No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20100731

going to america


In America - Il sogno che non c'era - di Jim Sheridan 2004


Giudizio sintetico: da vedere (3/5)

Giudizio vernacolare: che vita dé


Una famiglia irlandese si trasferisce a New York (non si capisce bene se per necessità o per sfuggire ad un passato doloroso, la morte del figlio maschio); lei insegnante si adatta a lavorare in gelateria, lui attore si reinventa tassista, le due (splendide) figlie vivono la difficoltà dell'inserimento in una società del tutto nuova (la spiegazione sul significato di Helloween della grande è da storia del cinema) con occhi disincantati, ma anche partendo dal basso (il condominio e il quartiere è uno dei più malfamati) sono capaci di "trovare" la chiave della storia (il vicino pittore malato di AIDS che aiuterà tutta la famiglia ad elaborare e risolvere il lutto).


Un paio di difetti, questo film (semi) autobiografico (anche il fratello del regista è morto; la sceneggiatura è stata scritta dalle due figlie, una delle quali è la voce off nella versione originale) di Sheridan ce li ha; va avanti un po' a scatti, alternando momenti intensi ad altri meno, e si perde un po' mettendo sul piatto alcuni temi irrisolti (un esempio su tutti: la sanità USA).

Ma, in definitiva, risulta un buon film, toccante, onesto, nervoso nella regia e con una splendida prova del cast.

Le bambine, entrambe (Sarah ed Emma Bolger), sono da Oscar.

20100730

The Blues: From Mali to Mississippi


The Blues: dal Mali al Mississippi - di Martin Scorsese 2003


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: ooohhhhh yeeeeeeah!


Corey Harris, filmato da Martin Scorsese, compie un viaggio alle radici della musica nera per la seconda parte del progetto "The Blues" (7 film, il primo dei quali "L'anima di un uomo" di Wim Wenders già uscito, gli altri saranno diretti da Charles Burnett, Clint Eastwood, Mike Figgis, Marc Levin e Richard Pearce; Scorsese è il produttore esecutivo dell'intero progetto).


Molto bello il "tour" del Delta del Mississipi, con testimonianze di vecchie glorie e performance estemporanee, il senso di prosecuzione, l'attenzione a preservare le tradizioni musicali.

L'ultima parte in Africa, in Mali, è tanto avvincente dal punto di vista umano e visivo (affascinante quando sottolinea l'importanza della musica per l'uomo, quanto la musica sia cultura), quanto inappropriata quando si ascoltano le teorie di Ali Farka Touré (oltre che non tenere conto dell'autonomo sviluppo del blues negli USA, puzzano un po' di razzismo "alla rovescia"); globalmente il "viaggio" del film fa risaltare un interessante (quanto ovvio) legame tra musica africana e blues americano, e riporta alla luce diversi grandi personaggi della storia del blues.


Un po' più documentario rispetto al film di Wenders, questo film è consigliato ai soli appassionati di musica.

20100729

don't move (again)


Non ti muovere - di Sergio Castellitto 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: pop' di tronata ti picchia leilì dé


Tratto dal vendutissimo, omonimo libro di Margaret Mazzantini (l'autrice fa un'apparizione nella scena finale), il film di Castellitto non mi ha convinto fino in fondo.

Timoteo, chirurgo pieno di sensi di colpa e con l'infanzia segnata dall'abbandono del padre, ripercorre la sua vita e i suoi errori a beneficio della figlia, che sta subendo un pericoloso intervento al cranio, per mano di un amico di Timoteo, a causa di un terribile incidente; nella mente di Timoteo, tutto questo può servire per non lasciarla andare verso la morte.

Il film è senz'altro ben diretto (gli attori sono tutti "giusti", forse i due protagonisti, la Cruz e Castellitto, un po' sopra le righe, ma i ruoli lo richiedono) e ben girato (belle inquadrature ma asciutte, eleganti i movimenti di macchina); la trama però risulta piuttosto prevedibile, e i personaggi minori poco caratterizzati; tutto ciò fa si che gli struggimenti personali dei protagonisti siano lasciati un po' troppo alle recitazioni (che comunque sono all'altezza) e all'intuizione dello spettatore.

Un buon film, che però a mio parere manca di qualcosa.

20100728

house of 1000 corpses


La casa dei 1000 corpi – di Rob Zombie 2003


Giudizio sintetico: da vedere (3/5)

Giudizio vernacolare: c'è 'r sangue arto 'osì

Due coppie di fidanzati, in giro per la provincia USA alla ricerca di posti strani, si imbattono in una stazione di servizio con annesso tunnel degli orrori; il proprietario, tipetto inquietante, li indirizza verso un luogo dove si dice sia sparito un serial killer. Mentre si avvicinano al luogo indicato, un classico acquazzone e un’avvenente autostoppista, li fanno capitare proprio nella casa a cui fa riferimento il titolo.

Finalmente l’ex leader dei White Zombie approda alla regia, e ne esce quello che dovevamo aspettarci da un cultore del cinema horror di serie B e dei fumetti; ma si vede che decisamente il manico c’è. Un film adrenalinico, colorato, con inquadrature da esperto, esperimenti visivi interessanti (split-screen, riprese in negativo, ralenti dosati, scene finto-datate) e trovate geniali (i “siparietti” che scandiscono le “esibizioni”).
Un piccolo capolavoro, che piacerà agli amanti del genere e spiazzerà gli amanti della normalità. A questo punto, cresce il rammarico per la mancata approvazione del progetto di Zombie per il Corvo 3: chissà cosa avrebbe potuto combinare.
Piccolo capolavoro.

20100727

smells like blood


L'odore del sangue - di Mario Martone 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: tromba di vi, zeba di là...


Una coppia alto-borghese, particolarmente libera sessualmente. Il marito Carlo (Placido, che sembra sempre recitare se stesso) ha una fidanzata, Lù (Giovanna Giuliani, brava e nervosa), giovane e mascolina; quando la moglie Silvia (Fanny Ardant, splendida) inizia una relazione con un giovane di estrema destra, Carlo attraversa una serie di stati d'animo contrastanti, fino a rendersi conto che, dato il suo amore per lei, deve forzare il distacco per far si che, abbandonando la di lei insicurezza, faccia la scelta che desidera ma non riesce a compiere del tutto. Da questa scelta scaturisce la tragedia finale, che Carlo subisce apparentemente senza un battito di ciglia.


Film che spiazza, parecchio. La prima parte è quasi stucchevole, sembra di vedere una coppia "aperta" anni '60 traslata al giorno d'oggi e gonfia di soldi.

Nella seconda parte escono le paranoie, i sentimenti contrastanti, la fragilità dell'essere umano; la discesa agli inferi di Silvia viene osservata senza intervenire da Carlo, evidentemente per amore della libertà dell'amata, e crea sconquassi anche nel suo rapporto "alternativo"; le emozioni sono tante, ma solo suggerite, sia per la mano di Martone, che dall'interpretazione di Placido che, forse per volere del regista, non rende giustizia a tutta questa serie di emozioni, appunto, suggerite.

Giudizio in bilico, ma gli spunti di discussione che può aprire il soggetto sono tante, quindi già per questo è positivo.

20100726

come diavolo si scrive

Sono a Reykjavik da qualche ora. Le tappe fino ad ora sono state Vik, Hofn, Akureyri via Egilsstadir, lago Myvatn e dintorni (Dettifoss compresa), Borgarnes via Hvammstangi, Stykkisholmur e adesso la capitale (quindi, giro in senso antiorario). Adesso un paio di giorni qui e poi il "famoso" (per i turisti) circolo d'oro, poi magari la Blue Lagoon.

Alcune cose per vostra info. Nonostante siamo sotto il circolo polare artico, il sole tramonta solo sulla carta. In pratica, c'e' sempre luce. Sempre. Un sacco di turisti. Tedeschi soprattutto, austriaci, spagnoli. Qualche italiano. Qualche anglosassone.
Gli islandesi non sono il massimo dell'espansivita'. La crisi anziche' abbassare i prezzi e rendere l'isola conveniente per noi di eurolandia, li ha alzati a livelli massimi. Quando vi raccontero' quanto ci hanno fatto pagare per una "camera" in un container stile terremotati sul lago Myvatn, mi prenderete per il culo vita natural durante.
Tutta la "movida" della capitale mi sfugge. Non vorrei fosse una montatura come alcune attrazioni turistiche che vi raccontero' con calma.
Il tempo e' stato bellissimo fino a stasera. Adesso non smette di piovigginare da diverse ore. Per finire, la mia compagna di viaggio ed io abbiamo scoperto di essere incompatibili, e quindi quest'ultima settimana va avanti con una "tregua armata", minimo dialogo possibile e momenti da soli, come quello da qualche ora a questa parte.
Come dicono dalle mie parti, "e' tutto mestiere che entra" (tutta esperienza).
Infine, non e' cosi' facile trovare un internet point. Credeteci o no. E' per questo che vi scrivo solo adesso.
Abbracci equamente distribuiti a tutti voi.
Takk.

la piccola Lili


La petite Lili - di Claude Miller 2004


Giudizio sintetico: si può evitare (2/5)

Giudizio vernacolare: mah


Magari si rischia di passare per incompetenti, però questo film non è che sia granchè, nonostante sia ispirato a Checov e tutto il rispetto che circonda Miller.


