No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20090228

mama Africa 2


Ancora da D la Repubblica delle donne nr.634; le teorie di questa giovane economista sono di rottura ma davvero interessanti.



0086-0091: Call Cindia L'analisi di Dambisa
La trentenne economista dello Zambia attacca i protagonisti occidentali degli aiuti allo sviluppo. A cominciare dalle star


di Federico Rampini


Noi occidentali siamo convinti che è in corso un'invasione dell'Africa da parte dei cinesi, attirati dalle risorse naturali del Continente nero. Ci raffiguriamo la penetrazione degli interessi economici di Pechino come un saccheggio, una neocolonizzazione. Sorprende perciò il parere anticonformista di Dambisa Moyo, una giovane economista originaria dello Zambia che ha il coraggio di prenderci in contropiede. Secondo la Moyo (nella foto) per l'Africa è una benedizione lo sbarco in forze degli investitori asiatici, cinesi ma anche indiani. Non perché le nuove superpotenze economiche venute da Oriente siano meno avide ed egoiste degli europei e degli americani. Il beneficio per l'Africa nasce dal fatto che finalmente esiste una vera concorrenza tra gli investitori stranieri. Gli antichi colonizzatori occidentali devono reagire all'ingresso dei rivali. Le nazioni africane possono attirare capitali contando sulle proprie forze, non sulla carità e sulla logica degli aiuti. È proprio contro gli aiuti allo sviluppo che la Moyo ha scritto un libro destinato a fare scalpore: Dead Aid (pubblicato a Londra da Allen Lane). Fin qui le politiche economiche per lo sviluppo erano un terreno di caccia riservato a maschi bianchi, ricorda lo storico Nial Ferguson nella sua introduzione al saggio della Moyo: se ne occupavano economisti come Jeffrey Sachs o Joseph Stiglitz, rockstar come Bono e Bob Geldof. È la prima volta che una donna nera invade questo territorio, e di certo non passerà inosservata. La Moyo non ha complessi d'inferiorità verso i maîtres-à-penser occidentali. Trentenne, appartiene a una nuova generazione di "afropolitani", il neologismo coniato in Kenya per definire quei giovani che hanno avuto una formazione cosmopolita e hanno collezionato esperienze all'estero scrollandosi di dosso gli antichi complessi d'inferiorità. Lei di certo li ha persi da un pezzo. Con un master a Harvard e un dottorato a Oxford, esperienze di lavoro alla Banca mondiale e alla Goldman Sachs, non solo la Moyo padroneggia l'analisi economica ma ha anche il gusto della polemica. Attacca l'establishment occidentale degli aiuti allo sviluppo, cominciando proprio dalle star. Cosa diremmo noi occidentali, si chiede, se Michael Jackson fosse considerato un esperto capace di dare indicazioni a Obama sulla recessione? O se Britney Spears dicesse la sua sulla politica monetaria della Bce? E dunque perché mai gli africani devono tollerare che i cantanti rock siano considerati come dei guru sui problemi economici delle aree subsahariane? Dead Aid è una implacabile requisitoria contro mezzo secolo di aiuti all'Africa. La giovane nera lancia una tesi radicale: meglio smantellare tutto, interrompere i flussi dai Paesi donatori. L'aiuto, secondo lei, è fonte di corruzione e di inefficienza. Ciò che arriva gratis di fatto mette in difficoltà chi opera in loco in condizioni di mercato. I produttori locali sono incentivati a diventare dei parassiti dell'assistenzialismo. I debitori insolventi vengono mantenuti a galla. I politici sono incoraggiati nell'irresponsabilità, nel clientelismo, e nella ricerca di "legami preferenziali" con questo o quello Stato-donatore. Dambisa Moyo ne è certa: la cosa migliore che potrebbero fare i nostri governi, è annunciare una progressiva eliminazione degli aiuti. Secondo lei per i politici africani sarebbe un brutale risveglio, dovrebbero imparare ad attirare i capitali contando sulla vitalità delle proprie economie. L'Occidente a sua volta dovrà accettare la logica della sfida con la Cina e l'India per trovare progetti d'investimento competitivi, anziché consolarsi la coscienza con un po' di elargizioni umanitarie. L'economista dello Zambia non è un'integralista del neoliberismo. Non si illude che i mercati possano fare tutto da soli. Il suo saggio propone un ventaglio di riforme che vanno dal micro-credito a una migliore tutela dei diritti di proprietà per i contadini. Lungi dal predicare il laissez-faire, è una fautrice del rinnovamento politico e dell'autodeterminazione della società civile. A conclusione del suo libro ha messo un proverbio africano: "Il momento migliore per piantare un albero è vent'anni fa. Il secondo momento migliore è adesso". E a noi rivolge un appello pressante: è ora che sull'Africa accettiamo di ascoltare il parere degli africani.

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Visto che non sono in grado di leggere un romanzo in inglese, figuriamoci un saggio, non vedo l'ora che Dead Aid sia tradotto in italiano.

varie ed eventuali

Oggi giornata vissuta poco o niente. Questa mattina, nell'ambito degli ulteriori accertamenti sul mio problema intestinale che ormai mi tiene "impegnato" da un anno, sono andato a Cisanello, Pisa, a fare una radiografia all'intestino tenue. So che non è un argomento simpatico: vi posso dire che non è una cosa invasiva, ma nella scala della rottura di coglioni si colloca ad un livello abbastanza alto. Per non perdere giorni di lavoro, sono riuscito a farmi fare anche un prelievo di sangue e ho consegnato le feci, per altre due analisi; non mi sono mai fatto analizzare la merda tante volte come in questo ultimo anno a cavallo tra il 2008 e il 2009. Tra l'altro, strano ma vero, la merda puzza. Per fortuna, mio padre era venuto con me. Siamo partiti alle 6,30 e siamo tornati alle 12,00. Mi ha tenuto allegro e abbiamo parlato di politica e di Sanremo. Di situazione economica mondiale e del Livorno. Mentre aspettavo il prelievo ematologico gli ho fatto leggere l'ultimo numero di Internazionale. Gli è piaciuto. Mi ha detto che ha scritto a Tremonti per dargli alcuni suggerimenti contro la crisi economica. Mi sono fatto promettere che mi darà una copia di questa lettera, che ovviamente sarà qui pubblicata.
Alle 12,00, con un mal di testa che ormai durava da ieri alle 17,00, ho pranzato velocemente e sono andato a dormire. Mi sono svegliato alle 20,30. Per fortuna, c'è Piero Angela con lo speciale Superquark sul volto di Leonardo da Vinci, e, anche se il Bari ha vinto (rubando as usual), il Parma ha pareggiato.

Per l'ennesima volta, sono qui a mandare un saluto ad un'amica di questo blog che parte per l'Africa, non so di preciso per quanto. So che ci terrà tutti informati, e che non ci farà mancare i suoi racconti che ogni volta ci lasciano un po' a bocca aperta.
Ciao cara. A presto.

20090227

mama Africa 1


Il nr. 634 di D la Repubblica delle donne è tematico, dedicato all'Africa. Ne estraggo alcuni scritti che mi hanno colpito.


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Quand'è che l'Africa fa notizia? Solo quando si parla di guerra o di pietà di massa. La maggior parte dei giornali non ha corrispondenti qui. Persino i gruppi più grandi hanno un solo giornalista che copre un continente. Per giustificare questa spesa bisogna scrivere storie molto grosse. E così si fa strada il "giornalismo della pietà". Questo tipo di giornalismo finge di fregarsene ma non è vero. Mostrerà grandangoli di campi profughi, un po' di mosche negli occhi di bambini moribondi. Darfour. Kisangani. Ruanda. Ma nessuno spiegherà cosa sono davvero questi posti, l'attenzione è sullo spettacolo. Chi guarda è invitato a dire: "Dio, è terribile!". Forse manderà anche qualche dollaro. La gente pensa che l'Africa è fatta così: seduta a mendicare, a morire, ad aspettare che arrivino persone in mimetica per recitare la pietà. Ma è molto utile anche per politici e celebrities.Il copione è questo: le agenzie umanitarie hanno bisogno della copertura mediatica per avere i finanziamenti. Le Ong portano quindi i giornalisti in posti disastrati e gli offrono storie pietose. Vittime. In genere una donna con bambino è perfetta. Così la maggior parte del giornalismo sull'Africa in Europa è embedded - non diverso da quello in Iraq dove si dice ai media cosa comunicare. La differenza è che qui i media amano le Ong. E chi non le ama? Salvano delle vite. Ed è vero che in Africa succedono tante cose terribili. Ma parliamo di un continente con circa un miliardo di persone. L'Africa che "consumiamo" attraverso i media internazionali è fatta di personaggi da soap opera. Il loro mestiere è lamentarsi e mendicare. Non hanno sogni, speranze, progetti, passato e futuro. Sono soltanto dei neri lagnosi. Ma va bene mostrare questo lato perché i media sono caritatevoli. Hanno compassione. Non possono ammettere che invece questa è una specie di pornografia. Che fa anche vincere premi ai fotografi. Quale giornale pubblicherebbe il cadavere di un bianco? Quello di cui non si parla è il potere segreto di chi viene a salvarci. Chi recita la pietà non ammetterà mai il trip del potere, cioè guardare dall'alto in basso un altro essere umano e dire: io sono buono e loro sono patetici, anzi sono così buono che adesso li salvo. Questa ricerca di potere è la fonte di un sacco di soldi in circolo nella mia città, Nairobi, dove atterrano migliaia di persone giovani, naïf e ignoranti per aiutare, salvare e nutrire. Ecco perché l'economia di Nairobi è vibrante. Così, immagino che dovrei essere felice.


di Binyavanga Wainaina (foto)

Keniano, autore di How to Write About Africa (Kwani Books) e fondatore di Transition Magazine, rivista letteraria dell'Africa orientale. Dirige il Chinua Achebe Center for African Literature and Languages del Bard College a New York.

a proposito di banche e finanziarie - aggiornamento 2

La "Info" della mia banca ha risposto.

