Arrivo fino ad un grande mall all'americana, mi infilo dentro giusto per vedere com'è (in realtà sapevo che al quinto piano c'è la sede di Al Jazeera Balkan, e volevo poter dire di esserci stato), bighellono ancora, faccio una certa, rientro in albergo, controllo le email, esco per la cena e torno al To Be (or not) To Be (stavolta bistecca alla salsa di burro di noccioline, non buona come quella della sera precedente, purtroppo), rientro ancora e mi guardo un po' di telefilm. Domani Srebrenica.
La fiamma eterna in memoria dei caduti durante la Seconda Guerra Mondiale |
Gli scacchi giganti |
Stamattina la partenza è abbastanza presto, attorno alle 8, sempre davanti all'agenzia, che come vi ho già ripetutamente detto è a due passi dall'albergo, quindi più che agevole. L'autista è un ragazzone simpatico, i partecipanti sono altri tre, oltre a me: una ragazza thailandese e due ragazzi inglesi, ma entrambi di chiare origini arabe (scoprirò che uno ha i genitori iraniani, l'altro iracheni), e interessatissimi alla cultura bosniaca, alla convivenza religiosa in Sarajevo e dintorni, e naturalmente a quello che accadde a Srebrenica. Il viaggio è di un paio d'ore abbondanti, ma la giornata è molto bella, e l'autista, che fa anche da guida, è un chiacchierone che ci racconta la sua versione della storia, ma non si nega neppure a domande sull'attualità, la situazione politica, economica, industriale. E' abbastanza ovvio che quella guerra ha lasciato ferite che stentano a rimarginarsi, lui, come quasi tutti, hanno vissuto l'assedio, sofferto, combattuto, insomma, è più che comprensibile che, pure se a distanza di 23 anni, sia così. A Srebrenica arriviamo direttamente all'enorme cimitero delle vittime del massacro, radunate dalle fosse comuni. In realtà, non sono tutte, perché molti corpi delle vittime si stanno ancora cercando, e sulle fosse comuni i serbi, almeno, chi sa, sono ancora reticenti. Gironzoliamo per l'imponente cimitero in attesa di un sopravvissuto. In realtà, facciamo conoscenza con questo giovane, che era giovanissimo all'epoca (otto anni), e che nel massacro ha perso il fratello gemello ed il padre, e adesso si è dedicato alla custodia della memoria di quel fatto. Stiamo quindi aspettando una gita scolastica italiana, pensate un po', dopo di che, il tipo racconterà brevemente la sua esperienza, e l'accaduto.
Tralasciando il fatto che mi tocca ascoltare sia il tipo, che la traduzione, a dire il vero a volte un po' tirata via, dei professori degli alunni italiani, verso la fine della storia noto con piacere che un paio di ragazzine stanno piangendo. In realtà lo sto facendo anch'io, anche se faccio di tutto per non dare nell'occhio. Mi stava facendo male al cuore guardare questi giovani italiani che guardavano il telefonino o nel vuoto, persi nei loro pensieri vacui.
Ci muoviamo, si esce dal cimitero/memoriale, attraversiamo la strada, ed eccoci in mezzo ai capannoni e alle vecchie infrastrutture industriali, già all'epoca dismesse, che ospitavano il contingente olandese delle Nazioni Unite. A pranzo, l'inglese/iraniano domanderà alla nostra guida come i bosniaci musulmani vedono gli olandesi. Dentro, una serie di foto di madri e familiari in lacrime. Nel centro, una sala di proiezione, dove ci viene mostrato un documentario della BBC, che qualche anno fa fece scattare l'indagine per crimini di guerra. La visita lì è terminata, e saluto il sopravvissuto quasi singhiozzando, ringraziandolo di aver condiviso per l'ennesima volta la sua disavventura. E' curioso notare come questa persona abbia fatto della sua tragedia personale una sorta di impiego, ma sinceramente non ci trovo nulla di indecoroso, anzi.
Il cimitero e la memorial room sono qualche chilometro prima di Srebrenica. La cittadina è minuscola, risaliamo sul minibus e andiamo a pranzo presso un ristorante di fiducia, probabilmente uno dei pochi del luogo. La discussione a tavola è pacata, perfino divertente, la nostra guida sembra uno che ha "elaborato il lutto" con molto equilibrio e pragmatismo, e si finisce a parlare perfino di calcio, naturalmente. Il rientro è ovviamente più silenzioso, ma va bene ed è giusto così. Si rientra nel tardo pomeriggio, e devo ammettere che questa giornata di oggi, che ha rinforzato il mio personale senso di colpa per quella guerra, è stata una delle esperienza più emotivamente coinvolgenti che mi è capitato di fare nei miei recenti viaggi.
La sera, dopo il solito rituale, tento di trovare posto, senza aver prenotato, all'Inat Kuca, ma mi rimbalzano, quindi dirotto su un altro ristorante vicinissimo all'hotel, di ispirazione turca, e devo dire che non posso far altro che confermare che a Sarajevo si mangia davvero bene.
Domani mattina, domenica, di buon'ora me ne andrò da Sarajevo, sicuramente arricchito e affascinato da questa città.
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