No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20161031

Sofia, Bulgaria - Ottobre 2016 (1)

Programmato per settembre, ho dovuto spostarlo ad ottobre, il city break per conoscere Sofia, la capitale bulgara. Lunedì 10 ottobre, quindi, sono sul volo Ryanair delle 7,40 da Pisa per Sofia, mentre una perturbazione si è appena posizionata sull'Europa, le temperature si sono abbassate un po' dappertutto, e piove un po' ovunque. Non il massimo, ma prendiamo sempre quello che viene. Poco meno di due ore di volo, un'ora in più di differenza oraria, quando arrivo all'aeroporto manca ancora molto a mezzogiorno, ancor di più alle 14. C'è un autista dell'hotel che ho prenotato per tre notti, l'Anel, che mi porta lì direttamente. Parliamo poco, non mi pare padroneggiare benissimo l'inglese. Mi guardo intorno, e vedo una periferia verde, vialoni ampi, contrasti forti: palazzoni trasandati contro strutture modernissime. Alla reception mi comunicano che la stanza sarà pronta alle 14, come da regolamento, quindi mi prendo un caffè al lobby bar, sulla fiducia il barista mi dice di passare più tardi per comunicargli il numero della camera (non mi è stato ancora assegnato), per metterlo sul conto: non ho cambiato ancora nessun Lev. Esco, portandomi dietro l'ombrello visto che il cielo non promette nulla di buono, e, visto che mezzogiorno si avvicina e che, avendo dato un'occhiata alla mappa, rispetto all'hotel è più vicino il Mall of Sofia che il centro, decido di farci un giro, visto che all'interno ci sono anche dei ristoranti, oltre a dei fast food e, naturalmente, un sacco di negozi.


Si parte
Il lobby bar dell'Hotel Anel
Gli immediati dintorni non sono eccezionali
Epperò, qualcosa di caratteristico c'è

Mangio all'Happy, non male, addirittura c'è da fare la fila prima di entrare, nonostante ci siano un sacco di coperti. Faccio un giro per il Mall, esco, torno verso l'hotel che comincia a piovere. Faccio finalmente il check in, mi approprio della camera, e visto che ha momentaneamente smesso (di piovere), mi avvio verso il centro. La distanza è minima, meno di un chilometro, ed è molto semplice arrivare: sempre dritto. Mi sono già accorto, però, che Sofia non è propriamente una città per pedoni. I vialoni sono transitatissimi, quando è possibile, gli attraversamenti sono sotterranei (in concomitanza con le stazioni della metro), altrimenti, i semafori durano secoli. Lungo i 7/800 metri che mi separano dal Largo, edifici non proprio in ottima forma, molti parcheggi, diversi night club (non tutti sembrano in funzione). Quando arrivo al Largo, mi accoglie l'imponente statua di Santa Sofia, e mi ci vogliono alcuni minuti per capire come attraversare il Maria Luiza boulevard. Devo scendere verso la stazione della metro Serdika, per poi risalire all'altezza della chiesina di Sveta Petka. Potrei continuare in maniera sotterranea, infatti anche tutto intorno alla chiesa si estendono i resti di Serdica, il primo insediamento, costruito dai Traci.
Il complesso è stato integrato in questo tratto sotterraneo di passaggio tra le due stazioni gemelle della metro (Serdika e Serdika II), e fatto diventare una sorta di museo; esattamente sotto il Largo, sono state costruite alcune cupole di plexiglas che fanno entrare la luce naturale.
Visto che il meteo lo consente, proseguo lungo piazza Battenberg e il boulevard Zar Osvoboditel, svolto in Rakovska, poi di nuovo in Oborishte, dove si trovano da una parte il Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Bulgara, dall'altra il monumento al milite ignoto e la chiesa di Santa Sofia, e, mentre riprende a piovere, eccomi finalmente alla cattedrale Aleksandr Nevskij.
Visto che, come detto, sta riprendendo a piovere, e sono ad oltre un km dall'hotel, mi rimetto in marcia in direzione contraria, cambiando leggermente percorso. Quando arrivo, decido di indulgere un po', e visto che per cena c'è ancora tempo, vado a dare un'occhiata alla Spa dell'hotel. Un po' di sauna e una nuotata possono andare. Ceno al ristorante dell'hotel, con un sorprendente vino rosso bulgaro. Dopo cena, mi incammino verso la fine di Orphan Black, una serie di cui vi parlerò. Direi che per una mezza giornata, se tenete conto che ho pure risposto a qualche mail di lavoro, e comunque le ho lette tutte, può andare.
La statua di Santa Sofia, in pieno centro
Il Consiglio dei Ministri, nella piazza centrale, Nezavisimost (Indipendenza)
Un'altra veduta della stessa piazza, detta Il Largo, centrale, l'ex sede del Partito Comunista
Più o meno dallo stesso punto, si possono notare i ritrovamenti romani e, sullo sfondo, la moschea Banya Bashi
Una delle guglie della chiesa di San Nicola
La cattedrale Aleksandar Nevski (anche nelle prossime foto)