Una famiglia alto-borghese, con madre attrice affermata, compagno regista, fratello pensionato, figlio aspirante regista ribelle, nel suo buen retiro all'Ile aux Moines, circondata da altri personaggi tutti particolarissimi, tra i quali Lili, la ragazza di Julien, il figlio aspirante regista; la ragazza scatenerà reazioni a catena.


L'intreccio è prevedibile, ma quel che infastidisce è soprattutto la supponenza degli attori, quasi tutti; inoltre le "schermaglie" psicologiche sono piuttosto insulse, almeno sviluppate così come nel film.

Al contrario, magnetica come sempre la presenza di Ludivine Sagnier, che adesso approda anche alle mega-produzioni con Peter Pan.

20100725

le cout de la vie


Il costo della vita - di Philippe Le Guay 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: fa' vaini co' vaini dé


Un avaro irrecuperabile (Fabrice Luchini) e un ristoratore dalle mani bucate (Vincent Lindon); nel mezzo, tutta una serie di personaggi e il loro personalissimo rapporto col denaro.


Una commedia, senza alcun intento "serioso", anche se si poteva andare molto più a fondo (ad esempio nel caso del vecchio industriale che cede "ai tedeschi" mettendo a spasso un sacco di gente); invece, anche dai casi più "disperati" si ricavano solo siparietti anche piuttosto divertenti.

In definitiva, si rimane a metà sia nel caso si voglia parlare del rapporto che la gente ha con i soldi, sia nel caso si voglia solo leggere i sentimenti attraverso la chiave di lettura dell'uso del denaro.

Certo, che la prostituta che "cura" l'avaro "insegnandogli" a spenderne un sacco è una trovata geniale!!

20100724

le coeur des hommes


Il cuore degli uomini - di Marc Esposito 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: bellino


Quattro uomini, molto amici da circa venti anni, tutti tra i 45 e i 55 anni, alle prese con scappatelle, separazioni, fidanzate più giovani, matrimoni dei figli, prese di coscienza dettate dalla "maturità".


L'ex critico cinematografico Esposito, qui sceneggiatore e al debutto nella regia, fa un film onestamente prevedibile, ma godibile e molto divertente senza essere greve.

Certo, il punto forte del film sono i dialoghi tra i quattro amici: sarcastici, schietti, a volte offensivi, a volte amorevoli, proprio come nella vita vera.

In definitiva, il film riesce a "toccare" gli animi degli spettatori e a divertire a dispetto della prevedibilità della trama e degli argomenti trattati grazie ad una leggerezza non frivola.

20100723

the soloist


Il solista - di Joe Wright 2009


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)
Giudizio vernacolare: un è malaccio


Steve Lopez è un giornalista del LA Times, autore di una colonna molto seguita. E' anche scrittore, ma un po' per il classico blocco, un po' per i tempi che corrono, è a corto di idee. Dopo un incidente in bicicletta, incontra per caso un homeless: si chiama Nathaniel Ayers e suona divinamente un violino che ha due corde. Steve, una vita disordinata, una ex moglie con la quale lavora e conserva un rapporto buono ma malinconico, un figlio grande che nessuno dei due vede mai, e una concreta preoccupazione su come conservare una certa agiatezza visti i licenziamenti che gli fioccano intorno, prima che empatia prova interesse egoistico verso la storia di Nathaniel, ci vede una storia che può fargli guadagnare lettori. Decide di indagare, e dopo aver scoperto che effettivamente, era un più che promettente studente di violoncello di una prestigiosa scuola di musica, decide di aiutarlo. Nel frattempo, si scopre che Nathaniel soffre di schizofrenia, che ha ancora una famiglia, da qualche parte, ma anche del talento. Steve, che decide di intraprendere il viaggio agli inferi per dare una mano a Nathaniel, viene a contatto con gli ultimi di Los Angeles, e, in un certo qual modo, apre gli occhi.


Gli elementi per un drammone melò ci sono tutti, basta che leggiate la trama. Metteteci dentro anche il fatto che il regista è lo stesso di Orgoglio e pregiudizio come pure di Espiazione. Storia vera, dal libro di Steve Lopez (quello vero) The Soloist: A Lost Dream, an Unlikely Friendship, and the Redemptive Power of Music, sceneggiatura di una esperta e marpioneggiante Susannah Grant, adatta a tutte le stagioni (In Her Shoes, Pocahontas, Erin Brockovich). Come già espresso in passato, Wright è onesto lavoratore capace di buone cose e, al tempo stesso, di toccare le corde sentimentali dello spettatore. Il film non è eccelso ma arriva, e commuove. Il cast è superbo, e lavora senza esagerare, ma lascia ugualmente a bocca aperta: se non ci sono più aggettivi per descrivere la bravura di Robert Downey Jr. (Steve Lopez, quello finto) e di Jamie Foxx (Nathaniel Ayers), qui abbiamo un contorno di figure marginali di lusso, sulle quali ovviamente spicca la mai abbondantemente osannata Catherine Keener (Mary Weston), alla quale evidentemente non interessano le prima pagine e i paparazzi, e si accontenta sempre di parti da non protagonista.


Non sarà da Oscar, ma è un film che può dare un colpettino sulla spalla di molte coscienze sopite.

20100722

love come back


L'amore ritorna - di Sergio Rubini 2004


Giudizio sintetico: da vedere (3/5)

Giudizio vernacolare: e ce n'ha uno d'arti'oli luilì


Luca, attore all'apice della carriera, durante le riprese di un film importante e mentre sta pianificando il suo debutto da regista, inizia a tossire sangue, si ricovera, fugge dall'ospedale per infilarsi capricciosamente in una costosissima clinica, inizia ad avere paura.

Inizia la sarabanda degli amici, parenti, conoscenti, ex moglie, fidanzata attorno al suo letto, mentre a casa la sua famiglia vive i drammi di tutti i giorni nella puglia odierna.


Il film risulta piacevole, chiassoso, visionario, toccante, vero; la paura della malattia, i capricci dell'attore, i rapporti tormentati e bambineschi con la ex moglie e con la fidanzata, il padre poeta in pensione, la madre che ancora non dimentica la cugina morta da piccola, la sorella che non esce di casa, l'assistente innamorato di lui...nonostante lo spaventoso numero di ruoli minori, Rubini riesce a fare un bel film, dirigendo tutti bene e ritagliandosi una parte al solito particolarmente interessante, e nonostante si notino influenze di diversa provenienza riesce a dare al tutto un tocco fortemente personale.

La "risoluzione" della malattia da parte di un primario "della mutua" contrapposto al primario della clinica privata ci da anche un briciolo di fiducia.


Un ottimo film italiano.

20100721

gotico ma non troppo


Gothika - di Mathieu Kassovitz 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: 'nzomma


La psicologa del manicomio criminale femminile di Woodward, nonchè moglie del direttore, donna razionale al massimo, si sveglia "dall'altra parte", paziente-carcerata e incriminata dell'efferato assassinio del marito; inoltre, capisce subito che le "presenze" che la circondano hanno qualcosa che va al di là della logica.


Kassovitz, dopo l'ormai datato esordio capolavoro "L'odio", pare essere entrato in fissa con spiritismo ed esoterismo (vedi anche "I fiumi di porpora"); nonostante tutto, è riuscito ad approdare a Hollywood.


Questo "Gothika" non è male, sorretto da un'ottima Halle Berry (e comprimari all'altezza), riesce a tenere alta la tensione almeno per 3/4 di film.

Certo, manca forse di un pizzico di genialità; attendiamo la prossima prova per giudicare se il francese è definitivamente da annoverare fra gli onesti manovali della pellicola.