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Gentile Alessandro Marconcini, per tutelare la sua Privacy non ci è possibile analizzare l'iter di trasferimento del RID descritto e fornirle riscontro tramite e-mail sullo stato dello stesso e sui pagamenti effettuati. Per tale motivo, la informiamo di aver interessato al sua filiale Credem di Rosignano Solvay; il collega XXXX XXXXXXXX è a sua disposizione per effettuare i dovuti controlli e fornirle quindi la risposta che possa risolvere il disguido verificatosi.
Cordiali Saluti,
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Il collega indicato l'ho sentito più volte in questi giorni, ed è quello che mi ha risolto anche un'analoga situazione che si era creata qualche mese fa con la mia carta di credito. Ha provveduto prontamente a saldare la rata, ma mi ha detto, dopo la telefonata che ho ricevuto, di non pagare gli interessi, perchè lui aveva già litigato con loro pochi minuti prima (sono nella mia situazione diversi clienti), dicendogli che gli interessi non glieli avrebbe pagati nessuno.

vive la France

http://tv.repubblica.it/copertina/berlusconi-gaffe-con-sarko/29958?video
Come dare loro torto?
Avanti così Silvio.

20090226

giustizia

Per rinfrescare la memoria, in occasione della conferma dell'ulteriore (gliene hanno già dato uno in Francia) ergastolo a Alfredo Ignacio Astiz da parte della Cassazione italiana, rileggetevi cosa facevano questi allegri buontemponi in Argentina ai tempi di Videla.

Ecco perchè, le battute tipo quelle di Silvio (questa) su questo argomento, sarebbero da evitare. Quantomeno, da uno che si ritiene uno Statista.

è mio padre

Vi ho parlato qualche volta di mio padre. Il prossimo mese compirà 73 anni, è vedovo, fidanzato, pensionato, è nato in provincia di Pisa ed era juventino, ma ormai tifa solo Livorno, manda sms con le emoticon, naviga in internet, usa il laptop, ha sempre l'ultimo modello di cellulare, è tendenzialmente di destra ma democratico. Alle ultime elezioni ha votato PD perchè, testualmente (nel senso che me lo ha scritto via sms) "Silvio ha fatto troppi discorsi a questo giro". E' un tipo molto simpatico, e non lo dico perchè è mio padre, ve lo giuro.

Da qualche settimana, mi ha detto che gli è preso voglia di leggere. La settimana scorsa è venuto a casa mia ed ha preso in prestito Vergogna di J.M. Coetzee. Finito quello, ha preso Shock Economy di Naomi Klein (copia con dedica e autografo dell'autrice, grazie all'amica Daniela: sulla dedica c'è scritto To Jumby XO*). Ha detto che Vergogna non gli è piaciuto molto: è un po' debole nella seconda parte.

Non mi stupisco più di niente.

*XO = baci e abbracci

a proposito di banche e finanziarie - aggiornamento

Ho inviato copia dell'e-mail a Mi manda Rai Tre. Non si sa mai.

a proposito di banche e finanziarie

Quel che mi è capitato, lo capirete leggendo la mail che ho appena inviato. Mi piacerebbe mi mettessero dentro per 32 euro, e lasciassero a piede libero gente che ha rubato miliardi. Lascio i nomi degli istituti così ve ne potete tenere alla larga.
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from
jumbolo@gmail.com
5:30 pm (0 minutes ago)
to
info@credem.it , info@compassonline.it
date
Feb 26, 2009 5:30 PM
subject
pagamento rata in ritardo
mailed-by
gmail.com

Salve,

mi chiamo Alessandro Marconcini e sono un cliente Credem e Compass (di conseguenza, come spiegherò a breve). Sto restituendo un piccolo prestito da oltre due anni, prestito che ho ottenuto dalla filiale della Banca di San Geminiano e San Prospero sita in Rosignano Solvay (Livorno), poco distante da dove abito. La filiale è passata a Credem da qualche mese, mentre dopo pochi altri mesi, l'istituto finanziario al quale si è appoggiato la mia banca per il mio piccolo prestito ha "passato" il mio prestito a Compass. Questo quello che ho capito, da cliente di entrambi.

Qualche settimana fa ho ricevuto una lettera da Compass, unita ad un bollettino postale, dove Compass mi comunicava che non avevo pagato l'ultima rata del prestito che sto restituendo. Rimango basito e chiedo lumi alla mia banca, avendo domiciliato tutti i servizi e i pagamenti. Mi assistono nel miglior modo possibile e mi dicono di stare tranquillo, mi chiedono l'autorizzazione a un bonifico rapido verso Compass per sistemare la cosa. Spero che sia tutto risolto.

Pochi minuti fa mi chiama al mio cellulare una signora o signorina che si qualifica come dipendente Compass e mi intima di pagare gli interessi che venivano indicati chiaramente nella lettera che mi era stata recapitata, e di pagare mediante vaglia postale. Soavemente, ma minacciosa. Conclude con un "faccia lei" che sembra un tintinnare di manette. Non ricordo a memoria, ma su una rata di 194 euro mi vengono chiesti qualcosa come 32 euro di interessi di mora. Perchè? Perchè i vostri due istituti, nei vari cambi che si sono succeduti, hanno sbagliato un numero, qualcuno di voi ha digitato il mio vecchio RID invece di quello nuovo.

Sono una persona di 43 anni che non è mai andata in rosso in banca, che cerca sempre di non fare mai il passo più lungo della gamba. Sarò troppo suggestionabile, ma mi sento frustrato e umiliato da una situazione del genere.

Non posso credere che, nel 2009, non si possa risolvere una situazione del genere tra i due istituti, senza mettere a disagio il cliente di entrambi, un cliente che non ha mai dato nessun tipo di problema (anzi, i problemi, se in caso, li avete generati voi a me).

Mi auguro che si possa trovare una soluzione rapida, come se fossimo tra persone civili e ragionevoli, quale mi ritengo.

Distinti Saluti da un cliente profondamente deluso

radioline


Questi ragazzi dei dintorni di Alessandria sono al quinto disco. Ne avevo sempre letto, dalla critica di ultra-nicchia, ma per un motivo o per un altro, non ero mai riuscito ad ascoltarli. Alla fine mi sono deciso, ed ho ascoltato il loro nuovo Libro audio. Un'esperienza scioccante, lo confesso. Un fiume di parole, ma mai a caso. Elettro-Hip hop duro. Basi elettroniche dure e scarne. Critica sociale da non trascurare. C'è ovviamente il rischio di una certa monocordicità, ma i testi sono talmente interessanti quanto le basi ipnotiche, per cui, si può fare.

Se amate il rischio, fanno per voi.


Uochi Toki - Libro audio

ministri del tempo


Quando li sentii per la prima volta (I soldi sono finiti), mi parvero una band di buontemponi rock. Il suono è quello derivato dal metal, il cantato in italiano con una decisa inflessione milanese (subito una tirata d'orecchie per tutte quelle "e" aperte), so che vi sembrerà strano, a livello di timbro mi ricorda a volte Fernando Ruiz Díaz dei Catupecu Machu (band con la quale hanno assonanze anche musicali, soprattutto nei pezzi tirati). Invece, ascoltando meglio i testi, si capisce che questi tre ragazzi milanesi hanno diverse cose da dire, e la giusta quantità di rabbia in corpo.

Dopo l'EP La piazza, è uscito da poche settimane questo Tempi bui (mai titolo fu più adeguato), che si candida ad entrare tra i migliori 10 dischi del 2009. I suoni si affinano senza perdere l'adeguata aggressività, i testi continuano ad essere affilati come una buona lama; non mancano i potenziali "singoli": la title-track (già un inno generazionale, sappiatelo), Diritto al tetto (già in La piazza, e ancora tra le mie preferite, quasi un pezzo punk, urlato da Davide come si deve, con un testo molto bello e un ritornello indimenticabile), La faccia di Briatore (già il titolo dice molto), Bevo (un riff iniziale davvero bello). I pezzi meno tirati sono quasi tutti delle semi-ballad atipiche, molto particolari: bellissima Il futuro è una trappola.

Nessun particolare virtuosismo, ma grande compattezza. Interludi (e anche dentro un pezzo) di musica etnica: tammurriata, canti anatoliani, canti in griko, canti turchi e vecchi canti tradizionali del sud. Nonostante questo, davvero pochi fronzoli e grande padronanza dei generi, ben miscelati.

Ai testi manca poco per diventare indimenticabili, si coglie la semplicità ma anche la ricerca della frase ad effetto, e una discreta cultura di fondo.


I nuovi Afterhours? Può darsi. Senza ego incontrollabili, potrebbero anche andare più lontano.




Ministri - Tempi bui

on strike again

Sembra un gioco di rimandi, e in effetti lo è. Ero sul pezzo, per così dire, e ho espresso prontamente il mio commento; ma ovviamente, attendevo chi potesse spiegarsi e spiegarci meglio, essendo "del ramo". Puntualmente, ecco una chiarissima e semplice spiegazione del perchè l'ulteriore mossa del governo dalla dittatura morbida è contro le classi medio-basse, antidemocratico, e pure un po' fascio.
Leggetevi il post dell'amico Monty.

20090225

sana e robusta


Sarà anche di parte, ma a me Robecchi fa piegare dal ridere (ovviamente per non piangere). Ringrazio l'amico Follo che ha copiaincollato questo suo (di Robecchi) voi siete qui del 15 febbraio dal Manifesto.

Veramente, ma veramente, un pezzo fantastico. Ripeto, se non fosse così tristemente vero.