20161030

The third World War

La terza guerra mondiale - Zen Circus (2016)

Oltre al difetto di essere abbastanza esterofilo, il letteratura e in musica, ho questo problema di appartenenza, che, scherzando ma non troppo, mi fa sempre pensare che se qualcosa viene da Pisa, debba essere preso prima un po' per il culo. Gli Zen Circus sono una realtà italiana, e non solo pisana, da ormai oltre vent'anni (furono fondati nel 1994), e questo è il loro nono disco, ma nonostante abbiano un gran seguito e siano molto rispettati dalla critica, non li ho mai ascoltati troppo. Visti dal vivo solo una volta nel 2005, li giudicai da rivedere. Anche un titolo accattivante come Andate tutti affanculo (sesto disco, del 2009), non fece crollare il mio stupido embargo. Adesso sono diventato grande, ho vinto i preconcetti, ed ho ascoltato questo disco. Ed ho scoperto una realtà meravigliosa, matura, una band capace di scrivere pezzi pop che hanno retrogusti punk, rock e new wave, con testi in italiano densi, intelligenti, divertenti, ficcanti, espliciti quanto basta per farmi innamorare. Perfino un pezzo come Pisa Merda, esplicita solo nel titolo, riesce a farmi commuovere e divertire: gli Zen partono dal tormentone inventato dai livornesi (e scritto su tutti i monumenti del mondo), ci costruiscono sopra una amara riflessione sulla provincia italiana, e concludono con voci campionate che nominano vari capoluoghi di provincia (o cittadine importanti) italiani seguite da "merda". Pisa non viene mai nominata, ma Livorno si. Non è una rivalsa, bensì un divertissement, come deve essere, da sempre, la rivalità tra cugini: perfetta conclusione goliardica alla maniera toscana di un piccolo capolavoro serio. Chapeau.
E guardate che non c'è solo questa, anzi. Su 10 pezzi, nove sono incisivi, concisi, pieni di riferimenti ed omaggi ma anche originali il giusto, ben scritti, suonati e cantati, poi il disco si conclude con Andrà tutto bene, lunga suite vagamente lisergica che riflette sulle insulsaggini propinate dalla musica leggera, a livello di testi. 
Dicono che non vogliono essere politici, ma sociali, vogliono giusto riflettere sull'Italia di oggi: ci riescono perfettamente, e la musica ci si sposa alla grande.
Bravissimi Zen Circus, uno dei dischi più belli del 2016.