20100720

orzonutini

dopo una magnifica birra cruda al birrificio dei miei amici a pisa, l'orzobruno, ascolto il concerto di paolo nutini a lucca. sono così snob che nonostante sia a pochi chilometri da lucca preferisco ascoltare il concerto in diretta dalla radio.
se

ieri sera il tramonto era magnifico

e mentre il nostro jumbolo raggiunge l' islanda io mi trovo con la famiglia a pochi chilometri da casa sua.
il mio cucciolo oggi ha giocato con l'acqua del mare per alcuni minuti e stava impazzendo dalla felicità.
io invece dormirei sempre, in mezzo alla brezza della pineta, come un ghiro in arretrato di sonno.
buone vacanze!

along came Polly


....e alla fine arriva Polly - di John Hamburg 2004


Giudizio sintetico: si può perdere (2/5)

Giudizio vernacolare: fa abbastanza ca'à


Reuben, analista rischi per una società di assicurazioni, bravissimo sul lavoro quanto ossessivo nella vita, sposa l'amore della sua vita.

Al primo giorno di luna di miele, la trova a letto con l'istruttore di immersioni sub.

Torna a casa, decide di voltare pagina, incontra Polly (vecchia compagna delle medie) che gli piace, ma è l'opposto di lui.


Il film dovrebbe essere una commedia, ma fa ridere poco. Basterebbe questo.

Posso aggiungere che Ben Stiller può far molto più ridere (e l'abbiamo già visto), e la Aniston per una volta non va sopra le righe, ma non basta.

Due ottime caratterizzazioni di Philip Seymour Hoffman e Alec Baldwin non servono per risollevare una commedia veramente spenta.

20100719

islanda lug/ago 2010 - 00


Preparativi

Ci siamo. Il viaggio sta per cominciare, ancora una volta. Questa volta si passa dal caldo al freddo. Venerdi scherzetto della Iceland Express che mi chiama e io non sento, poi trovo una e-mail dove mi dicono che il volo è cancellato ma ce n'è un altro quasi 12 ore dopo, stesso giorno stesso aeroporto (Bologna). Telefonata di circa 25 minuti in Islanda durante la quale riesco pure a fare una ricarica del telefonino on-line, tutto a posto, si parte questa sera alle 21,45 e si arriva alle 23,59 islandesi, si torna il 2 agosto alle 14,45 di là e si arriva alle 20,55 di qui.

Zaino fatto. Stavolta ho fatto qualche cambiamento, complici alcune variazioni. Ecco la composizione:
-1 sacco a pelo*
-1 asciugamano in microfibra
-1 k-way giacchetto/pantalone
-1 paio pantaloni tecnici da inverno
-1 felpa
-1 paio di scarpe da tennis (converse basse)
-1 paio di infradito
-3 paia di mutande
-3 magliette manica corta
-3 paia di calzini lunghezza media
-beauty case (lamette, rasoio, schiuma barba 50 cl, crema idratante dopobarba, spazzolino, dentifricio piccoli, saponetta, filo interdentale, scovolino dentale, deodorante stick, tagliaunghie, stick per labbra)
-guanti
-cappello di lana
-lettore mp3 + pile ricambio
-caricabatterie cellulare
-1 sapone di marsiglia
-1 paio di occhiali di ricambio
-1 paio di occhiali da sole

Indosso:
-pantaloncini mare
-1 paio calzini corti
-1 paio scarponcini trekking
-1 paio pantaloni tecnici leggeri
-1 maglia manica corta
-occhiali
-portafoglio e documenti vari
-telefono cellulare

In mano:
-giacca a vento

Per leggere:
-ultimo numero Internazionale

*In Islanda molti ostelli affittano letti senza lenzuola ad un prezzo più basso

Aggiornamenti quando possibile. Stay tuned.

De Fem Benspænd


Le cinque variazioni - di Jorgen Leth e Lars Von Trier 2004


Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)

Giudizio vernacolare: popo' di svarvolati loro due dé


Una acuta riflessione sull'essere artista, sul fare cinema per dire qualcosa.


Potremmo semplificare così questo lavoro a quattro mani; Von Trier, fan del corto "The Human Perfect" di Leth, lo sfida a girare altri cinque corti partendo da quell'idea ma ponendo via via delle limitazioni (gli "obstructions"del titolo originale in inglese).


I prodotti finiti sono vari, ma sempre interessanti, a volte geniali (vedi il secondo girato a Bombay, inquietante).


Le sorprese si susseguono e, anche se rimane un documento per cinefili, il risultato è, oltre che interessante, l'ulteriore dimostrazione della genialità di Von Trier (e una traccia delle sue influenze).

20100718

the rules of attraction


Le regole dell'attrazione - di Roger Avary 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: popo' di zozzi dé


Probabilmente occorre un minimo di "preparazione" per godere appieno di questo buon film; la storia è ispirata (e segue piuttosto fedelmente) dal secondo libro di Bret Easton Ellis dal titolo omonimo del 1987; il protagonista è il fratello del serial killer yuppie di "American Psycho".


Sean (Bateman, appunto), Lauren e Paul, ci introducono nella vita di un college americano a metà degli anni '80; la bassezza dei comportamenti e la caduta dei valori scoperchia il background degli statunitensi oggi 40enni.


Il film è divertente, con battute caustiche, dissacrante, duro, con interpreti sorprendentemente all'altezza (Sean Bateman è interpretato da James Van Der Beek, il Dawson di Dawson's Creek).


Per chi non lo conoscesse, spero il film metta voglia di scoprire il lavoro di questo scrittore che ha segnato decisamente la letteratura contemporanea, Bret Easton Ellis.


Soluzioni d'avanguardia anche se già viste (split-screen, rewind), danno interesse ad un film che si affloscia leggermente nel finale.

20100717

torrida

Un video per questa torrida estate. Fresco, bagnato, spensierato. Jack fa sempre il solito pezzo nel solito disco, ma è simpatico.

To Livadi Pou Dakrizi


La sorgente del fiume - di Theo Angelopolus 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)

Giudizio vernacolare: du' palle


Per chi non lo conoscesse, il cinema di Angelopolus è come un punto di incontro tra quello asiatico medio-orientale (campi lunghi, ritmi lenti) e quello balcanico (musica, rituali filmati); ha poco a che spartire sia col cinema europeo (anche se potremmo azzardare per lui la definizione di un Fellini più serioso), tantomeno con quello americano. La visione dei suoi film da soddisfazione all'occhio, ma è faticosissima, vista la durata media (difficilmente meno di 3 ore) e il ritmo (lentissimo, sempre).


Questo suo ultimo lavoro dovrebbe essere la prima parte di una trilogia sul XX secolo; la sorgente del fiume è un luogo immaginario dove i due protagonisti Heleni e Alexis sognano di arrivare; i due sono allevati dalla stessa famiglia ma non sono fratelli (lei viene trovata, sola, durante il loro esodo da Odessa, esodo che li riporta nella natìa Grecia); si amano, lei rimane incinta di lui giovanissima e i due gemelli che partorisce sono dati ad una famiglia benestante. Alla morte della madre, il padre vuole sposare Heleni. I due fuggono, ritrovano i gemelli, vivono di stenti, ma sopravvivono grazie alla solidarietà di gente perbene, poi lui parte per l'America.

Il finale è straziante, il film è triste. L'uso dei campi lunghi e dei piani sequenza rende il ritmo soporifero, come già detto, ma dà un gusto unico al film; le inquadrature e le scene sono quasi tutte capolavori (il padre alla ricerca dei due nel teatro adibito a rifugio per gli sfollati, quella del funerale del padre, e quella della fuga dalla casa di famiglia in barca dopo l'alluvione, con il chierichetto che aspetta sotto la tettoia del ristorante, lasciano sinceramente senza fiato).


Come detto, visione impegnativa ma soddisfacente.

20100716

uomini e donne

Danielona, che conosco pure io che appena, per sbaglio, il telecomando si posiziona su Uomini e Donne giro subito (dopo aver dato un'occhiata se ci sono fighe considerevoli), è stata assolta dalle accuse.
Leggete l'articolo di Tgcom e fatevi due risate.

Ora, un paio di considerazioni.

La prima: il giudice doveva proprio essere stanco e avere fretta di andare a casa (oppure l'avvocato è veramente veramente bravo). Uso personale, il bilancino lo aveva per dosare i medicinali del padre (su richiesta degli infermieri), ha cominciato ad usare droga (non si specifica quale droga) dopo la morte del padre.....ma per piacere....vabbè sinceramente sticazzi (usato correttamente, alla romana: alla livornese c'importa una sega).