Ecco a voi.

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Voi siete qui


Sana e robusta Costituzione


di Alessandro Robecchi


Ho assistito con commozione infinita alla difesa della nostra Costituzione attuata in questi giorni da uomini e donne di buona volontà. Manifestazioni, dichiarazioni, persino cortei inneggianti. Mi è persino venuta voglia di leggerla, partendo dai principi fondamentali, insomma dai primi articoli. Ha ragione il Presidente (della Repubblica, non quello del Milan): teniamocela ben stretta. E magari, guarda un po’ che pretesa, cominciamo pure ad applicarla!


Articolo 1. Repubblica fondata sul lavoro, ecc. ecc. Dico, ma è davvero fantastico! Questo articolo viene rinnovato ogni tre mesi.

Articolo 2. Garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, a meno che non sei uomo sbarcato a Lampedusa.

Articolo 3. Tutti uguali davanti alla legge ecc. ecc., a meno che non puoi giovarti del lodo Alfano.

Articolo 4. Garantisce il diritto al lavoro. Vedi art. 1.

Articolo 7. Stato e Chiesa Cattolica sono indipendenti e sovrani. Molto divertente.

Articolo 8. Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge. Però il minareto è una provocazione.

Articolo 9. Sviluppo della ricerca scientifica. Garantito soltanto nel ramo “trapianto di capelli”.

Articolo 10. Asilo per gli stranieri che non abbiano in patria gli stessi diritti garantiti da questa Costituzione. Vedi art. 2. L’art. 10 potrebbe essere rimpatriato da un momento all’altro.

Articolo 11. L’Italia ripudia la guerra. Dipende da dove, da come, da chi ci arruola e perché.

Articolo 32. La salute come fondamentale diritto dell’individuo e tutela della collettività. A meno che non intervengano le leggi razziali del ministro Maroni, e il medico non ti denunci come clandestino.


Bella, eh! Davvero avanzata la nostra Costituzione! Difendiamola! Chissà se l’approvano, un giorno o l’altro!

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Lo dico ancora: fantastico.

on strike


E con questo ddl, siamo a posto. Risolti i problemi dell'Italia. Con la riforma Gelmini, Brunetta contro i fannulloni, la CAI, lodo Alfano, le ronde e via discorrendo, ecco una specie di divieto di sciopero e, addirittura, lo sciopero virtuale. Con la scusa dei servizi essenziali.


A breve, la tessera per il pane (la Social Card .2). Silvio ha vinto. Gelli ha vinto. Chiamate uno stregone che dobbiamo far resuscitare Che Guevara.

At the end of the day it's all about pain and sadness


Gli appassionati di cinema, e anche qualche curioso, stanno aspettando con impazienza l'uscita (venerdì 6 marzo) di The Wrestler, di Darren Aronofski con Mickey Rourke, Marisa Tomei ed Evan Rachel Wood. Io compreso.


Il wrestling è una cosa, per quello che capisco io, cioè niente su questo argomento, a metà tra lo sport e la finzione. Un caro amico, che ama il wrestling e lo segue con passione, sostiene che la scarsissima conoscenza del tema potrebbe fuorviare la visione e, di seguito, la piena comprensione del film. Gli ho chiesto di cercare di spiegarlo anche a noi che non siamo esperti. Ne è uscito fuori qualcosa che merita di essere letto. Non avevo molti dubbi in merito, visto che ho molta stima del ragazzo. A voi il giudizio e la piacevole lettura.

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At the end of the day it's all about pain and sadness


di Ndruglio


Un mese fa vedevo una delle ultime puntate della, qui apprezzatissima, serie Californication, ed Ashby (un personaggio fantastico, un produttore rock sul quale il protagonista Hank Moody sta scrivendo un libro, una sorta di biografia, n.d.Jumbolo) esce di scena con questa frase: "At the end of the day it's all about her"(più o meno, visto che parlavano di donne, "alla fine, tutto gira intorno a lei" riferendosi al fatto che puoi infilarlo dove ti pare, ma se ami una persona alla fine ti manca, n.d.Jumbolo). Ha aperto uno spiraglio nel cassetto dei ricordi, tra le frasi incastonate fra loro si è staccata la più o meno simile, quanto meno a livello sonoro, non certamente a livello semantico: "At the end of the day, it's all about pain and sadness"(sempre più o meno, "fondamentalmente, è tutta una questione di dolore e tristezza", n.d.Jumbolo). Non ricordo da chi è stata pronunciata, nè in quale occasione. Ricordo perfettamente il contesto. Un wrestler di vecchia data spiega ad un suo neo-collega che tutto ciò che in apparenza luccica è una meravigliosa illusione.


Quanto duro possa essere il mondo del wrestling non lo capirai mai finchè qualcuno, per errore o per bestialità, non ti infila giù per la gola gli ultimi denti restanti. Ale, jumbolo, mi ha gentilmente chiesto, di scrivere e spiegare perchè, secondo il mio parere da wrestling fan, coloro che non vivono questa disciplina come passione non riusciranno a carpire e a capire a fondo la drammaticità di determinate situazioni inerenti il film The Wrestler. Ed io non potevo fare a meno di accettare. Anche perchè era il suo compleanno. Ho già spiegato ad Ale che sarà dura per me evitare di essere prolisso. Ma farò di tutto per esserlo il meno possibile.


Non posso fare a meno di identificarmi con coloro i quali, vedendo di sfuggita uno show di wrestling in mia compagnia, mi fanno notare quanto ridicole siano alcune cose inerenti lo show. L'esempio più palese forse è quello di mio padre. Spesso arriva a casa, io vedo in televisione due omoni che se le danno di santa ragione, e neanche il tempo di chiudere il portone inizia a prendere per il culo i due commentatori che certamente ci mettono del loro a rendere lo show inguardabile per il non appassionato. Metteteci la fictio sportiva delle mazzate e la frittata è fatta. Ogni tanto gli scappa un'inevitabile: "Però comunque la mazzata la piglia". Il pubblico che segue, mangia e respira wrestling credo abbia un q.i. dannatamente inferiore alla media. Non è certamente roba per intellettuali. Tra di loro c'è chi santifica la boxe chi la lotta greco romana, chi le arti marziali orientali. L'importante è che si picchino davvero. Come potrebbe essere divertente da vedere un uomo che da un finto pugno all'avversario? Effettivamente è dura da spiegare, è dura convincere le persone, è da anni che inutilmente ci provo. La realtà è che se volessi vedere un pugno guarderei la boxe, se volessi vedere una proiezione ben fatta opterei per la lotta greco-romana se volessi ammirare l'agilità del corpo sceglierei le arti marziali. Ma io voglio vedere tutto, condito da un melodrammatico sottofondo da fiction poco impegnativa, nella quale se X urta l'onore di Y stai ben certo che Y risponderà senza alcun tipo di paura. Allora vedo il wrestling.


Sulla definizione di wrestling ci potremmo stare mezza giornata e non concluderemmo niente. Voglio chiarire che tutto quanto è stato detto e quanto dirò è solamente una opinione personale ed un personalissimo punto di vista. Non pretendo di avere la verità in pugno su quanto succede nella mente di chi ci intrattiene con cotanta professionalità. A me ha fatto decisamente impazzire la frase che da il titolo al pezzo, che, detta, come credo, da una leggenda del business, fa il suo dannato effetto. Non c'è scenografia che tenga, dal Madison Square Garden alle grezze, sparute e scarne arene della Ring of Honor [Federazione indipendente che ha concesso i propri ring e la propria attrezzatura durante la realizzazione del film - vorrei spiegarmi meglio ma sarei spoiler - (per i meno addentro al linguaggio della rete: rivelerei particolari del film che potrebbero svelare parte della trama, n.d.Jumbolo)] niente è comparabile a quei 15-20 minuti che ti spettano sul ring ogni serata. Un copione da ripetere alla perfezione come un attore di teatro per circa 300 sere all'anno. Lontani dalle famiglie, lontani dalla possibilità di affidarsi a dei punti di riferimento che non siano gli old school del backstage (vecchi wrestlers). Impossibilitati a soffrire per il dolore causato da fratture et similia per non deludere i fans, siano essi lì per te o per il tuo avversario. Le cicatrici che portano sul corpo queste generose e possenti evoluzioni delle stelle circensi, sono nulle rispetto a quanto doloroso e triste sia il loro cammino personale.

E' importante, necessario per un wrestler essere in grado di raccontare una storia. Sia esso il rappresentante del male che attenta al successo della giustiza, piuttosto che il valoroso paladino che prova a far sì che effettivamente quel successo sia compiuto. Non puoi evitare, una volta sul ring, di entrare nei panni del tuo personaggio, e fare di tutto per trionfare, per sentire il pubblico cantare il tuo nome. Distruggi il tuo corpo per quel momento. Vivi una vita di sacrificio per 3 minuti a notte di cori a te dedicati. E nonostante il tutto, fondamentalmente, sia riassumibile in dolore e tristezza, non puoi fare a meno di tornare la sera dopo a interpretare quel personaggio. Non puoi fare a meno di tornare a interpretare te stesso. Rimandando quanto più possibile il momento dell'addio. Con buona pace di quello che eri. Con il terrore totale di ciò che sarai.


Peace and lol

ndruglio

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Il ragazzo ha stoffa. Grazie. Alla prossima consulenza.

20090224

e ora?

