Giudizio sintetico: si può vedere (3,5/5)
Sinan è un aspirante giovane scrittore che ha appena finito il college. Tornato nella sua città natale di Çan, si mette a cercare finanziamenti locali per pubblicare il suo manoscritto d'esordio, che lui definisce un "strano meta-romanzo auto-fiction", ma scopre che la gente del posto non è interessata. Scopre anche che il suo eccentrico padre, Idris, ha permesso alla sua dipendenza dal gioco d'azzardo di ridurre disastrosamente la fortuna e la statura della famiglia. Preoccupato per le sue prospettive di carriera e ritrovandosi socialmente isolato nella sua città natale rurale, Sinan vaga per la campagna e si impegna in una serie di conversazioni irritabili con vari parenti e gente del posto, tra cui uno scrittore affermato e due imam che hanno opinioni diverse sul posto della religione nel mondo moderno. (Wikipedia)
Se non fosse per Ceylan, probabilmente della Turchia di oggi, al di fuori delle proteste, di Istanbul e del suo "padre-padrone", non sapremmo niente, o davvero poco. E invece, ogni volta, ad ogni lungometraggio, con il suo stile a metà tra la poesia pura, il surrealismo e il neo-neo realismo, il regista turco ci racconta storie semplici e immense, universali e spesso, indimenticabili. Come questa.
If it were not for Ceylan, we would probably know nothing, or very little, about Turkey today, outside of the protests, Istanbul and its "father-master". And instead, every time, with every feature film, with his style halfway between pure poetry, surrealism and neo-neo realism, the Turkish director tells us simple and immense stories, universal and often, unforgettable. Like this one.

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