La seconda: per sopportare una roba come Uomini e Donne bisogna drogarsi.

alessio


Sospendo il giudizio, che sono di parte. Quasi un ciuffo emo.

Lila


En Paris - Live à FIP - Lila Downs y La Misteriosa (2010)


E' giunta l'ora di dire qualcosa su Lila Downs, visto che non ne abbiamo mai parlato qua su fassbinder. Messicana, 42enne, figlia di una cantante messicana e di un professore statunitense, attiva discograficamente dal 1994 e impegnata socialmente in continue campagne a favore dei più deboli, porta avanti un discorso musicale profondamente messicano (dove però potete sentire una miriade di influenze, forse "esportate" dal Messico verso altri lidi), unito a testi sempre intensi e sofferti.

Primo disco live per Lila, sono presenti quasi tutti i suoi classici (che ovviamente, includono diversi traditional), in ottime versioni, La Misteriosa è il nome della band che la accompagna (un ottetto che comprende musicisti provenienti dall'intero continente americano, nord e sud, e tra questi pure suo marito Paul Cohen - clarinetto e sassofono -), fatta di ottimi musicisti che non sbagliano un passaggio, ed il disco è registrato presso i locali della FIP, una radio parigina importante e "illuminata" a livello musicale.

Se non vi spaventa scoprire un genere musicale che, se affrontato superficialmente, può annoiare, ma che fa affiorare sapori inaspettati, oppure se siete al contrario cultori, un grande disco.

caffè e sigarette


Coffee And Cigarettes - di Jim Jarmusch 2003


Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)

Giudizio vernacolare: so' uscito puzzavo di fumo..e dopo un ho dormito!


Jarmusch torna, e torna con una raccolta di corti girati negli anni, il primo dei quali era presente addirittura nella versione VHS di "Daunbailò"(1986).


Una sfilata di celebrità, che quasi sempre interpretano se stessi (e che spesso, da soli, con le loro espressioni, valgono il prezzo del biglietto, vedi Iggy Pop e Tom Waits).

Attori in forma strepitosa (Cate Blanchett in un doppio ruolo, splendente come suo solito, Bill Murray in un se stesso paranoico semplicemente strepitoso), dialoghi nonsense (il corto iniziale con Benigni, ma notevole anche il seguente dei gemelli con Buscemi e quello con Meg e Jack dei White Stripes) o avvelenati dalla celebrità ("cugine"con la doppia Blanchett, e "cugini?" con Molina e Coogan), con una chiusura crepuscolare e malinconica assolutamente bellissima (l'ultimo corto con Bill Rice e Taylor Mead).

Uno sguardo, elegante e disincantato, sulle chiacchere da bar e sulla natura umana, con il pretesto, appunto, di caffè e sigarette.

Da non mancare.

20100715

argentina

Ieri mi ero dispiaciuto quando avevo letto che molte migliaia di persone avevano manifestato a Buenos Aires contro la legge, in discussione in questi giorni, sui matrimoni gay.
Faticosamente però, la legge è passata, e l'Argentina diventa il primo paese dell'America latina che autorizza le nozze gay, come dice l'articolo di Repubblica.

ombre


Shadows - Teenage Fanclub (2010)


La classe non è acqua. C'è poco da fare. E' un po' il succo di ascoltare un disco nuovo dei quattro di Glasgow, già noto come una delle band preferite da Cobain, per chi si fosse perso un passaggio, tra i Melvins e gli Abba.

Per farla molto breve, è veramente difficile trovare una canzone brutta. Le atmosfere, certo, non sono infuocate, ma si sa, non si vive di solo distorsore. Ballate dolci (Sweet Days Waiting, Dark Clouds, Live With The Seasons), pezzi allegri ma di grande effetto (Sometimes I Don't Need To Believe In Anything, Into The City, Shock And Awe, When I Still Have Thee), e un piccolo capolavoro pop-alternative, ruffiano ma super-intrigante, quale Baby Lee.

Depuis qu'Otar est parti


Da quando Otar è partito... - di Julie Bertuccelli 2003


Giudizio sintetico: culto (4,5/5)

Giudizio vernacolare: che bellezza dé


Ovvero, quando il cinema è davvero poesia.

Tblissi, Georgia; tre donne (nonna Eka, mamma Marina e la figlia Ada) tirano avanti come possono, e nella vecchia casa aleggia la presenza del fratello di Marina, Otar (omaggio della regista al suo "maestro" Otar Iosseliani), emigrato in Francia per lavoro, adorato da nonna Eka, che in Francia c'è nata.

Quando Marina e Ada ricevono la notizia che Otar è morto da clandestino lavorando in un cantiere a Parigi, non trovano il coraggio di dirlo a Eka, e mentono inventandosi anche lettere di Otar.


In questo film c'è tutto, anche se pare non ci sia niente; la globalizzazione, il declino dell'impero sovietico, le tre generazioni di donne e il loro diverso modo di porsi rispetto al comunismo, l'assenza degli uomini, la tragedia dell'immigrazione, l'assenza di cose che noi diamo per scontate.

Nonostante ciò, le protagoniste del film (assolutamente straordinarie) ci appaiono troppo più forti di noi, con uno spirito indomabile nella loro diversità.

Alcuni momenti, poi, sono sublimi; quando Eka scopre che Otar è morto e mente, sapendo di mentire, a figlia e nipote, si piange di gioia; quando nell'ultima scena, anche se si intuisce da subito che Ada rimarrà a Parigi, saluta le altre due dal vetro si piange perché è giusto piangere; perché la poesia è bella, ed è giusto sapersi commuovere in sua presenza.

Imperdibile.

20100714

opposti

Bisogna riconoscere a Silvio Berlusconi che è uno coraggioso in politica. Pensateci bene: era talmente annoiato dal fatto di avere un'opposizione inesistente che se l'è creata in casa. Praticamente, in questa valle di lacrime (leggi: crisi), oramai non si fa che parlare della questione dei finiani. Alla fine, non mi stupirei se Silvio avesse obbligato Fini e i suoi a far finta di fare l'opposizione interna.

Nel frattempo, la FIAT licenzia cinque persone iscritte alla FIOM, alcuni addirittura delegati sindacali.
Ovviamente, è un caso.

androidi


The ArchAndroid (Suites II and III) - Janelle Monáe (2010)


Immaginatevi un qualcosa che sta tra Lauryn Hill e Erykah Badu. O comunque da quelle parti là. Grande voce, e spruzzate di funk ogni tanto.

Sicuramente più fresca, visto che le due dive mi paiono entrambe in parabola discendente (la prima senz'altro più della seconda), Janelle è sponsorizzata (e prodotta) da Sean Combs (P. Diddy aka Puff Daddy), ed intitola questo suo ambizioso disco di debutto mettendo tra parentesi un riferimento al suo primo EP Metropolis: Suite I (The Chase) del 2007.

Informandovi, potrete scoprire che, oltre ad ispirarsi chiaramente al film di Fritz Lang Metropolis, l'opera di Janelle è una sorta di concept dove il suo alter-ego Cindy Mayweather diventa, in breve, una figura messianica nella comunità di Metropolis; testi non scontati e abbastanza impegnati, che inglobano elementi di Afrofuturismo.

Collaborazioni di tutto rispetto, grandi doti, influenze che vanno dal funk alla classica, dalla sinfonica al nu-soul e oltre, il lavoro risulta eterogeneo (ovviamente) e a volte difficile da "seguire", ma presenta alcuni momenti notevoli.

Sicuramente una figura da seguire con una certa attenzione.

Faster, Locked Inside, Make The Bus, Cold War, Tightrope, Neon Valley Street, Say You'll Go (queste ultime due molto Lauryn Hill), i pezzi migliori.

The passion of the Christ


La Passione di Cristo - di Mel Gibson 2004


Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)

Giudizio vernacolare: pover'omo dé


Premessa: credo di essere riuscito a prescindere da tutto il rumore che è stato fatto su questo film; non sono però sicuramente riuscito a prescindere dal mio essere credente. Un film decisamente forte, per scelta, che pone l'accento sulla sofferenza dell'uomo Gesù di Nazareth (non a caso il film si intitola The Passion); non mi trovano d'accordo però, le critiche mosse a Gibson sulla mancanza di spiritualità della figura di Gesù. Evidentemente, la critica è viziata dal fatto che fino ad oggi, in tutte le opere ispirate alla sua vita, la Passione fosse stata edulcorata.