Da Repubblica


Secondo i numeri forniti dal ministero dell'Interno solo il 7% dei violentatori è romeno, il 6% marocchino
Stupri, i dati del Viminale"Il 60% opera di italiani"


ROMA - Gli autori delle violenze sessuali sono italiani in più di sei casi su dieci. E' il dato reso noto dal Viminale durante un convegno dedicato alla violenza sulle donne, che si è tenuto oggi a Roma. Il ministero dell'Interno ha detto che gli autori di stupro sono di nazionalità italiana nel 60,9% casi. Solo il 7,8% dei violentatori, invece, è romeno, mentre il 6,3% è marocchino. Il ministero precisa poi che le vittime sono donne nella gran parte dei casi (85,3%) e che nel 68,9% dei casi sono di nazionalità italiana.





I numeri sono nazionali, ma ci sono anche dati relativi alle singole zone e città. "Vicino Roma il dato cambia", ha sottolineato il capo di gabinetto delle Pari opportunità, Simonetta Matone. Rimane la prevalenza degli italiani, ma nei dintorni della capitale la percentuale scende "al 48%", mentre quella dei romeni "sale al 28%".


Dalle informazioni a disposizione del Viminale si evidenzia anche che a Milano, ad esempio, le violenze sessuali sono diminuite nel triennio 2006-2008: si passa dai 526 episodi del 2006 ai 480 del 2008. Anche qui però prevalgono gli italiani tra gli autori del reato: nel 41% dei casi denunciati il responsabile è cittadino italiano, nell'11% romeno, nell'8% egiziano e nel 7% marocchino.


A Bologna il fenomeno ha fatto registrare un netto calo, passando da 179 episodi nel 2006 a 139 nel 2008. Con rifeimento alla nazionalità degli autori, risultano nel 47% dei casi italiani, nell11% dei casi marocchini e nel 10 % romeni.


Matone ha annunciato che il governo si appresta a lanciare il piano nazionale anti-stupri, con una serie di interventi nelle scuole e "corsi di formazione di base per tutti i corpi delle forze dell'ordine, polizia, carabinieri e guardie di finanza, destinati a trattare la violenza sessuale e quella in famiglia".
(24 febbraio 2009)


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Ora, a parte che è abbastanza disgustoso pubblicare dati del genere, ma esistono ed è bene confrontarcisi. La cosa che colpisce di più è che il Viminale non dà l'andamento complessivo, fateci caso: Milano e Bologna in calo, su Roma non dice niente, ma segnala che lì gli stupri commessi da italiani "calano" in percentuale rispetto alla media nazionale (rimanendo comunque "maggioritari"; ovviamente si potrebbero fare le percentuali riferite ai residenti, ecc.ecc. ma fermiamoci qui). Si fa presto a manipolare o quantomeno, a "leggere" o a far leggere, meglio, percepire in un certo modo i dati.





Ma alla fine, la domanda da porsi è: le ronde chi devono tenere d'occhio? Gli italiani, quindi, giusto?





Avanti così, facciamoci del male.

mi chiedo


Leggo questa notizia, soprattutto questa parte:


«Nei prossimi anni ci dovrà essere la posa della prima pietra di una centrale nucleare pulita e sicura italiana». Lo ha detto il ministro degli esteri Franco Frattini a Skytg24.


E poi mi domando: ma non c'era stato un referendum in proposito in Italia? Quindi? Va bene così?

cuarenta y tres


E a questo giro sono 43. Un pensiero veloce e stanco prima di andare a dormire.
Li sento tutti nel fisico. Forse anche qualcuno di più.
Per altre cose, alcune delle quali sarebbero forse troppo autocommiserative da rivelarvi, ma non solo, me ne sento meno della metà.
Certo, ci sono "campi" dove mi mancano esperienze. A chi non mancano. In altri ne ho. Ma comunque, come disse un grande personaggio, confesso che ho vissuto. Spesso anche intensamente.
C'è, spero, ancora della strada da fare. Qualcuno mi accompagnerà, a tratti. E se non mi accompagnerà nessuno, andrò da solo.
Mi dedico due canzoni, in questa notte di festeggiamenti silenziosi.

La prima è Same Mistake di James Blunt

Stesso Sbaglio

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Così mentre mi giro tra le mie lenzuola
e ancora una volta non riesco a dormire
esco fuori dalla porta e vado in strada
guardo le stelle sotto i miei piedi
ricordando cose giuste che ho sbagliato
così vado via
ciao,ciao
non c’è posto in cui non posso andare
la mia mente è confusa ma
il mio cuore è pesante e lo dimostra
perdo il sentiero, che perde me
così vado via
e così ho inviato alcuni uomini a combattere
e uno di loro è tornato indietro al morire della notte
ha detto di aver visto il mio nemico
ha detto che assomigliava a me
così ho deciso di eliminare me stesso
e così vado via
non sto chiedendo una seconda possibilità
sto urlando a squarciagola
dammi una ragione, non darmi una scelta
perchè farò ancora lo stesso sbaglio
e forse un giorno ci incontreremo
e forse parleremo, ma non tanto per parlare
non comprare promesse perchè
non ci sono promesse che mantengo
e la mia riflessione mi turba
e così vado via
non sto chiedendo una seconda possibilità
sto urlando a squarciagola
dammi una ragione, non darmi una scelta
perchè farò ancora lo stesso sbaglio
così mentre mi giro tra le mie lenzuola
e ancora una volta non riesco a dormire
esco fuori dalla porta e vado in strada
guardo le stelle che cadono
e mi chiedo dove ho sbagliato?

La seconda è The Wrestler di Bruce Springsteen

Il lottatore (più o meno, avete capito dai)
========
Hai mai visto uno stupido pony in un campo così felice e libero?
Se lo hai mai visto allora hai visto me
Hai mai visto un cane con una zampa sola che cammina per strada?
Se lo hai mai visto allora hai visto me
Allora hai visto me, quello che arriva e aspetta davanti ad ogni porta
Allora hai visto me,
quello che se ne va sempre con qualcosa in meno rispetto a quando è arrivato
Allora hai visto me, scommetti che riesco a farti sorridere quando il sangue bagna il pavimento
Dimmi, amico, puoi avere qualcos'altro?
Dimmi, puoi chiedere qualcos'altro?
Hai mai visto uno spaventapasseri pieno solo di polvere e fieno?
Se hai mai visto quello spaventapasseri allora hai visto me
Hai mai visto un uomo con un braccio solo prendere a pugni l'aria?
Se hai mai visto quest'uomo con un braccio solo allora hai visto me
Allora hai visto me, quello che arriva e aspetta davanti ad ogni porta
Allora hai visto me, quello che se ne va sempre con qualcosa in meno rispetto a prima
Allora hai visto me, scommetti che riesco a farti sorridere quando il sangue bagna il pavimento
Dimmi, amico, puoi avere qualcos'altro?
Dimmi, puoi chiedere qualcos'altro?
Mi allontano dalle cose che mi hanno procurato conforto
Non posso rimanere nel luogo che considero la mia casa
La mia unica fede risiede nelle ossa rotte e nei lividi che mostro
Hai mai visto un uomo con una gamba sola che prova a danzare per trovare la sua libertà?
Se hai visto quell'uomo con una gamba sola allora hai visto me

===============

Foto di Dria

20090223

and the Oscar goes to...


les particules elementaires


Le particelle elementari - di Michel Houellebecq


Come forse avrete intuito, parlo di letteratura da ignorante, autodidatta, e poco preparato. Mi fido del mio intuito anche se non sono per niente sicuro di averne. Ho letto il primo libro di Houellebecq, Piattaforma nel centro del mondo, circa un anno fa, avendolo acquistato molti anni prima. Ne sono rimasto affascinato, e da poco mi sono cimentato con questo Le particelle elementari, dal quale fu tratto un film che mi piacque molto. Per prima cosa, c'è da dire che il film con il libro c'entra veramente poco; inutile dire che il libro è superiore. E' proprio diverso quello che la storia insegue. Oserei dire che è un libro di fantascienza.


Michel e Bruno sono fratellastri, accomunati da una madre che li abbandona, al pari dei padri, personaggi che rifuggono completamente le loro responsabilità e aiutati dalla ricchezza. I due poveretti crescono agli antipodi, come infanzia e diventano adulti completamente differenti. Michel si fa scappare l'amore della sua vita da sotto gli occhi, e dedica invece l'esistenza alla ricerca scientifica, diventando una persona esageratamente razionale che accantona i sentimenti del tutto. Bruno vive un infanzia piena di angherie in un collegio che devasterebbe chiunque, ma tutto sommato si riprende, diventando professore di lettere ma conservando una personalità al limite della normalità: infatti, gli istituti di igiene mentale sono sempre lì che lo aspettano, e lui spesso si ritrova a soggiornarvi, soprattutto a causa del suo rapporto ossessivo col sesso. Si ritrovano già adulti, e il loro rapporto proseguirà in maniera strana ma, in un certo qual modo, li aiuterà ad affrontare ciò che resta loro da vivere. Fin dall'inizio però, si intuisce che il narratore parla di loro per arrivare ad una conclusione molto più grande ed importante. Così sarà.


Credo che Houellebecq sia un filosofo, prima di essere uno scrittore, o un artista in generale. Anche se la storia della sua vita incide sempre fortemente nei suoi romanzi, la meta che persegue è sempre un passo più avanti. L'orizzonte dei suoi ragionamenti è da grande intellettuale, uno di quelli che ragione veramente di massimi sistemi, e soprattutto riflette davvero sul senso di questa vita. Ribadisco, come feci per Piattaforma, che la forma è relativamente importante, rispetto alla sostanza, anche se lo stridente contrasto tra il suo essere sbalorditivamente diretto in alcuni casi, come quando parla di sesso o di storia, e quando invece parla di scienza, risulta impegnativo ma stimolante.

Le riflessioni, che non solo scrive, ma che innesca, sono al tempo stesso intime e profonde, con una veduta sulla storia dell'uomo amplissima.

Probabilmente ne conosco pochi per giudicare, ma Houellebecq mi pare decisamente uno degli autori europei più interessanti che ci siano in giro.