Besides the disadvantage of being quite xenophilous, in literature and in music, I have this problem of belonging, which, joking but not too much, always makes me think that if something comes from Pisa, should be taken before a bit as a joke. The Zen Circus is an Italian reality, and not only of Pisa, for the past twenty years ( they were founded in 1994), and this is their ninth album, but despite having a large following and that they are highly respected by the critics, I have not never listened too much, and too deeply. I had seen them live only once, in 2005, judging them as "to be reviewed". Even a catchy title like "Andate tutti affanculo" (sixth disc, 2009), did not collapse my stupid embargo. Now I'm grown up, I won the preconceptions, and I listened to this record. And I discovered a wonderful reality, mature, a band able to write pop songs that have punk, rock, even new wave aftertaste, with lyrics in Italian so dense, smart, funny, insightful, explicit enough to make me fall in love. Even a piece like "Pisa Merda", only explicit in the title, can make me move and entertain: The Zen Circus start from the catchphrase invented by people from Livorno (and written about all the monuments in the world from them), they build on it a bitter reflection on the Italian province, and conclude with sampled voices appointing various Italian provincial capitals (or important towns) followed by "shit". Pisa is never mentioned explicitly, but Livorno is. It is not a revenge, but a divertissement, as it should be, as always, the rivalry between cousins: the funny perfect end as the Tuscan way, of a serious small masterpiece. Chapeau.
And be careful, that there is not only this one, indeed. 10 tracks, nine are incisive, concise, full of references and homages but also original enough, well-written, played and sung, then the album ends with "Andrà tutto bene", long and vaguely lysergic suites, reflecting on platitudes served up from pop music, also at the level of lyrics.
They say they do not want to be politic, but only social, just wants to think about the today Italy: they succeed perfectly, and the music get married to their lyrics, big time.
Bravo to The Zen Circus, this is one of the finest records of 2016.

20161028

La vita che ricordo

The Life I Remember - Once Human (2015)

Come sapete, mi piace, ogni tanto, navigare senza meta su Youtube. Tempo fa mi sono imbattuto in questa band, che ha all'attivo solo un album, del 2015, e che si appresta a far uscire il successivo nel 2017. Incuriosito, al solito, dal fatto che la cantante è una bella signorina australiana, non esageratamente femminile, e che usa sapientemente la tecnica del growling, oggi facciamo una pausa dalle novità, e parliamo, appunto, di questo dischetto del 2015, The Life I Remember.
Gli Once Human sono una creatura che nasce dall'energia e dalla passione musicale del chitarrista Logan Mader, ex Machine Head, Soulfly e attivo produttore (Gojira, Five Finger Death Punch, Soulfly, Fear Factory). Mader, dopo oltre 10 anni lontano dai palchi, incontra Lauren Hart, cantante e chitarrista australiana, per un lavoro di produzione commissionatogli da uno dei boss della Nuclear Blast, e decide di mettere su una band insieme a lei, facendole abbandonare la chitarra per concentrarsi sulla voce. Recluta altri due musicisti non troppo famosi, in modo che la band sia stabile, e non un supergruppo o un progetto collaterale. Dopo un anno, ecco il disco del quale stiamo parlando.
La definizione di melodic death metal è probabilmente quella più appropriata; le atmosfere sono tese, marziali, ma si fa anche un discreto uso di tastiere (una delle cose che proprio non mi piacciono, almeno in questo genere musicale), e non si disdegnano gli intro epici fatti con gli archi. La sezione ritmica lavora compatta, le chitarre (in questo momento addirittura tre, nella formazione) graffiano e si esibiscono in assoli essenziali, la Hart mostra un'estensione vocale e una padronanza del "mezzo" impressionante.
Eppure, il risultato non è dei più coinvolgenti e convincenti. Non troppo estremo, melodico qua e là, nessun pezzo da ricordare particolarmente. Vedremo cosa riusciranno a combinare con il prossimo disco, come detto previsto per il 2017, dal titolo provvisorio di Evolution.