Il film racconta la storia che quasi tutti conoscono, dall'orto dei Getsemani alla morte sulla croce, con un brevissimo epilogo sulla resurrezione. Gibson, per dire dei difetti, abusa dei ralenti, che in alcuni punti sono centrati, in altri stuccano, e dipinge un Gesù un po' troppo patinato nei flashback che ci fanno vedere alcuni momenti salienti del Vangelo (risulta evidente l'ispirazione "pittorica"di Gibson, anche se grossolana), il che stride un po' con la figura violentata che inizia a subire durante l'arresto e non si arresta neppure con la morte.

Per dire dei pregi, Gibson, anche aiutato dalla notorietà del fatto, riesce a tratteggiare una immensa varietà di personaggi; si avvale di una grande colonna sonora che ci riporta spesso a film d'epoca; non ci risparmia niente, come aveva lasciato intendere, delle sofferenze inflitte a quest'uomo, e ci fa soffrire insieme a lui, e sperare, nonostante tutto, visto che nei flashback ci sono, di tutte le parole, quelle più importanti e tolleranti.

Grande prova corale, e qui Gibson conferma di essere un bravo direttore, e quel che fa piacere è che il cast è in gran parte italiano; ma come non menzionare Caviezel, che in pratica recita con solo un occhio aperto, vista la tumefazione provocata al suo personaggio nel pestaggio al momento dell'arresto, Maia Morgerstern, dolente ma forte Madonna, e Rosalinda Celentano, inquietante e asessuato diavolo.

Perfino la scelta di far uscire il film in "originale"(aramaico per gli ebrei, latino per i romani) con sottotitoli è premiante, a mio parere; dopo un minuto di spaesamento, ci si abitua e, soprattutto l'aramaico, risulta sinuoso e avvolgente affascinando lo spettatore.

Dopo aver fatto notare che Rubini (ladrone buono), pur avendo una presenza di circa un'ora e mezzo inferiore sullo schermo alla Bellucci, dice più o meno lo stesso numero di battute (con risultati senz'altro più felici), e aver osannato la location (splendida Matera), vi invito ad abbandonare i preconcetti e a lasciarvi andare alla visione di un film combattuto quanto intenso.

20100713

esposizione


Expo 86 - Wolf Parade (2010)


Al terzo disco mi hanno convinto. Chissà perchè non lo avevano fatto fin'ora (non mi chiedete di andare a riascoltarmi i primi due, che non mi erano piaciuti per niente), magari perchè sono strettamente legati agli antipaticissimi Arcade Fire, magari perchè non era il momento o magari perchè effettivamente questo loro nuovo lavoro è migliore degli altri.


Fatto sta che l'impressione è quella di sentire una band che ricorda da vicino cose che stanno tra gli Interpol e i primi Editors, magari un po' più scarni, più grezzi, e di conseguenza tutto quello che ci sta dietro, anche cose meno intellettuali (rispetto alle citazioni che potrete leggere sulle riviste specializzate) come i primi U2, o addirittura gli Ultravox o i poco conosciuti, nonché meteore, Big Country, con un classico suono da post new wave (ma pure echi di punk di un certo tipo, e l'ovvio riferimento a Bowie, fate caso alle voci) che affonda le radici nella fine degli anni '80.


La carta vincente è pero il songwriting. Siamo di fronte ad un disco con molte belle canzoni, dove la parte "caciarona" (stile, appunto, Arcade Fire), che continuo a trovare brutta, viene sovrastata dal respiro epico, da ritornelli anthemici, presenti in massa in questo disco. Rullante della batteria in continua evidenza, tempi raddoppiati, a ritmare i pezzi e a dare una spinta in più, chitarre scarne ma con grande senso dell'armonia, spolverate di tastiere qua e là per perfezionare ed arrangiare con una certa grazia.


Grandi pezzi Yulia, Cave-o-Sapien, What Did My Lover Say? (It Always Had To Go This Way), Ghost Pressure (che, non so perchè, ma mi ha ricordato Gary Numan), eccezionale, stupenda, imperdibile, seppur con un che di già sentito, Pobody's Perfect.

ancora polonia, ancora sul mercato

E, incuriosito dal personaggio di cui prima, mi sono imbattuto in questo pezzo che linko a beneficio dei curiosi e soprattutto dell'amico Massi, che ormai da qualche anno si è trasferito in Polonia, sperando che anche lui prosperi lontano da questo paese ormai malato. Di burocrazia, di clientelismo, di immobilismo, di chiacchiere insulse e di superficialità. Ricordando che l'uomo del fare si dice perennemente preoccupato dei lacci e lacciuoli che gli impediscono di trasportare la sua imprenditorialità alla gestione dello Stato, ma in verità, come ci dimostra ogni giorno, è preoccupato soprattutto di portare acqua al suo mulino.

privatizziamo

Poco fa mentre andavo in piscina ascoltavo Radio 24; dalle 9,00 alle 10,00 c'è "Nove in punto, la versione di Oscar", condotto da Oscar Giannino, che mi è capitato di ascoltare poche volte ma mi è sempre piaciuto, per il suo andare dritto al punto ed essere abbastanza super partes.
Stamattina si parlava di privatizzazioni, e del rapporto dell'Istituto Bruno Leoni, che indica il nostro paese ancora molto indietro in questo campo.

Ideologicamente, dovrei essere contrario per principio alle privatizzazioni, e rimango dell'idea che, se lo Stato non ruba, la gestione dello stato in molti campi è necessaria, per non lasciare indietro nessuno. Ma, così come ho accettato la meritocrazia sul posto di lavoro (tutti, a discorsi, l'hanno accettata, ma non mi risulta funzioni, ma questo è un altro discorso, anche personale, e non voglio tediarvi oltre), devo accettare le privatizzazioni o trasferirmi in Corea del Nord.

In teoria, le privatizzazioni dovrebbero permettere di poter scegliere il gestore che ci piace di più, a livello di servizi (di qualsiasi tipo), e dare la possibilità all'utente di pagare meno, in seguito alla concorrenza che si crea quando il mercato non ha monopoli. Orientativamente, a grandi linee, i governi di centro-destra dovrebbero essere molto favorevoli, quelli di sinistra, sempre in teoria, dovrebbero tendere a lasciare la presenza dello Stato in ogni campo.

Silvio Berlusconi predica a ogni pié sospinto il libero mercato, il neoliberismo, ha come modello gli USA e via discorrendo.

Ora, voi, dico a voi che abitate in Italia e la vivete da almeno 20 anni. Vi pare che i governi di Silvio abbiano messo in atto privatizzazioni a tappeto? Vi sembra che le spese per i servizi basici (acqua, luce, gas, trasporti, telefonia) per le famiglie siano diminuite?
Siamo sicuri che questi governi siano liberisti?

Yadon Ilaheyya


Intervento divino - di Elia Suleiman 2002


Giudizio sintetico: da vedere (4/5)

Giudizio vernacolare: boia, 'iamatela vita dé


Un film incessante. Incessante come l'odio tra israeliani e palestinesi.

Un film di parte, ma emozionante, perchè si ride di situazioni grottesche, e ci si intristisce immediatamente dopo, come si intristiscono gli occhi del protagonista (che è pure il regista, il palestinese Elia Suleiman, una vera faccia alla Buster Keaton) durante gli interminabili minuti passati al parcheggio del check point tra Ramallah e Gerusalemme, teatro degli incontri amorosi con la sua amata e "muro" di divisione che ostacola il loro amore; occhi che parlano una lingua triste e silenziosa sia quando l'amata non si presenta più, sia quando assiste a spettacoli vergognosi da parte dei militari israeliani.

Un film pesante come le pietre dell'Intifada (pesanti metaforicamente); un film lento, molto lento, ma che, vi assicuro, non ce la farà ad annoiarvi.

Tutto ha un senso, anche se apparentemente non sembra, dalle esilaranti scene iniziali, all'amore tra i due estrinsecato solo in un sensuale balletto tra le loro mani, agli stacchi improvvisi delle scene, al "duello" al semaforo tra il protagonista e un israeliano, al seme di albicocca gettato dal protagonista dal finestrino che fa esplodere un carro armato, all'inserto musical-ninja con la protagonista trasformata in super-eroina (lo scudo finale è a forma di stato palestinese).

Un film, per usare un luogo comune, che andrebbe fatto vedere nelle scuole.

Per insegnare che l'odio non ci fa affatto vivere meglio.