20090222

grido (di disperazione)


Ecco una recensione che non avrei mai voluto scrivere. Ma, se anche l'amore finisce, pure le belle storie hanno una fine, a volte ignobile. Ascoltare Scream, il nuovo disco solista dell'uomo che ha fatto sognare un'intera generazione con la sua voce, sto parlando di Chris Cornell, è come fare quattro passi lungo un viottolo sull'orlo di un burrone profondissimo: ti fa venir voglia di buttarti di sotto e morire. Il disco è prodotto dal famosissimo Timbaland, ma è come se fosse frutto di un duo. Il lato forse peggiore, è che anche Timbaland è parecchio sottotono in questo disco, perchè invece di inventarsi o pensare a qualcosa di nuovo, avendo per le mani un artista dalla voce immensa, si limita a produrre una versione adulta di Justin Timberlake. Il problema, soprattutto per i videoclip, come già mi pare di aver sentito da qualcuno, è che Cornell, nonostante abbia ormai quasi 45 anni e rimanga un uomo bellissimo (lo dico con sincerità, e spero che mi crediate se vi dico che la recensione non è assolutamente influenzata dall'invidia), non sa ballare. Suona ironico, vero? E invece non è questo che voglio trasmettere. E' solo infinitamente triste.

E' inutile girarci intorno: come già ebbi a dire in occasione di altre recensioni, non si può prescindere dal passato, quando ci si confronta con artisti di questo calibro. Il passato, come le dimensioni nel caso di Godzilla (e anche di qualcos'altro), conta eccome. Dando un'occhiata alla carriera e alla discografia di Cornell, si ha l'impressione di una rovinosa discesa negli ultimi anni. Per i pochi che non lo sanno, Cornell è stato il cantante (e fondatore, anche in qualità di batterista) dei Soundgarden, componente della band "temporanea" (un misto di Soundgarden e Pearl Jam, come dire, non gli ultimi arrivati) Temple Of The Dog, che dette alle stampe un album di quelli da portare sull'isola deserta, dopo di che è stato negli Audioslave con i tre ex Rage Against The Machine orfani di Zack de la Rocha, dopo aver fatto uscire un disco solista molto diverso da quello che faceva con i Soundgarden, ma non per questo non apprezzabile, dal titolo Euphoria Morning, che si ispirava al suo lato melodico/acustico e rendeva omaggio, tra l'altro, all'amico Jeff Buckley (in particolare nel pezzo Wave Goodbye). Dopo il primo disco degli Audioslave, dal titolo omonimo, nel 2002, tutto è andato a rotoli. I due dischi successivi degli Audioslave sono uno peggiore dell'altro, e il secondo disco solista di Cornell, Carry On, non sfiora neppure la dignità di Euphoria. Eppure, l'artista è capace di toccare le corde del cuore. Un unplugged pirata, che gira in rete dalla fine del 2006, e del quale parlammo a suo tempo, dimostra che il vecchio Chris può ancora fare grandi cose. Per assurdo, l'unico pezzo decente di Scream è il conclusivo Two Drink Minimum, che a quanto ne so non appare in tutte le versioni. Questo suo tentativo di mettersi al passo con i tempi, per mezzo delle mani di Timbaland, è un buco nell'acqua tremendo, nonostante la bella copertina. Speriamo se ne renda conto e non insista su questa linea.

Altrimenti, reciteremo in suo Riposi In Pace, e così sarà.


Chris Cornell - Scream

storia interessante

Qualcosa che funziona in Italia.

a voce alta


The Reader - di Stephen Daldry 2009


Giudizio sintetico: da vedere


1995, Berlino. Michael Berg è divorziato, ha una figlia grande che non vede spesso, e dopo che la sua compagna di una notte se n'è andata, si mette a guardare, con il suo sguardo perennemente triste, dalla finestra il treno della S-Bahn che passa proprio lì davanti. Un ricordo si sovrappone: lui, bagnato fradicio, su di un tram, nel 1958, a Neustadt, giovanissimo e con la scarlattina in corpo, senza ancora saperlo. Scende dal tram e cerca riparo in un portone, e comincia a vomitare. Lo soccorre la bigliettaia del tram, Hanna Schmitz, una donna dai modi bruschi ma di certo bella. Dopo alcuni mesi di convalescenza, torna di nuovo a cercarla con un mazzo di fiori per ringraziarla. Comincia una storia d'amore complessa, tra una donna di 36 anni che, evidentemente, nasconde un tremendo passato, che trapela dai modi bruschi e dagli scatti d'ira improvvisi, e un ragazzo di 15 anni che Hanna inizia alle gioie del sesso, unico momento nel quale lei stessa diventa dolcissima e tenera. Altri momenti accomunano teneramente i due: quando Hanna chiede a Michael di leggerle a voce alta i grandi classici che lui studia a scuola. Dopo l'estate, Hanna sparisce senza lasciare traccia. Michael cresce con un vuoto incolmabile dentro di sè, ma poco a poco diventa uomo.

Michael adesso è un avvocato, infatti quella mattina (dell'inizio del film), guida la sua Mercedes fino al palazzo di giustizia. Qui, inizia un altro flashback, che ci porta nel 1966. Sta studiando legge nell'Università di Heidelberg, e sta seguendo un seminario tenuto dal professor Rohl, un sopravvissuto ai campi di sterminio: una parte importante del seminario è quella dove gli studenti seguono un processo a sei donne accusate di essere state collaboratrici delle SS ad Auschwitz, e di aver lasciato bruciare vive 300 donne ebree dentro una chiesa. Michael riconosce Hanna tra queste sei accusate, e, nonostante la comprensibile destabilizzazione, intuisce, dopo anni, un ulteriore segreto di Hanna, un segreto che si ostina a nascondere anche a costo di accollarsi tutta la responsabilità dell'accaduto.


Mi fermo qui con il riassunto sommario della trama, per non svelare il resto, e mi rendo conto di aver già detto troppo. Tratto dal romanzo Der Vorslere di Bernhard Schlink, voluto da Sydney Pollack e Anthony Minghella, entrambi deceduti durante la lavorazione, Daldry, regista parsimonioso nell'accettare lavori cinematografici, ma con un rendimento eccezionale (4 film, 3 dei quali plurinominati agli Oscar e non solo, Billy Elliot, The Hours, questo The Reader), si avvale del fidato David Hare, che traspose per il cinema (e per lui) The Hours di Michael Cunningham, per sceneggiare questa storia che ruota sull'olocausto, ma non ne fa un film su di esso, anzi. Ne esce qualcosa di più profondo, qualcosa in cui l'animo umano viene scandagliato a fondo, qualcosa che coinvolge il senso di colpa tedesco in maniera potente, e che addirittura stupisce per come questo fatto, questo sentimento possa essere stato così bene interpretato da un inglese. Ma, direi, non c'è solo questo. Il tutto può essere usato come una metafora universale, sull'amore, l'espiazione, il senso di colpa (come già detto), il rimorso, il pentimento, ma soprattutto su come certe esperienze, anche "retroattive", possano incidere sul proseguimento delle nostre vite terrene.

Alcuni recensori si sono soffermati sui difetti presunti del film. Posso concordare sul fatto che in qualche momento, la sovrapposizione dei piani temporali risulti frenetica, ma insomma, ad uno spettatore si richiede anche un minimo di intuizione. Come pure posso condividere le riserve su un finale che sembra la parte più debole della storia: mi sono trovato però a domandarmi come altro avrebbe potuto concludersi il film. Poi c'è la storia del trucco. La (straordinaria, ancora una volta) Winslet nel film passa da avere 36 anni ad averne 74, e sicuramente il trucco non è così accurato come quello visto per Brad Pitt in Il curioso caso di Benjamin Button (però anche lì, quello di Cate Blanchett non è così perfetto, quando invecchia); anche quello di Lena Olin, che, curiosamente, interpreta due particine, tra l'altro, di madre e figlia, a distanza di anni, non è così perfetto. Ma di certo non è questo il primo film dove ci ritroviamo a criticare il trucco per invecchiare degli attori e soprattutto delle attrici (mi viene in mente quello su Jennifer Connelly per A Beautiful Mind, inguardabile da vecchia, e non perchè brutta, ma perchè non credibile); il che potrebbe aprire una discussione ben più ampia, del tipo è il trucco che non è credibile oppure è lo spettatore che ha ormai un'immagine così glamour dell'attore o, meglio, dell'attrice in questione che non riesce a farsi convincere da un trucco che invecchia e, ovviamente, imbruttisce il personaggio in questione? Ma, sinceramente, non mi pare che queste osservazioni possano confutare il dato fondamentale che c'è in ballo: The Reader è un film che scuote le coscienze, e che emoziona in pieno.

Daldry accompagna la storia, sceglie ottime inquadrature, non è un innovatore ma un regista "emozionale", e cerca sempre la maniera per arrivare a toccare il cuore dello spettatore. Ancora una volta ci riesce in pieno. E poi come dirige gli attori. Detto che il personaggio di Hanna pare dovesse andare a Nicole Kidman (e anche qui, si potrebbe discutere a lungo di come sia possibile far andare una carriera a farsi friggere, se, per dire, si sceglie Australia invece di un film come questo, anche se non è andata, probabilmente, esattamente così, anzi, i ben informati dicono che la Kidman non ha potuto accettare perchè incinta), siamo qui ancora una volta a cantare le lodi di un'attrice sublime quale Kate Winslet, e, per una volta, a dare atto a Ralph Fiennes (che, devo confessarlo, per me è un semi-Dio da quando ha interpretato uno dei migliori film che io ricordi, e cioè Strange Days) che, con quella sua aria da cane bastonato, risulta perfettamente adatto a recitare una parte come quella di Michael adulto, una persona che vive la vita come un fardello pesantissimo da portarsi sulle spalle. Ottimo David Kross, giovanissimo tedesco di belle speranze, nei panni di Michael giovane, di Lena Olin abbiamo già detto ma la rivediamo con piacere seppur per pochi secondi, e c'è anche Alexandra Maria Lara, ormai come il prezzemolo, ma si capisce anche il perchè, visto che buca sempre lo schermo anche con 20 secondi di presenza.

