni migliori vengono dai co-protagonisti, come quella di Tyler Perry nei panni dell'avvocato di Nick Tanner Bolt, o quella di Carrie Coon (il fatto che solo digitando il suo nome su google immagini abbia realizzato che è la stessa attrice che ha interpretato il fantastico personaggio di Nora Durst in The Leftovers depone a suo favore) nei panni di Margo, la sorella di Nick.
Ma tutto ciò ci allontana dal nocciolo della questione: perché non mi è piaciuto fino in fondo questo film, a dispetto anche del finale massicciamente caustico sulla questione apparire versus essere, da me molto apprezzato? Continuo a non saper rispondere precisamente, anche se posso provare a buttare lì un "è talmente ben fatto che manca di cuore". E qui mi sorge un dubbio, ulteriore, ancor più profondo: è probabile che io non abbia capito per niente il senso della storia? E cioè, che proprio non avere un cuore fosse il punto?
Con questo dubbio, vi lascio decidere se vedere questo film o no. Cosa che vi consiglio, a dispetto dei miei dubbi.
2 commenti:
Appena visto, Ale.
Fino a due terzi è fenomenale, poi secondo me cala.
Non so se si tratta di insoddisfazione per il finale amarissimo o perché viene a
mancare la sospensione dell'incredulità.
non so. quel che so è che:
1)ho visto quel film a Cusco, ed ero ancora sotto l'effetto del mal d'altura
2)ho riletto forse per la prima volta 'sta recensione e, beh, io non sono mai di manica larga nei confronti di me stesso ma diamine, è scritta da dio!!
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