20100712

carne tonica


Flesh Tone - Kelis (2010)


C'è chi dopo il divorzio si compra una casa, una macchina nuova, o cambia vita. Kelis, genietto della musica nera (qualche anno fa), promessa mantenuta fino ad un certo punto, esce con un disco nuovo e si butta decisamente verso la disco. Di quella pesa.

Inutile resistere: c'è un rigurgito di discomusic che, in certi momenti, sembra di stare nel '77. Prendiamone atto, noi rockers. E andiamo avanti, che in fondo c'era, e c'è, pure qualcosa di buono.

Kelis fa le cose per bene, ed il disco è breve ma abbastanza inteso. Sceglie fior di collaborazioni, e grazie alla sua sempre validissima voce, esce con un disco che, nel genere, potrebbe funzionare tranquillamente. In alcuni momenti, quelli migliori, tirati [Acapella, Home, 4th Of July (Fireworks), Scream, Brave], la parte centrale del disco, ricorda quasi la Donna Summer del periodo (Giorgio) Moroder (per chi non conoscesse, o non ricordasse: è un complimento, e pure grosso).

Credo sia l'ideale per fare spinning, anche se non sono esperto. Dischetto spiazzante all'inizio, per chi ricordava un'altra Kelis. Ma tutti hanno bisogno di cambiare, ogni tanto.

meriti

Per una volta voglio tralasciare le battute sulla figa da parte di Silvio, e concentrarmi su questa:

"Lasciate che il governo italiano si assuma il merito che nell'ultimo G20 non sia stata decisa nessuna tassa sulle banche o sulle transazioni finanziarie. Sarebbe stata solo una gabbia. Queste misure sono passate nel dimenticatoio. Non se ne è fatto cenno"

Due riflessioni:

1)Le banche, in fondo, sono una delle cause della crisi. Per risolvere la crisi, si fa tirare la cinghia ai cittadini (in Italia come in Grecia). Alle banche mai. Ti vanti anche di non aver punito le banche?

2)A parte il fatto che i meriti, se ci fossero, dovrebbero sottolinearli gli altri, il problema direi che è questo: all'ultimo G20 non è stato deciso un cazzo, mentre l'economia mondiale boccheggia. E, come dice Silvio, il merito è tutto suo.

Grande.
Qui l'articolo completo del Messaggero.

amor fou


Amorfù - di Emanuela Piovano


Giudizio sintetico: si può perdere (1,5/5)

Giudizio vernacolare: una bella zotta


Giovane psichiatra, assistente in una comunità di recupero, si invaghisce di un paziente.


Un soggetto potenzialmente morboso e interessante, con due buoni attori italiani a disposizione (Sonia Bergamasco e Ignazio Oliva), viene letteralmente buttata al vento dalla regista, con una regia piatta (nonostante alcuni momenti nei quali prova a vivacizzarla, con risultati francamente un po' ridicoli), uno svolgimento poco felice e, non ultime, alcune scelte musicali decisamente infelici.

Si ha l'impressione più volte, durante la visione, di assistere ad un prodotto televisivo.

Poco altro da aggiungere, un film bruttino e piuttosto noioso, nonostante le premesse.

20100711

finale culinaria


boeri sbattuti

finale scontato

anche se un pò troppo lungo

finale emilia

è così brutta questa finale, che mentre giocano i supplementari guardo su youtube i rigori di italia francia per emozionarmi un pò.

finale ligure

per ora la peggior finale di sempre.
(lo so io che ne ho viste almeno 4!)

storie di ordinaria immigrazione


Saimir – di Francesco Munzi 2005

Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: l'edu'azzione è 'mportante


Saimir ha 15 anni, è albanese ma vive vicino a Fregene con il padre Edmond, che lo porta con sè quando lavora. Il lavoro di Edmond consiste nel trasportare col suo furgone, altri immigrati albanesi clandestini, da quando sbarcano sulle coste adriatiche fino nei pressi di Roma, e destinarli a lavori al nero.
Saimir soffre di crisi di coscienza, man mano che si rende conto di quello di cui si rende complice; per di più, il rapporto col padre è difficoltoso, la comunicazione ridotta al minimo. Il ragazzo vorrebbe una vita diversa, regolare, al punto che si innamora di una ragazza italiana, Michela.
Ma Saimir sbaglia tutto, forse non rendendosi conto che quel che fa è illegale, e la storia finisce ingloriosamente, lasciando ancor più nella disperazione il giovane immigrato. La sua insofferenza si fa sempre più grande, fino a che una scintilla lo convincerà definitivamente a cambiare la sua situazione in maniera drastica.

Film di debutto del giovane Munzi, che con un taglio da film verità e una fotografia più che realistica, dipinge e illustra l’universo ormai parallelo e definitivo degli immigrati un po’ di tutte le etnie; un sottobosco con il quale l’Italia si deve confrontare giornalmente, e che presenta difficoltà all’apparenza insormontabili, anche da parte degli immigrati. Si veda per esempio, il comportamento di Saimir con Michela. E’ vero che la sceneggiatura tende ad essere "dispersiva", analizzando molte, forse troppe sfaccettature del mondo di Saimir e di chi gli gira intorno, ma, in definitiva, per essere un debutto, il film si rivela scorrevole e interessante.

Fortissime le due scene che precedono la "svolta" di Saimir, soprattutto quella dove suo padre e gli altri malavitosi bevono e parlano del più e del meno mentre, dietro la tenda….

20100710

it hurts so good


True Blood - di Alan Ball - Stagioni 1 e 2 (12 episodi ciascuna; Your Face Goes Here per HBO) - 2008/2009



Domandiamocelo: True Blood è geniale? Forse. Sovrannaturale, con qualche cliché del genere, a volte viene da chiedersi se non siano un po' troppe le "aggiunte" di elementi impossibili ed irreali, ma divertente, sfacciato, sensuale, con dialoghi ficcanti e mai banali, con personaggi impossibili da non amare, disegnati in maniera grandiosa, e con alcuni piani di lettura metaforica caustici ed al passo con i tempi.



Dico, era abbastanza ovvio, essendo "nata" dalla mente di Alan Ball, che personalmente non finirò mai di osannare abbastanza, visto che dalla stessa mente è nato Six Feet Under; ma qui c'è una sostanziale differenza, ed è che la serie è tratta da un'altra serie, di libri ovviamente. I libri dei quali stiamo parlando sono di Charlaine Harris, e precisamente del Ciclo di Sookie Stackhouse (in originale The Southern Vampire Mysteries), composto di 12 romanzi (9 dei quali per ora tradotti in italiano), usciti tra il 2001 ed il 2010. Ovvio che la genialità stia più nell'immaginazione dell'autrice, ma bisogna dare atto a Ball di aver scelto una roba visionaria, che diverte e, al tempo stesso, si può "piegare" per dargli dei doppi sensi intelligenti: anche questa volta, critica sociale e gusto della provocazione danno profondità al tutto.

Non mancano i momenti che ricordano fortemente l'intensità di Six Feet Under, e la netta sensazione che si stia parlando anche di filosofia, di senso della vita, e perchè no, d'amore. Personalmente, ce ne sono almeno un paio, soprattutto nella seconda stagione, che mi hanno toccato davvero molto.


Brevemente: la storia è ambientata in una cittadina della Louisiana, Bon Temps, in un futuro prossimo, un futuro in cui i vampiri stanno tentando di vivere assieme agli umani integrandosi e lottando per far valere i propri diritti. Elemento di svolta (antecedente), la messa a punto di una ditta giapponese di Tru Blood, in pratica sangue sintetico venduto come una bibita (che ovviamente, va servita calda, circa 37 gradi), il che teoricamente permette ai vampiri di sopravvivere senza uccidere umani. Elemento conduttore, come dice il titolo della traduzione del ciclo in italiano, Sookie Stackhouse, giovane (ma non più giovanissima) cameriera con poteri telepatici, che a causa di questo suo "dono" non riesce ad avere relazioni di coppia (solo concentrandosi fortemente riesce a non "sentire" quello che le persone intorno a lei stanno pensando). Elemento scatenante, Bill Compton, un affascinante e tenebroso vampiro originario di Bon Temps, ma che, a differenza di Sookie, ha 173 anni nel 2008 (ha combattuto la guerra civile): tra lui e Sookie sboccia un amore appassionato, che deve vincere le resistenze sia degli umani che dei vampiri. Elementi paralleli, ma non meno importanti: una serie di personaggi tutti notevoli (il fratello di Sookie, l'amica del cuore, il cugino dell'amica, il capo, i vampiri amici di Bill, e via via un po' tutti gli abitanti di Bon Temps), e il fatto che la telepatica e i vampiri non siano gli unici elementi sovrannaturali esistenti. Non vi anticipo altro, perchè mi piacerebbe convincere anche uno solo di voi a guardare questa serie, e non vorrei fare spoiling, ma per chi, come me, non conosceva i libri, la sorpresa è continua (come detto in apertura), e dopo un iniziale sensazione tra il destabilizzante e lo scocciato, ci si diverte a vedere la quantità di "stranezze" in gioco.