Ripeto l'incipit, per una volta: un film da vedere.

giovanni sollima

vedere per credere


Religiolus - di Larry Charles 2009


Giudizio sintetico: si può vedere


Larry Charles, il regista di Borat, si avvale di Bill Maher, un comico americano molto famoso negli USA, ma sconosciuto da noi, per una specie di documentario sul dubbio che mette in discussione i fondamenti delle religioni monoteiste, le tre più importanti, cattolicesimo, ebraismo e islam, ed altre "minori".


Decisamente influenzato dallo stile di Michael Moore, questo Religiolus, che nell'originale è Religulous, evidente crasi tra religion e ridiculous, che non si capisce bene perchè sia cambiata nell'edizione italiana, è un lavoro che lascia un po' perplessi. A tratti divertente, anche se, in questo "campo", fortemente limitato dal fatto che Maher non sia assolutamente conosciuto in Italia e ovviamente dal doppiaggio, che fa perdere forza alla sua stessa comicità, a tratti davvero interessante per i dubbi che instilla e le informazioni che cita, ha il suo limite nella sua fortissima parzialità, e nella mancanza di un contraddittorio che si possa considerare serio. Quando Maher intervista, o meglio, si prende gioco, di vari personaggi credenti o che presumono di essere tali, prima di ridere si intuisce chiaramente che il 90 per cento degli intervistati sono persone di un livello bassissimo di cultura, e che quindi non possono far testo e neppure tenere testa, e per questo generare un qualcosa di interessante, al comico. I momenti migliori, forse meno divertenti ma veramente interessanti, sono quelli in cui Maher incontra due sacerdoti cattolici che risultano piuttosto aperti alla critica e dotati di una discreta e a tratti invidiabile vena ironica.

Alcune delle informazioni che Maher ci dà risultano interessanti, altre lasciano il tempo che trovano. La prima parte, a livello di ritmo, risulta un po' pesante, mentre nella seconda parte, a parte i succitati difetti, il ritmo aumenta e il livello di attenzione tende ad aumentare.


Come detto prima, operazione che lascia perplessi, e che avrebbe potuto essere molto migliore.

20090221

o mare nero mare nero mare ne


Mar Nero - di Federico Bondi 2009


Giudizio sintetico: si può vedere


Firenze, 2006. Gemma, anziana e acciaccata, rimane vedova. Il figlio Enrico vive e lavora a Trieste, troppo lontano per accudirla, per cui la affida ad una badante rumena: Angela. Gemma è una classica toscana, ma forse la vecchiaia l'ha indurita: si dimostra da subito molto diffidente e sgarbata con Angela, memore anche della precedente esperienza con un'altra badante. Angela, al contrario, si rivela paziente e devota, attenta e dolce. Pian piano, si conquista la fiducia e quasi l'amicizia di Gemma. Angela quindi si apre, e rivela che il suo grande amore, il marito, lavora duramente nel loro paese, Sulina, naturalmente in Romania, alla foce del Danubio; entrambi lavorano sodo per mettere da parte i soldi necessari per avere un figlio. Verso la fine dell'anno però, in corrispondenza con l'ingresso della Romania nell'Unione Europea, il marito di Angela smette di rispondere al telefono, e lei comincia a preoccuparsi, fino a decidere di tornare in Romania per verificare la situazione. Gemma non vuole rimanere sola...


Debutto nel lungometraggio per il fiorentino Bondi, che sceglie una storia vagamente autobiografica (il personaggio di Gemma è ispirato a sua nonna, e ovviamente il personaggio di Angela è ispirato alla di lei badante), e si fa aiutare dall'esperto Ugo Chiti per la sceneggiatura. Ne esce un film "piccolo" e delicato, provinciale nell'ambientazione, sia nella parte italiana (Gavinana e Rifredi, quartieri di Firenze, un'altra scena ancora più in periferia, forse fuori da Le Piagge addirittura, ma potrei sbagliarmi), sia in quella rumena, ma dal respiro internazionale, sia per l'universalità della storia, sia per i tempi, molto più ispirati al cinema orientale e medio-orientale che a quello occidentale; anche certe parti della storia, soprattutto verso il finale, sono accennate, sfiorate, non spiegate, al contrario dello stile occidentale di fare cinema.

E' vero anche che Bondi, non si sa quanto volontariamente, mette in luce anche un problema tutto italiano: il razzismo latente, sottotraccia, verso qualsiasi tipo di straniero che venga da paesi considerati più poveri o arretrati. Il personaggio di Gemma, interpretato in maniera egregia e molto teatrale da Ilaria Occhini, grande attrice anche e soprattutto di teatro (appunto), che tra l'altro si mostra coraggiosamente in tutta la sua "rugosità", a causa della luce naturale che il regista ha insistito per usare, anche quando si "scioglie" con Angela, rimane sempre in una posizione che considera superiore rispetto alla badante, con varie sfumature. Credo proprio, purtroppo, che più o meno, noi italiani siamo così.

Macchina da presa che si muove poco, ma abbastanza a suo agio sia negli interni, sia negli esterni, che però, forse, dà il suo meglio nei campi lunghi in Romania, direzione degli attori interessante: già detto della Occhini, molto brava anche l'altra protagonista Dorotheea Petre (Angela). Seppur brevemente, è un piacere anche rivedere sul grande schermo il grandissimo (per me) Corso Salani (Enrico, il figlio di Gemma).

Un film non esente da difetti, ma da sostenere.

editoriAle


Sarò breve, voglio andare a dormire e domani si va in trasferta. Sono indietro di alcune recensioni, inoltre questa sera ho visto, e molto, molto, molto apprezzato, The reader, un film davvero emozionante.

Ma parliamo davvero della situazione del paese.


Innanzitutto: quale paese? Anzi, quanti paesi? Leggete questo, poi riflettete. Anche i commenti, magari. Ma l'importante è realizzare il ponte sullo stretto.

Nel frattempo, via con le ronde. E' ufficiale. Stiamo tornando indietro di....quanto? 50? 100? Mille anni? E badate, che se il Vaticano arriva a dire che così finisce lo Stato di diritto....

La cosa che mi fa ridere è che lo stesso Vaticano sta facendo le cose davvero in grande con questo Papa qui: sono riusciti a far sospendere uno show televisivo in Israele perchè ironizzava su Gesù e sulla Madonna. Cioè, non so se vi rendete conto. E' un po' come se il rabbino capo facesse ritirare tutti i film dove ci sono battute sugli ebrei, magari anche quelle autoironiche dell'ebreo Woody Allen. E' una cosa davvero straordinaria: Israele tra un po' non dà più retta neppure agli USA, caga di continuo sul petto all'ONU, e questo Papa riesce a fargli sospendere un programma tv. Fantastico. Quasi quasi mi candido a Papa. Anche se sono convinto che Berlusconi ci ha già fatto un pensierino.

E la sinistra? Beh, la sinistra mi pare ben rappresentata. Il politico che dice le cose più di sinistra, da un po' di tempo a questa parte, e credo concordiate tutti, è senza ombra di dubbio quello che risponde al nome di Gianfranco Fini. Esattamente. Proprio questo qui nella foto, deriso e odiato da quelli di Forza Nuova.


Non c'è che dire. Siamo davvero messi bene.

20090220

hank!

grazie a monty per avermi passato i dischi di hank williams III .
straordinariamente country!
altezzoso, sfacciato, ritmico!

the player


A proposito del pranzo di domenica scorsa, qui una foto di gruppo fatta da Filo.

Da sinistra a destra: Massi, che adesso è già in Messico, io, Lafolle, Monty. Sullo scoglio di Quarto.

così si fa!

Bravi!

affinità


Parleremo a breve del nuovo disco dei Ministri, Tempi bui, un gran bel lavoro. Adesso, mi premeva esprimere il fatto che ho trovato una grande somiglianza tra questo mio post (usato per criticarmi in altra sede, ma è giusto così, fa parte del confronto), e il testo della title-track, appunto, Tempi bui, della quale esiste, e sta girando, già un video. Ecco il testo.


Tempi bui - Ministri


Veramente vivo in tempi bui
e non è per rovinarti il pranzo
che ti dico è arrivata la marea
e la tu la scambi per entusiasmo

veramente vivo in tempi bui
e non ho nulla di cui preoccuparmi
perché son diventato buio anch’io
ma di notte sono uguale agli altri
e mi cambierò nome
ora che i nomi non valgono niente
non funzionano più
da quando non funziona più la gente

mi cambierò nome
ora che i nomi non cambiano niente
non funzionano più
da quando non funziona più la gente…
i tedeschi sono andati via
come faremo ora a liberarci
non possiamo neanche uccidere il re
perchè si dice siamo noi i bersagli
veramente vivo in tempi bui
riuscivi solo a chiedermi per quanto
e ora son diventato buio anch'io
che cos’hai tu da brillare tanto
e mi cambierò nome
per passar le dogane e gli inverni
andrò sempre più giù
dove non serve tenere gli occhi aperti
e mi cambierò nome
ora che i nomi non valgono niente
non funzionano più
da quando non funziona più la gente
mi cambierò nome
ora che i nomi non cambiano niente
non funzionano più
da quando non funziona più la gente
mi cambierò nome
da quando non funziona più la gente
mi cambierò nome
da quando non funziona più la gente
mi cambierò nome…mi cambierò nome…

Il y a longtemps que je t'aime


Ti amerò sempre - di Philippe Claudel 2009


Giudizio sintetico: da vedere


Juliette è in attesa all'aeroporto. Leggermente in ritardo, arriva sua sorella Léa. Non si vedono da moltissimo tempo, e Juliette sembra fuori dal mondo. E' stata via. E non è nell'umore giusto per parlarne. La famiglia l'ha esclusa, cancellata. Solo Léa, vagamente, ha tenuto i contatti. E adesso, dopo 15 anni, la accoglie con entusiasmo, nella sua grande casa di Nancy, dove vive felice con il marito Luc, il suocero che non parla e legge sempre, le due figliolette adottate in Vietnam. Poco a poco, scopriremo dove è stata Juliette, e perchè. Ma non è abbastanza.


