No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20111113

depressione



Melancholia – di Lars Von Trier (2011)



Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)
Giudizio vernacolare: se tanto tanto vi sentite tristi un ciandate a vedello

Justine e Claire. Due sorelle. Diverse. Justine decide di sposare Michael, un ragazzo bellissimo che la ama profondamente. Claire decide di organizzare la festa di matrimonio nella sfarzosa tenuta dove vive insieme al marito John, al figlio Leo, dove regna l’ordine dettato dal maggiordomo Little Father. Organizza il tutto un wedding planner esperto ma suscettibile. La festa è all’altezza della tenuta, ma comincia in ritardo: la limousine degli sposi non riesce a far manovra nella stretta stradina che porta al castello (lo possiamo tranquillamente definire anche così). Il prosieguo della serata ci mostrerà che Justine, bravissima creativa, ha dei grossi problemi nervosi.
Nella seconda parte, il focus si sposta leggermente su Claire, ma soprattutto sull’avvicinarsi alla Terra di Melancholia: un pianeta interstellare che si sta avvicinando al nostro come mai era successo. Che sia la fine del Mondo? John cerca di rassicurare Claire, che sta entrando nel panico.

C’è poco da fare: per quanto alcuni amanti del cinema possano odiare il regista danese, da lui ci si aspettano sempre grandi cose. E, del resto, grandi cose ha fatto. Per quanto possa ammirarlo personalmente, però, devo dirvi onestamente che questo Melancholia gira a vuoto per almeno 90 minuti su 130 (e vi assicuro che sono stato magnanimo: in realtà, il film poteva limitarsi al breve dialogo tra le due protagoniste, quello sulla fine del mondo, posto poco prima del finale). Di Lars va apprezzata sempre e comunque la ricerca anticonformista, il coraggio di osare sempre; le prime due righe della sua bio su imdb.com riassumono il personaggio alla perfezione: “Probably the most ambitious and visually distintive filmmaker to emerge from Denmark since Carl Theodor Dreyer”.
Ecco quindi che il film si apre con una sorta di riassunto “pittorico” del finale, fotogrammi fermati attorno ai quali ruota la telecamera, sulle note del Tristan und Isolde di Wagner. Fotografia perfetta, impregnata di colori scuri, apocalittici (appunto). Von Trier, espressamente, voleva che lo spettatore non fosse disturbato dalla suspence, ma che si concentrasse su come le due sorelle protagoniste reagiscono all'approssimarsi della fine del mondo. Ecco quindi che, anche assecondandone il ragionamento, soprattutto la prima parte (intitolata “Justine”, come il personaggio interpretato da Kirsten Dunst), che, in pratica, è una sorta di Festen (dell’allievo Thomas Vinterberg, uno dei film girati secondo le regole Dogma) un po’ più breve, che serve a farci capire che Justine è instabile (il suo personaggio nasce da uno scambio di lettere tra il regista e Penelope Cruz, si basa sulla depressione di Von Trier stesso, e in un primo momento ovviamente era stato offerto all’attrice spagnola), risulta abbastanza inutile, se non fosse per il wedding planner interpretato dall’immenso Udo Kier in versione vagamente gay, che ci fa fare qualche risata. Ed è un peccato, anche perché c’è pure Alexander Skarsgard (Michael), ormai conosciutissimo per la sua parte in True Blood (Eric Northman), per la prima volta finalmente con Von Trier e in una delle poche volte in cui divide lo schermo col padre Stellan (Jack, il capo di Justine). La seconda parte (intitolata naturalmente “Claire”, interpretata da Charlotte Gainsbourg, alla quale, dopo aver girato con/per il danese il precedente Antichrist, questo Melancholia deve essere sembrato una passeggiata), solo leggermente più stringente, si specchia molto nella propria immagine, per dire che gira ancora a vuoto per una buona parte, riducendosi ad un tutto sommato gradevole confronto di due belle prove attoriali (Kirsten e Charlotte, guarda caso due delle mie preferite) senza però toccare lo spettatore nel profondo, non riuscendo a destabilizzarlo o a far passare l’angoscia che attanaglia il personaggio di Claire.
Rimane quindi un film troppo lungo, ben recitato (la Dunst è stata premiata all’ultimo festival di Cannes come miglior attrice, ed è effettivamente brava, anche se la Gainsbourg non le è da meno) e fotografato splendidamente, dove la musica è volutamente pomposa ed apocalittica (il già citato Tristan und Isolde di Wagner), con molte inquadrature ispirate alla pittura; ma è un po’ poco, per Lars Von Trier.

6 commenti:

massi78 ha detto...

quando leggo "fotografia perfetta" e "fotografato splendidamente" mi viene il dubbio che non abbiamo visto lo stesso film.

jumbolo ha detto...

no dai non mi dire che ho sbagliato film!!
:))

Roberto ha detto...

Ho visto gente uscire di sala vagamente disgustata e pur amando alcuni suoi film del passato, le onde del destino su tutti, devo dire che mi ha lasciato molto ma molto perplesso. Ormai si fa a gara a chi fa il film più pesante e lento, dicono che il Faust di Sokurov sia anche peggio!

jumbolo ha detto...

:))

cipo ha detto...

Ale, se ti ha impressionato l'uso del Tristan und Isolde mi piacerebbe che tu vedessi il film a episodi Aria, se non l'hai già visto, e mi dicessi che ne pensi dell'episodio firmato da Franc Roddam che usa appunto la musica di Wagner come contrasto agli scenari francamente assurdi di Las Vegas. Secondo me visualmente e acusticamente emozionante, e non solo per l'incredibile performance di una giovane e conturbante Bridget Fonda.

jumbolo ha detto...

prendo nota.