Non è finita: il tutto si svolge sullo sfondo di una Louisiana magica, lussureggiante, tenebrosa e decadente.


Due parole sulle recitazioni. Ormai sapete tutti che nella televisione ben fatta, questo elemento non è più un optional, o peggio, un elemento non richiesto, al contrario. Ecco quindi che si parte subito assegnando il personaggio cardine, Sookie, ad Anna Paquin, come molti di voi sapranno premio Oscar a 12 anni per la sua interpretazione in Lezioni di piano. Ma, credetemi, tutti gli altri attori, diversi poco conosciuti, alcuni già visti (Chris Bauer [Andy Bellefleur], Alexander Skarsgard [Eric Northman], "recensito" in Generation Kill, Michelle Forbes [Maryann Forrester]), collaborano attivamente, e tutti in maniera davvero interessante, a rendere questa serie una delle migliori del genere fantasy che mi sia capitato di vedere, probabilmente perchè affrontata con i piedi (e la testa) fortemente piantati nella realtà dagli sceneggiatori (e ovviamente dal creatore, del quale si vede decisamente la mano).


E' attualmente in onda negli USA la terza stagione. I'm looking forward.

mostro


Monster - di Patty Jenkins 2004


Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)

Giudizio vernacolare: boia 'ome stava male leilì dé


Come molti di voi sapranno, il film è la storia, sia pure romanzata, di Aileen Wuornos, prostituta statunitense, autrice di sette omicidi e giustiziata tramite iniezione letale in Florida nel 2002.


Il film è intenso, del resto la storia non è usuale, anche se di storie miserabili ne sentiamo tutti i giorni; la protagonista, eterosessuale (almeno, così crede), sembra spinta a innescare la sua spirale di delitti dall'amore che prova, forse per la prima volta, per Selby, una ragazza più giovane di lei, in cerca di emancipazione e di coraggio, per affermare la sua omosessualità a dispetto di una famiglia oppressiva. Aileen invece, viene da una vita di angherie e di abusi, e l'unica strada per sopravvivere è sempre stata vendere il suo corpo.

C'è tutta la miseria del mondo concentrata in questa storia di ordinaria emarginazione, una storia che ci illustra spietatamente come l'ignoranza possa ottundere facilmente la mente umana, specialmente quando è in cerca d'amore e di comprensione; le sequenze di Aileen che cerca lavoro sono lo spietato specchio di una società che non sa più ascoltare i deboli e i bisognosi, la pistola che Aileen ha sempre con se il rovescio di una medaglia marcia.

Il film è permeato di una sottile pietà verso la Wuornos, non escludo che la regista abbia romanzato un po' troppo la storia, dirigendola verso l'indulgenza; del resto, ognuno è libero di prendere una posizione davanti a storie così.

Nonostante la storia "forte", è impossibile non arrendersi però all'evidenza che questo è un film d'amore, ed è un film fatto dalle due protagoniste; se la Theron, bellissima anche sotto il trucco e i chili presi per il film (guardatela nella scena dove si lava in bagno, e poi prendete una sua foto in abito nero per una qualsiasi cerimonia, rimarrete allibiti), caratterizza un personaggio rozzo e tormentato al limite della perfezione, ed è stata giustamente premiata con l'Oscar, la Ricci a momenti la supera, dipingendo una giovane alle prese con le enormi difficoltà di portarsi un fardello pesante come l'omosessualità in una società bigotta, ma pronta a lasciarsi andare al grande amore con una tenerezza impressionante, per poi farsi travolgere dagli eventi. Una coppia di attrici stupenda, poco da aggiungere.

Citazione d'obbligo per la colonna sonora, che ci riporta indietro di 15 anni, curata da Steve Perry, ex Journey, che riserva un posto speciale per il suo ex gruppo : la loro bellissima Don't Stop Believin', oltre che sui titoli di coda, si sente in una delle scene di maggior "trasporto" del film, quando Aileen e Selby si baciano forsennatamente per la prima volta.

Quando l'amore è pericoloso.

20100709

così, distrattamente

Da Repubblica on-line di oggi:

Nell'emendamento presentato ieri dal governo alla Manovra che introduce la figura dell'ausiliario del Giudice spunta una norma che potrebbe di fatto sospendere il processo Fininvest-Cir per nove mesi.

Fino al prossimo parto.

PS il processo Fininvest-Cir è quello del lodo Mondadori.

braccia


Infinite Arms - Band Of Horses (2010)


Mi piace molto questo terzo disco della band di Seattle, poi migrata in South Carolina. Potremmo definire il loro genere alt-country senza troppa paura di andarci lontano, e dire anche che i richiami a Neil Young esistono saldi nelle note, oltre che nel nome stesso della band.

Le atmosfere sono vellutate, gli angoli smussati, ma né ci si annoia né ci si addormenta: è una sorta di country potente, arioso, caldo, supportato da armonie che oserei definire sinfoniche.

Un susseguirsi di pezzi molto molto belli, dove spiccano il trittico iniziale Factory, Compliments e Laredo, davvero superbi, Dilly, Northwest Apartment (molto rock), la conclusiva Neighbor.

Non per niente, i loro pezzi da sempre sono "saccheggiati" dai serial statunitensi.

Travelers and Magicians


Maghi e viaggiatori – di Khyentse Norbu 2003


Giudizio sintetico: gioiellino (4/5)

Giudizio vernacolare: bellabbestia

Bhutan, un giovane funzionario del governo con la fissa di andare negli USA e che snobba i suoi connazionali con fare superbo, perde la corriera per la città da dove dovrebbe partire; impaziente, cerca un passaggio e incontra una comitiva variegata che lo accompagna nel cammino, e tratta tutti con lo stesso fare scostante.

Tra i compagni di viaggio, un monaco buddista che racconta una storia d’amore strana ed educativa, storia che vediamo sullo schermo alternata al cammino della strana compagnia.

Una bella sorpresa questo “piccolo film”; come da tradizione orientale, storie semplici, scandite dai pasti soprattutto, piene di insegnamenti, o meglio, di riflessioni su quanto non riflettiamo abbastanza.
Cast ottimo, scenari impressionanti, fotografia leggermente diversa per la storia raccontata dal monaco.
Consigliatissimo.

20100708

okonokos

silenzio dei miei sui miei lavori
aprono a possibilità divergenti
senza dircelo mai sinceramente
rimango sui miei passi postadolescenziali
lentissimo nell'apprendimento
nell'evoluzione
nel passo coi tempi
fermo a qualche anno fa non ho ancora trovato chi può essere all'altezza dei miei sentimenti
sarà per il riverbero
sarà per i capelli
sarà per la passione
che unisce milano a louisville

sons of kyuss


Garcia Plays Kyuss - venerdì 4 giugno 2010 - Estragon, Bologna


Serata primaverile che già mette i pensieri su come abbigliarsi per rimanere dentro l'Estragon, che è notoriamente un forno, almeno un'ora, un'ora e mezzo. Chi si domanda se ne valga la pena, evidentemente non ha ancora ben chiara l'importanza che hanno avuto i Kyuss nell'economia del rock pesante degli ultimi 15 anni.

Affluenza interessante. Lunghe code all'ingresso, ma biglietti disponibili. Alla fine, un migliaio abbondante di persone riunite per la celebrazione di un feticcio, lo stoner-rock. Che, forse, senza i Kyuss non sarebbe esistito.


Si parte così così, con la notizia della defezione di Brant Bjork (And The Bros), previsto come band di supporto, che pare sia rimasto bloccato in Svizzera col tour bus. E' destino che i quattro Kyuss originali non si riuniscano nemmeno per una rimpatriata, dunque. Ma verso le 22,30 ecco che la band di John Garcia sale sul palco e attacca Molten Universe. Era piuttosto prevedibile l'apertura con uno strumentale, in modo da creare ancora più attesa verso l'arrivo del frontman. Ed eccolo qua, mentre Molten Universe sfocia dentro una massiccia esecuzione di Thumb, il vecchio amico John, che dopo pochissimo si accende una sigaretta, mentre dentro l'Estragon forse per la prima volta la security cerca di preservare il divieto di fumo, da legge apposita.