E' un film interessante, questo debutto dello scrittore francese Philippe Claudel come regista. E tra l'altro arriva proprio in un momento in cui si discute di temi abbastanza vicini a quelli che, in definitiva, escono alla fine della storia. E' quasi un dispiacere non potervi rivelare la trama, ma sono convinto che senza sapere niente di più ne godrete maggiormente.

La sceneggiatura è palesemente frutto di un sapiente scrittore. I fatti, che "costruiscono" la storia, escono uno alla volta, poco a poco, senza colpi di scena teatrali, ma facendo si che lo spettatore si appassioni al dramma interiore squassante, devastante, della protagonista, e, di riflesso, alla sensazione straniante e di impotenza della sorella. Ma ci sono anche i personaggi "laterali", qualcuno con storie altrettanto "dense". Vi basti per capire che siamo davanti ad una storia piuttosto strutturata.

La regia è diligente, ovviamente senza fronzoli, dritta al punto. Molto francese, direi. Fotografia discreta, direzione degli attori più che buona. Ma, certo, non poteva essere altrimenti con Kristin Scott Thomas, molto intensa, difficile immaginarsi qualcuno più adatto di lei nella parte di Juliette; più che buona la prova dell'altra protagonista, Elsa Zylberstein nei panni della sorella più giovane. Francese, viso irregolare, attrice di teatro e di cinema, ma sconosciuta da noi, la ricordiamo nel pessimo (purtroppo) I colori dell'anima - Modigliani, dove interpretava (infatti, per l'irregolarità del viso) la musa di Modì, Jeanne Hébuterne.

Curioso il fatto che le traduzioni del titolo diano significati diversi nelle varie lingue (Il y a longtemps que je t'aime non è esattamente I've loved you so long, ma soprattutto non è assolutamente Ti amerò sempre), ed è ancor più curioso il fatto che il film, così complesso ma al tempo stesso così scorrevole, non parli, in realtà, di quell'amore che ci si aspetterebbe da un titolo così, bensì di un altro tipo di amore. Non meno importante, non meno struggente, che riesce, se c'è, a darci ugualmente emozioni fortissime e indimenticabili.

Un debutto davvero incoraggiante.

20090219

zinedine


E' passato un bel po' di tempo. Io, tra l'altro, come ricordate non tifavo Italia. Ma insomma, ognuno la pensa un po' come gli pare.

Facendo delle ricerche per la recensione di Ti amerò sempre, mi sono imbattuto in un articolo interessante, di un francese sul "fattaccio" Zidane/Materazzi. E non è di un francese qualsiasi, bensì di uno scrittore molto rispettato, che ultimamente è passato dietro la macchina da presa: Philippe Claudel (foto).

Anche se è tratto dal sito de Il Giornale on line, se vi va, leggetelo. Si intitola Lo sfregio dell'artista Zidane.

casa dolce casa?


Home - di Ursula Meier 2009



Giudizio sintetico: si può perdere


Una famiglia apparentemente felice e moderna vive in una casa isolata, ai margini di un'autostrada mai aperta. Un padre che lavora un po' distante ma torna a casa presto, una madre casalinga, una figlia grandicella che passa tutto il giorno a prendere il sole e ad ascoltare heavy metal sparato a tutto volume in giardino, una figlia adolescente un po' paranoica e tendenzialmente chiusa, un figlio piccolo tutto energia e divertimento. Armonia e risate regnano in casa e immediatamente fuori. Il tratto delle due carreggiate autostradali antistanti la dimora è vissuto come un'estensione del loro spazio vitale, ci si gioca ad hockey, si lasciano le mazze in mezzo alla strada e addirittura poltrone e divani, quando fa caldo la famigliola piazza la televisione lì e il divano di fronte, e si gode questa strana intimità.
Ma, un giorno inaspettato, anche dagli automobilisti, l'autostrada viene aperta, auto e camion cominciano a sfrecciare sempre più numerosi. L'equilibrio della famiglia ne risulta irrimediabilmente sconvolto.


Debutto sul lungometraggio al cinema per la regista svizzero-francese (il precedente Des épaules solides era un film per la tv), che innanzitutto sceglie un cast solidissimo: oltre alla sempre convincente, in parti "disturbate", Isabelle Huppert, e l'espertissimo Olivier Gourmet, anche i tre figli, Adélaide Leroux, Madeleine Budd e il piccolo Kacey Mottet Klein (che, pensate, sta intepretando nientemeno che Serge Gainsbourg da giovane in un biopic sull'artista francese) sono molto bravi. Tale cast l'aiuta non poco a sostenere un film ermetico, pieno di metafore e simbolismi, e per questo un po' pesante soprattutto nella seconda parte, quando l'atmosfera idilliaca della famiglia felice svanisce, lasciando intuire che la scelta di quella casa non fosse stata casuale, ma una specie di fuga. Uno dei problemi di partenza, soprattutto per spettatori che magari scelgono i film da vedere in maniera piuttosto casuale, è che la distribuzione italiana presenta questo Home come un film comico. Qualche situazione divertente c'è, a dir la verità, ma davvero, non c'è proprio niente da ridere su questa storia: concordo con un giudizio letto da qualche parte in rete, che definisce questo come una specie di horror contemporaneo.

E' innegabile che le idee ci siano, e che la Meier sia piuttosto brava a posizionare la telecamera, e, quando la situazione si fa tesa, a creare angoscia nello spettatore, fino ad una discreta sensazione claustrofobica. Però, a parte le ovvie domande che una persona di buon senso si pone immediatamente (pannelli fonoassorbenti, cavalcavia, sottopassaggi) davanti a una situazione così forzatamente grottesca, dandogli anche il beneficio dell'espediente narrativo, è il finale che chiude il cerchio di un film che probabilmente, passatemi il luogo comune abusatissimo, mette davvero troppa carne al fuoco, e ne esce un po' bruciacchiato.

Probabilmente, dandole tempo, Ursula Meier riuscirà anche a stupirci.

benvenuti in Mali


Loro forse se lo immaginano, forse no: sto molto attento a cosa ascoltano gli amici conosciuti via web. E il ragionamento ha un fondamento inoppugnabile: li ho conosciuti su forum musicali, quindi sono persone che, non è che "se ne intendono", solo sono appassionati e vivono, come me del resto, di musica. Poi, siccome spesso quando ci vediamo o semplicemente ci "sentiamo" scrivendoci, preferisco sparare cazzate per alleggerire la pesantezza del lavoro o del mal di vivere, magari mi dimentico di commentare o, quantomeno, di esprimere un giudizio su alcune cose che ho ascoltato incuriosito dai loro ascolti.


Incipit un po' macchinoso per dire: dopo aver evitato accuratamente l'ascolto del disco precedente Dimanche à Bamako del duo Amadou et Mariam, come mi accade spesso per i libri troppo pubblicizzati, perchè era stato creato, appunto, troppo hype in proposito, incuriosito dalla top annuale di Monty, ho ascoltato il nuovo Welcome to Mali. E l'ascolto si è rivelato più che piacevole. Una delle influenze "esterne" (a parte quelle ovvie della musica africana, quindi il blues delle radici) che più si notano, è naturalmente quella di Manu Chao; Manu è un po' il loro trait d'union con il mondo della musica occidentale, quello che ha prodotto (partecipandovi anche) Dimanche à Bamako. L'altro, piuttosto evidente anch'esso in parecchi pezzi, è un sound di chitarra che ricorda moltissimo gli enormi Tinariwen. Anche questo, intuibile.

Il risultato è al tempo stesso simpatico, malinconico a tratti, travolgente in altri.


Amadou et Mariam - Welcome to Mali

andate fuori a giocare

Povero Silvio. Lo fraintendono sempre.

20090218

the curious case of Benjamin Button


Il curioso caso di Benjamin Button - di David Fincher 2009


Giudizio sintetico: si può vedere



New Orleans, 2005. E' in arrivo un fortissimo uragano, chiamato Katrina. In un ospedale della città, Daisy, una ex ballerina ultraottantenne, sta morendo. Al suo capezzale, la figlia Caroline le tiene compagnia e si preoccupa che la madre non soffra, aiutata dalle infermiere. La madre, cosciente che la sua ora è quasi arrivata, la invita a leggerle un diario che tiene gelosamente tra le sue cose. Il diario racconta non la storia di Daisy, bensì quella di Benjamin, che nacque nella notte in cui finiva la Prima Guerra Mondiale, nel 1918. Sua madre muore partorendolo, suo padre, un ricco industriale, è spaventato dall'aspetto del neonato: il bambino è nato vecchio. Lo lascia così sulle scale di una casa di riposo. Lo trova la factotum della casa, Queenie, che lo cresce con amore, come un dono di Dio, nonostante l'aspetto e la stranezza della malattia che lo affligge: Benjamin soffre della decadenza fisica di un novantenne. Ci vede poco, ha i dolori, è quasi sordo. Ha decisamente l'aspetto di un vecchio, ma non ha vissuto. Un giorno che Benjamin non dimenticherà mai, nella casa di riposo arriva Daisy bambina, ospite della nonna. Benjamin sente qualcosa per quella bambina, e Daisy è incuriosita da quel vecchio che ragiona come un bambino. Il tempo passa, e Benjamin sembra lentamente ringiovanire. Ci sente bene, ha meno dolori, gli ricrescono i capelli, si muove senza le iniziali difficoltà. Decide di partire per conoscere il mondo: in fondo, non ha vissuto.