As you know, I like, every so often, surfing aimlessly on Youtube. Time ago I came across this band, which has assets of just one album of 2015, and which is preparing to let out the next in 2017. Intrigued, as usual, by the fact that the singer is a beautiful Australian lady, not exaggeratedly feminine, and that skillfully uses the growling technique, today we take a break from the news, and will talk, in fact, about this album of 2015, "The Life I Remember".
Once Human is a creature born by the energy and musical passion of the guitarist Logan Mader, former Machine Head, briefly with Soulfly and active producer (Gojira, Five Finger Death Punch, Soulfly, Fear Factory). Mader, after more than 10 years away from the stage, meets Lauren Hart, Australian singer and guitarist, for a production work commissioned by one of the Nuclear Blast boss, and decided to start a band with her, making her give up the guitar to concentrate on the vocals. Recruits other two musicians not too famous, so that the band can be stable, and not a supergroup or a side project. After a year, here is the album of which we are speaking today.
The definition of melodic death metal is probably the most appropriate one; the atmosphere is tense, martial, but it also makes a discrete use of keyboards (one of the things that just I do not like, at least in this genre), and do not disdain the epic intros made with a string section. The rhythm section works compact, the guitars (at this time even three, in the line up) pushes and performs in essential solos, Hart shows an extension voice and a mastery of the "tool" impressive.
Yet, the result is not the most engaging and compelling. Not too extreme, melodic here and there, no tracks to remember especially. We'll see what they will do with the next record, as mentioned planned for 2017, tentatively titled Evolution.

20161027

Il sonno violento della ragione

The Violent Sleep of Reason - Meshuggah (2016)

Alcuni reminder a proposito degli svedesi Meshuggah. Questo disco è il loro ottavo lavoro in studio; questo album è stato registrato "live in studio", anziché (come si fa normalmente) ogni musicista le proprie tracce; si sono formati nel 1987 a Umea; il loro primo disco, Contradictions Collapse (1991), doveva intitolarsi All This Because of Greed, e il vostro recensore/blogger preferito ne ha le prove, perché in possesso del demo promozionale (fornitomi dall'etichetta), che infatti recita "taken from the upcoming album All This Because of Greed"; hanno in pratica inventato il genere definito Djent.
Concedetemi di ripetere anche le stesse cose, tanto insomma, fanno un disco ogni quattro anni! Scherzi a parte, il rischio di questo genere, e quindi anche (e soprattutto) il rischio per i capostipiti, è quello di un'estrema ripetitività, unito ad una certa freddezza dell'esecuzione, in quanto esageratamente piena di tecnicismi. Eppure, secondo me le cose da tenere di conto, per poter apprezzare il lavoro, ponendosi all'ascolto di dischi come questo, sono un paio. La prima cosa, è la violenza dell'esecuzione. La seconda è la reazione ipnotica che può generare un approccio sonoro di questo tipo. Un pezzo come By the Ton, un intro chitarristico come quello di Born In Dissonance, sono momenti di impressionante violenza, unita ad una serie di cambi di tono poderosi: impossibile non apprezzarli.
The Violent Sleep of Reason, ispirato (nel titolo e nel concetto) a El sueño de la razón produce monstruos di Goya, è l'ennesimo macigno consegnato ai posteri, da ascoltare e, se possibile, ammirare.



Some reminders about the Swedes Meshuggah. This record is their eighth studio work; This album was recorded "live in studio" rather than (as you normally do) every musician his tracks; They were formed in 1987 in Umea; their first album, "Contradictions Collapse" (1991), was to be called "All This Because of Greed", and your favourite reviewer/blogger has the evidence, because he possess the promotional demo (given to me from the label), which in fact says "taken from the upcoming album All This Because of Greed"; they practically invented the genre defined djent.
Allow me to also repeat the same things, they make an album every four years! Seriously, the risk of this musical genre, and thus also (and above all) the risk of the founders, is that of an extreme repetitiveness, united to a certain execution coldness, as exaggeratedly full of technicalities. Yet, the things to keep into account, in order to appreciate the work, by listening to records like this, are a couple. The first thing, is the executing violence. The second is the hypnotic reaction that can generate a sound approach of this type. A piece like "By the Ton", a guitar intro like that of "Born In Dissonance", are moments of awesome violence, combined with a set of powerful tone changes: impossible not to appreciate them.
"The Violent Sleep of Reason", inspired (in the title and concept) to "El sueño de la razón produce monstruos" of Goya, it is yet another boulder delivered to posterity, to listen to and, if possible, be admired.

