No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20150924

12 anni da schiavo

12 Years a Slave - di Steve McQueen (2014)
Giudizio sintetico: da vedere (4/5)

Solomon Northup. Nato probabilmente nel 1807 a Minerva, New York (Stati Uniti d'America), da una donna libera e da uno schiavo liberato (Mintus), prese il cognome del padrone del padre, Henry Northup, che aveva liberato Mintus intorno al 1798. Naturalmente afro-americano, contadino, falegname e violinista, nel 1829 sposò Anne Hampton, una mulatta che di mestiere faceva la cuoca, e con lei ebbe tre figli (nel film sono solo due). Vissero a Hebron, New York, fino al 1834, dopo di che si trasferirono a Saratoga Springs, New York. Nel 1841, fu avvicinato da Merrill Brown e Abram Hamilton (nomi falsi di Alexander Merrill e Joseph Russell), che gli fecero un'offerta di lavoro molto allettante, come musicista in un circo. Fu portato a Washington per una prova, invitato a cena fuori, drogato, e quindi rapito, venduto a James H. Birch, mercante di schiavi, quindi tratto in schiavitù, portato verso New Orleans via nave, rinominato Platt Hamilton, venduto come schiavo, inizialmente a William Ford, predicatore battista e proprietario di una piantagione di cotone in Louisiana, regione del Red River, dove, cambiando vari padroni, rimase schiavo per 12 lunghissimi anni.


La schiavitù è indubbiamente una delle vergogne del genere umano; purtroppo, è stata praticata a lungo, e non solo dagli statunitensi verso gli africani. La storia di Solomon Northup è diventata molto famosa, soprattutto negli USA, proprio perché Northup era un uomo libero, afroamericano negli Stati Uniti ma libero, ed è stato probabilmente l'unico afroamericano a rimanere vittima di rapimento e messa in schiavitù a riacquistare la libertà. Ovviamente, c'è un sottile velo d'ipocrisia, in questa fama: anche le migliaia di africani messi in schiavitù dai negrieri, e portati negli USA sulle navi schiaviste, erano uomini liberi. Come che sia, la storia di Northup è straziante, e merita di essere raccontata: questo film di Steve McQueen è l'ennesima (ma, probabilmente, la più famosa). Nel 1853, lo stesso Northup, assistito da David Wilson, avvocato di New York, pubblicò la sua autobiografia. Ristampata nel 1869, fu dimenticata per cento anni. Sempre nel 1853, il New York Times dedicò una intera pagina alla storia di Northup. Nel 1968, le ricercatrice storica Sue Eakin, effettuò ricerche mirate e pubblicò un libro che riprendeva la storia, il titolo originale dell'autobiografia, e lo arricchiva dei risultati di queste sue ricerche. Nel 1984 la PBS realizzò e mandò in onda Solomon Northup's Odyssey, diretto da Gordon Parks.

Insomma: Steve McQueen, dopo averci scioccato dapprima con Hunger, poi in maniera diversa con Shame, decide di raccontare ancora la storia di Northup, in maniera spettacolare perché fatta con un budget alto e un cast stellare, ma adotta esattamente il taglio che ci si attendeva da lui, poco didascalico, molto diretto e brutale.
Il film ha qualche intermezzo onirico, qualche taglio rispetto alla storia vera, ma arriva al punto senza girarci troppo intorno. Ed è pressoché perfetto, se non fosse che Paul Dano (John Tibeats) è adatto forse a tutto ma non certo ad un ruolo da carpentiere schiavista sadico e vendicativo, e Brad Pitt (Samuel Bass) è una scelta un po' troppo patinata (è ancora troppo bello e troppo biondo) per incarnare l'uomo che riesce a rischiare tutto per ridare la libertà al protagonista.
Ejiofor (Solomon Northup) e Nyong'o (Patsey; Oscar per miglior attrice non protagonista) sono molto intensi, Fassbender (Edwin Epps) fa sempre la sua porca figura, e pure Sarah Paulson (Mary Epps) non è niente male.
Oscar come miglior film nel 2014, decisamente da vedere.

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