David Fincher accetta la sfida di portare sul grande schermo una storia ispirata ad un breve racconto (omonimo) di Francis Scott Fitzgerald del 1922, dove il protagonista nasce vecchio e ringiovanisce. La sceneggiatura, che si discosta di parecchio dal racconto, diventa una impossibile e struggente storia d'amore, combattuta e destinata a non finire, in fin dei conti, e, sullo sfondo, una sorta di storia degli USA dalla fine (appunto) della Prima Guerra Mondiale all'uragano Katrina e la distruzione di New Orleans. Ha ragione chi vi ha visto una sorta di Forrest Gump, evidentemente a Eric Roth, lo sceneggiatore appunto, ama le narrazioni dal respiro storico, che attraversano il tempo per lunghi periodi. Fincher si conferma regista eclettico, che non ama un solo genere, prova a sperimentarli tutti. Questa volta si cimenta col genere sentimentale, se così lo vogliamo definire, ed evidentemente ha pensato bene di farlo con una storia senza dubbio fuori dagli schemi.

Fotografia pulita e scenografie a volte perfino palesemente e volutamente teatrali (le scene sulla nave), il regista si mette al servizio di una sorta di riflessione sul senso della vita, sull'amore e soprattutto sull'incedere inesorabile del tempo: non c'è via di scampo, è doloroso sia che scorra in un senso, sia che scorra nell'altro. Fincher non è eclettico con la macchina da presa, ma è rigoroso, ordinato. Dirige gli attori con polso fermo, e si vede. Un cast di contorno coi fiocchi, ognuno che fa la sua parte in maniera egregia, due protagonisti impeccabili, seppur non strabilianti. Pitt è, ovviamente, man mano che ringiovanisce, sempre più bello, ma è ottimo lavorando per sottrazione, muovendosi il meno possibile, esibendo la dolcezza che si richiede a quest'uomo che prende la vita come un dono, ancor più di quelli (tutti) che la percorrono nel senso contrario al suo, recitando spesso solo con occhi e piccoli movimenti del viso (nelle scene in cui è vecchio, per mezzo di effetti speciali, ha recitato solo col viso truccato, dopo di che la computer graphic ha "innestato" il suo viso sul corpo di un altro attore), Cate Blanchett è, come sempre, superlativa, senza per questo strafare. Per di più, è bellissima, ma anche questa è una cosa che già sappiamo.

I sopra citati effetti speciali rendono possibile il film, e tutto sommato sono piuttosto ben riusciti. Non sarà probabilmente il film più bello che concorrerà agli Oscar, ma è sicuramente una storia che riesce a commuovere lo spettatore senza ricorrere a trucchetti facili, anche perchè dichiara da subito come andrà a finire. La riflessione che innesca sul passare del tempo non è neppure troppo profonda, ma spesso capire che le cose sono semplici può sconvolgere.

Film dal respiro classico; un inno all'amore eterno.

armageddon


Foto di Robi. Alessio a carnevale. Travestimento: Armageddon, il comandante del popolo del Vulcano e del popolo del Metallo. Per approfondimenti, vedi Gormiti.

maternità surrogata

Chiedo scusa a tutti quelli che lasciano commenti e ai quali rispondo in colpevole ritardo, a volte non ho tempo di rileggere molto indietro. Ma questo è giusto riportarlo in evidenza.

Ricordate il post sulla notizia degli uteri in affitto? Bene, qualcuno, che si è firmato Servizi Legali, ha lasciato un commento, che dice:

"Ovviamente sarebbe meglio l'adozione ma non puoi andare in Ucraina e sceglierti il bambino che vuoi e portartelo in Italia visto che solo i bambini inseriti in un apposito registro del Ministero Ucraino possono essere adottati e in genere sono quelli che per alcune ragioni nessuno vuole adottare. Per maggiori informazioni sulla maternita' surrogata e gli aspetti legali legati ad essi ci sono dei legali italiani presenti a Kiev che possono aiutarti. In merito visita www.ucraina.com.ua "

E io riporto fedelmente, link compreso.
Grazie

situescion

Di cose che non vanno, ce ne sono. Ma la percezione è fluida. E guidata ovviamente dai mezzi di informazione (o disinformazione, che dir si voglia). Per esempio, questa notizia, commentata in modo egregio dall'amico Monty, è una di quelle che ti fa venire voglia di cambiare per l'ennesima volta paese. Queste, le cose che ho pensato ascoltando il giornale radio. Ci sono anche cose che funzionano. Ieri leggevo un articolo di un giornale rumeno sugli stupri, molto equilibrato, molto più equilibrato di tanti giudizi sommari di persone italiane, e c'era anche una cosa positiva. Diceva, in pratica: queste cose bestiali accadono anche in Romania, con la sola differenza che difficilmente vengono denunciate. E questo depone a favore delle istituzioni italiane.
A "nostro" sfavore, depone il modo in cui gli stupri, o meglio, le notizie e i particolari degli stupri, vengono trattati in Italia. Quando sono commessi da stranieri, si incita l'odio. Un po' come nel caso della bambina rom che rapì, presuntamente, la figlia di una figlia di un personaggio poco chiaro, a Napoli: quel presunto rapimento che scatenò gli incendi dolosi ai campi rom di Ponticelli. E' solo un caso se su quei terreni ci fosse in atto una speculazione paurosa per la costruzione tra l'altro anche di un palazzetto. Sempre da un articolo di Internazionale di questa settimana, che ovviamente riprende un articolo di un giornale non italiano (anche questo, grazie a Monty, che mi ha fatto riprendere in mano il numero della settimana scorsa).

Ma quello che mi preoccupa sono cose come queste, trattate con tagli bassissimi, notizie che non catturano l'attenzione e non scatenano reazioni veementi come qualsiasi cosa in cui sia coinvolto uno straniero. Un 13enne accoltella alla schiena un professore a scuola, perchè il prof. lo sgridava.
Un regista gambizzato al termine di uno spettacolo teatrale. Un 57enne abusava della figlia adottiva di 4 anni. Con il disegno di legge Alfano non saranno praticamente più possibili le intercettazioni. E via così.

Che paese stiamo diventando?
Non lo so. Sto solo provando a immaginarmi una vocina nella testa che dice "va tutto bene...va tutto benissimo...".

20090217

it's my own cheating heart that makes me cry


Sono scozzesi. Sono quattro. Due di loro sono cugini. Vengono da Glasgow, e ovviamente il loro nome è un mix di Glasgow e Las Vegas. La voce di James ricorda, almeno a me, tantissimo quella di Joey Ramone. Ma il genere è completamente differente. Sembrano una band rock che sostiene un crooner quantomeno strano, i tappeti chitarristici possono ricordare quelli dei concittadini Mogwai, ma l'uso di tastiere e di melodie romantiche, crea una strana sensazione di love song perenne, con un retrogusto quasi paulankiano (questo neologismo è veramente bello eh). Sono attivi dal 2003, con diversi singoli, ma sul finire del 2008 è uscito il loro primo disco (omonimo), seguito a breve da un ulteriore 6 pezzi [A Snowflake Fell (And I Felt Like A Kiss)]: il tutto è racchiuso nell'edizione deluxe del debutto omonimo.

Per rocker romantici, colonna sonora to fall in love with someone.


Glasvegas - Glasvegas Deluxe Edition

playlist - nella chiavetta usb

30 Seconds To Mars - A Beautiful Lie
AC/DC - Highway To Hell
AC/DC - Back In Black
Airbourne - Running Wild
Amadou Et Mariam - Welcome To Mali
Ancestors - Neptune With Fire
Antony & The Johnsons - The Crying Light
Bad English - Omonimo 1989
Basia Bulat - Oh My Darling
Chris Cornell - Scream
Eagles Of Death Metal - Heart On
Earthless - Rhytms From A Cosmic Sky
Earthless - Sonic Prayer
Glasvegas - Omonimo 2008
Green Day - Dookie
Green Day - Nimrod
Green Day - American Idiot
Howie B. vs Casino Royale - Not In The Face
Ida Maria - Fortress Round My Heart
Intronaut - Prehistoricisms
Jesca Hoop - Kismet
Katy Perry - One Of The Boys
Kid Rock - Rock N Roll Jesus
Kings Of Leon - Only By The Night
Le luci della centrale elettrica - Canzoni da spiaggia deturpata
Lento - Earthen
Ministri - Tempi Bui
Moltheni - I segreti del corallo
My Chemical Romance - Life On The Murder Scene
My Chemical Romance - The Black Parade Is Dead
Neil Young - Sugar Mountain; Live At The Canterbury House 1968
Nickelback - Dark Horse
POD - When Angels And Serpents Dance
Raf - Metamorfosi
Santogold - Omonimo 2008
Snow Patrol - Eyes Open
Snow Patrol - A Hundred Million Suns
The Black Angels - Directions To See A Ghost
The Hellacopters - Cream Of The Crap Vol 1
The Hellacopters - Cream Of The Crap Vol 2
The Pogues - If I Should Fall From Grace With God
The Pogues - Rum, Sodomy And The Lash
The Prodigy - Invaders Must Die
Underoath - They're Only Chasing Safety
Underoath - Define The Great Line
Underoath - Lost In The Sound Of Separation
Vinicio Capossela - Da solo
White Lies - To Lose My Life