20161026

Radio rivoluzione

Revolution Radio - Green Day (2016)

Che dobbiamo dire, ancora, sui Green Day? Su di loro, poco o nulla, se proprio vogliamo scrivere qualche riga in più possiamo parlare della ricaduta di Billie Joe (2012, poi disintossicato, vediamo per quanto), oppure esagerando, come fa Wikipedia, possiamo pure dire che, tra il disco (i dischi) precedente e questo, il membro live della band, Jason White (il chitarrista che fa gli assoli), ha avuto un cancro alle tonsille, e un tumore ha avuto anche la moglie del bassista Mike Dirnt: entrambi sono guariti.
A parte gli scherzi, come è normale che sia, si sono versati i soliti fiumi di inchiostro, e si sono pure fatte dichiarazioni inutili in proposito, tipo quella di BJ che "voleva distruggere la parola pop-punk per sempre", o come l'intera recensione di Pitchfork, che critica la band per i testi "imbarazzanti" (ehi, amici di Pitchfork, nessuno si mette ad ascoltare i Green Day pensando di dargli il Nobel per la letteratura).
La verità è che Revolution Radio non sarà ricordato come il loro apice, per quello ci saranno sempre American Idiot e 21st Century Breakdown, ed è piuttosto naturale che loro stessi, dopo due dischi così, e l'operazione di ¡Uno! ¡Dos! ¡Tré!, volessero ritornare, come dicono gli americani, back to basics. Eppure, non solo in una semi-suite di 7 minuti come Forever Now, ma pure in brani più brevi, si sentono gli strascichi, in positivo voglio dire, del loro percorso per "diventare grandi". Revolution Radio è un disco che al primo ascolto sembra innocuo, e quasi grigio, ma solo se lo si ascolta distrattamente. Al di là delle liriche, delle quali abbiamo già detto, ma attenzione, non è che i tre si occupino di stupidaggini, al contrario, quel che mi stupisce continuamente è la loro bravura nel trovare sempre melodie accattivanti, che rendono omaggio ai grandi songwriter della musica popolare, e quindi il loro essere sempre e comunque ascoltabili con enorme piacere. 
Probabilmente la mia preferita è Still Breathing, ma mentre lo scrivo e lo penso e la ascolto, sento di fare un torto almeno a Too Dumb To Die. E guardate, che non sono di sicuro le uniche canzoni belle del mazzo.



What do we have to say, again, about Green Day? On them, little or nothing, if we want to write a few lines more we can talk about the fallout of Billie Joe (2012, then detoxified, we'll see for how long), or exaggerating, as Wikipedia does, we might as well say it, between the disc (discs) earlier and this, the live band member, Jason White (guitarist who makes the solos), had a cancer of the tonsil, and a tumor also had the wife of bassist Mike Dirnt: both are healed.
Joking aside, as is normal, we had the usual rivers of ink, and are also unnecessary statements have been made, like that of BJ that "wanted to destroy the pop-punk word forever", or as the entire Pitchfork review, which criticizes the band for "embarrassing texts" (hey, Pitchfork friends, no one has to listen to Green Day thinking of giving them the Nobel Prize for literature).
The truth is that "Revolution Radio" will not be remembered as their apex, for that there will always be "American Idiot" and "21st Century Breakdown", and it is quite natural that they themselves, after two albums as well, and the operation of ¡Uno! ¡Dos! ¡Tré!, wanted to return, as the Americans say, back to basics. Yet, not only in a semi-suite as of 7 minutes as "Forever Now", but also in shorter tracks, you can feel the aftermath, positively I mean, of the Green Day's travel to "grow up"."Revolution Radio" is a record that seems harmless at first hearing, and almost gray, but only if you listen distractedly. Beyond the lyrics, of which we have already said, but beware, it is not that the three be engaged in nonsense, on the contrary, the thing that continually amazes me is their skill in finding more and catchy melodies, which pay homage to the great songwriters of the popular music, and therefore they can being always listened with great pleasure.
Probably my favorite is "Still Breathing", but as I write and think and listen, I feel I do wrong at least to "Too Dumb To Die". And look, they are certainly not the only beautiful songs of the bunch.