La voce è sempre bellissima, c'è poco da dire. John, un po' come tutti (è un plurale che uso soprattutto pensando a me), è ingrassato, ma basta la voce e la postura, un po' pigra, la figura perennemente appoggiata all'asta del microfono, a confermare quel carisma che una manciata di dischi a nome Kyuss, e un'altra manciata con altri vari nomi (Slo Burn, Unida, Hermano), tutti decenti, gli hanno procurato.

La band è all'altezza. Il pelato Rob Snijders alla batteria picchia sodo e si fa sentire. Lo schivo Bruno Fevery, vaghissima somiglianza con Jimmy Page (da lontano, sia chiaro), è un buon chitarrista, e ricalca ritmiche ed assoli di Josh Homme fatta eccezione per i suoni, perchè per il resto, abituatici al fatto (appunto, che i suoni non siano esattamente pedissequi), dopo qualche pezzo, soddisfa pienamente. Jacques de Haard, il dinoccolato al basso, è davvero un ottimo bassista, ed è pure un degno "aiutante" sul palco, perchè in effetti è l'unico che si muove davvero.


Le perplessità iniziali svaniscono col passare dei pezzi. A mio giudizio, dipendono da due fattori. Il primo è quello già detto a proposito dello stile chitarristico di Fevery: i suoni differiscono da quelli di Homme, che del resto erano un po' il "marchio di fabbrica" dei Kyuss, nonostante il ragazzo si sforzi di eseguire quasi alla lettera le parti. Questo crea ovviamente una certa idiosincrasia momentanea, nei fans (me compreso) dei Kyuss, accorsi qua per una cosa a metà tra la celebrazione di un mito, una festa di ringraziamento per uno di loro, e una sorta di funerale allegro in ritardo.

Il secondo fattore è puramente di riscaldamento, anche se, visto il caldo che fa dentro l'Estragon la cosa può far sorridere. La prestazione collettiva della band, Garcia compreso, è "diesel", ed ingrana mano a mano. E' probabile pure che, come ho giustamente trovato scritto in rete da più parti, nessuno dei Garcia Plays Kyuss si aspettasse un successo di pubblico come quello che c'è qui stasera: in fondo, neppure ai tempi dei Kyuss "originali", i "figli del deserto" riscossero grandi successi di pubblico, in termini di numeri.

Mi sento di mettere in piedi questa specie di teoria, forte del fatto che l'esecuzione di Green Machine, unico pezzo annunciato prima dell'esecuzione da Garcia, avvenuta verso la fine del set, è probabilmente il punto più alto della serata, ed è una specie di delirio collettivo.


La riflessione da fare, inoltre, è la seguente. In scaletta trovano posto, in un'ora e mezzo circa, pezzi come Apothecaries' Weight, Allen's Wrench, Hurricane, 100°, One Inch Man, El Rodeo, Size Queen, Supa Scoopa and Mighty Scoop, Asteroid, Demon Cleaner, Odyssey, Gardenia, tutte cose scritte tra il 1992 e il 1995. Ebbene, signori, a distanza di 15/18 anni, ancora grandi, grandi, grandi canzoni.


Poco altro da aggiungere, se non un grazie a John Garcia, che ci ha regalato una serata come questa.

servi e padroni


Il servo ungherese – di Massimo Piesco e Giorgio Molteni 2004


Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)

Giudizio vernacolare: par d'esse a teatro

Seconda Guerra Mondiale, in un campo di sterminio nazista il rapporto coniugale tra il direttore del campo, August (Tomas Arana, molto bravo), e la moglie Franziska (Chiara Conti, inespressiva; non si capisce se per la parte, in quel caso davvero brava, oppure perché è davvero un’attrice inespressiva) è diventato freddo; diventa addirittura conflittuale quando August si fa assegnare un servo (Andrea Renzi, più televisivo che teatrale), un ebreo ungherese colto, che si “insinua” tra i due con le sue osservazioni profonde e il suo amore per la cultura, nel tentativo di salvare la sua vita e quella degli altri ebrei.

Una storia bella e intensa, rovinata in parte dallo stile teatrale trasposto al cinema (non sempre riesce bene), e da alcune recitazioni un po’ troppo ingessate.

20100707

verze


il lavoro odierno

a volte è come se chiedeste a hemingway di scrivere solo l'alfabeto.

sapevatelo

che poi ben harper ha cominciato la discesa subito dopo aver iniziato a frequentare eddie vedder.

angelino

Leggo questo:

"...dopo la richiesta formale da parte della commissione Giustizia del Senato di reintrodurre nel testo la norma che estende lo scudo processuale per ministri e presidente del Consiglio ai reati commessi prima di assumere la carica..."

da questo lancio d'agenzia.

Ora, bisognerebbe che uno a caso dei sostenitori di Berlusconi (uno di quelli che dice che lui è l'uomo del fare, che si è fatto da solo, che non è un politico ma un imprenditore e che ci vuole gente così per far funzionare l'Italia, che sono solo bugie dei comunisti quelle che dicono che è sceso in politica solo per salvarsi dal carcere ecc.ecc.) mi spiegasse l'utilità di questo cavillo.

Io aspetto qui eh.

canzoni (di altri)


Cover - Joan As Police Woman (2009)



Grazie all'amico Iacopo, sono venuto a conoscenza di questo album relativamente nuovo di Joan Wasser, inizialmente distribuito ai concerti della stessa. Joan si diverte a stravolgere una serie di pezzi dalle origini più disparate, piegandoli al suo stile inconfondibile, riuscendo nell'impresa di rendere Overprotected di Britney Spears il pezzo decisamente più godibile del lavoro.

Lavora per sottrazione e per inserimento dosato di elettronica, sovverte spesso l'attitudine del pezzo (palese con Lady di Adam And The Ants e con She Watch Channel Zero dei Public Enemy per dire, ma un po' con tutti i pezzi del disco); il risultato, mi viene da dire come sempre, nel caso di Joan, è un disco non immediatamente fruibile e digeribile, ma molto interessante, da ascoltare lentamente, da sviscerare, da assaporare, da scoprire.

Per la fredda cronaca, ci sono pure la toccante Keeper Of The Flame di Nina Simone (non sono sicurissimo, ma secondo me a volte l'ha fatta pure dal vivo; per la precisione è di Charles Derringer), una rarefatta Fire di Jimi Hendrix in apertura, una serie di pezzi originariamente hip-hop (già detto dei Public Enemy), Ringleader Man di T-Pain e Whatever You Like di T.I., una Sacred Trickster dei Sonic Youth resa "etnica", un paio di mostri sacri quali Iggy Pop con Baby e David Bowie con Sweet Thing.

achilles last stand


Troy – di Wolfgang Petersen 2004


Giudizio sintetico: si può perdere (2/5)

Giudizio vernacolare: ma...o che era un manfruito anco achille?

Oltre 3000 anni fa, Agamennone regnava, con la forza più che con il senno, sulla Grecia; la fuga di Elena, bella e giovane moglie del fratello Menelao, con Paride, figlio di Priamo re di Troia e fratello minore di Ettore, gli offre il pretesto per attaccare definitivamente il loro regno; Achille, il guerriero greco più forte e leggendario, combatte per lui, ma non lo ama.

Si sarebbero potute perdonare a questo film le gravi incongruenze “storiche” e il fatto che ancora oggi come nei peplum del dopoguerra si continuano a preferire, ovviamente, gli attori di fama nonostante la “morfologia” non si addica alle fattezze storiche in questione, solo se in fondo, il film avesse dato emozioni forti. Così non è, e quasi tre ore sono dure da sopportare senza emozione.
E pensare che i personaggi che fornivano ampi spunti di approfondimento, a partire dalla figura di Achille, non mancavano davvero.

Invece, si risolve tutto in un susseguirsi di battaglie (alcune ben filmate, ad onor del vero), duelli, amori, discorsi epici piuttosto nulli, tutto rimane superficiale e, come già detto, poco emozionante.
Peter O’Toole francamente buffo con i capelli cotonati, cast con l’elettrocardiogramma piatto, Pitt talmente bello da risultare abbagliante (è un “problema” che ha spesso; si riflette poco su quanto sia bravo, anche se sicuramente quella in “Troy” non è la sua migliore interpretazione).