20161025

Linee spezzate

Broken Lines - Giraffe Tongue Orchestra (2016)

Ero molto curioso di ascoltare il debutto di questo supergruppo metal, formato da Ben Weinman (The Dillinger Escape Plan) e Brent Hinds (Mastodon), entrambi alle chitarre, che hanno impiegato alcuni anni a riunire musicisti all'altezza quali William DuVall (Alice In Chains) alla voce, Pete Griffin (Dethklok) al basso e Thomas Pridgen (Trash Talk, Suicidal Tendencies, The Mars Volta) alla batteria.
Devo essere molto onesto però, il risultato non mi ha per nulla esaltato, nonostante il rispetto che nutra soprattutto per i due fondatori (e le rispettive band). Ovviamente, vista la tecnica e l'esperienza dei musicisti coinvolti, ci sono, nel disco, momenti interessanti, composizioni ben organizzate, ma l'indirizzo pare un poco confusionario, perso a metà strada tra un progressive rock energico che non si perda troppo in onanismi e ridondanze, funky rock robusto e hard rock che strizza l'occhio alle emissioni radiofoniche, e quel che è peggio, non mi ha lasciato nulla di nulla, neppure un pezzo degno di essere infilato in una cazzo di compilation.
Ottime la prova della sezione ritmica, non mi piace molto lo stile di DuVall, che già non mi era piaciuto nella rinnovata line up degli AIC, ma forse sarà perché sono un nostalgico, almeno su certe cose.



I was very curious to hear the debut of this metal supergroup, consisting of Ben Weinman (The Dillinger Escape Plan) and Brent Hinds (Mastodon), both on guitars, which took several years to bring together musicians at the right level, as William DuVall (Alice In Chains) on vocals, Pete Griffin (Dethklok) on bass and Thomas Pridgen (Trash Talk, Suicidal Tendencies, The Mars Volta) on drums.
But I have to be very honest, the result does not excite me at all, despite the respect that I nourish especially for the two founders (and their bands). Obviously, given the technical and experience of the musicians involved, there are, in the album, interesting moments, well-organized compositions, but the address seems a little confusing, lost somewhere between an energetic progressive rock that tried do not lose too much time in onanism and redundancies, funky rugged rock and hard rock that gives a nod to radio emissions, and what is worse, it did not leave anything at all, not even a track worthy of being stuck in a fucking compilation.
Excellent proof of the rhythm section, I do not really like the style of DuVall, who I already did not like it in the renewed line up of AIC, but maybe it will be because I am a nostalgic, at least on certain things.

20161024

Mechelen, Belgio - Ottobre 2016 (2)

Mercoledì 6 ottobre io e L. siamo ancora i primi a scendere per colazione, come già anticipato, si risale per raccogliere i bagagli, e per anticiparci per il check out e non fare la coda. Il secondo giorno si svolgerà interamente al Lamot, un ex birreria convertita in moderno centro multifunzionale, corredato da gran café e ristorante, precisamente in riva al Dyle. Il Lamot è esattamente davanti all'hotel, quindi nessuna paura di tardare.
La giornata passa tra interventi di "esterni" alla supply chain, per illustrare le novità che sono in procinto di accadere anche negli altri servizi, qualche "lavoro di gruppo", e il classico pranzo in piedi. Fuori un'altra bella giornata, ma fredda.



Nel pomeriggio arriva la notizia del ferimento di due poliziotti in centro a Bruxelles, e di qualche allarme bomba. I lavori terminano alle 16, in orario, e noi alle 16,30 dovremmo avere l'appuntamento con la nostra navetta. Saluti di rito, usciamo e la navetta, con lo stesso autista, è in anticipo. Si parte. Naturalmente, il Ring è ingorgato, e ci si mette qualche minuto di più, ma in realtà neppure troppo. Si arriva all'aeroporto di Charleroi che il sole è ancora alto, il volo è alle 21 e qualcosa, quindi abbiamo tempo per una birra e uno spuntino prima di passare i controlli. I miei due colleghi posizionano i loro bagagli a due metri da loro, e in cinque minuti di orologio arrivano due poliziotti con il cane a controllare, e a chiedere se sono i loro. Aspettiamo ancora un poco, poi passiamo i controlli, e perdiamo un altro po' di tempo al duty free: io devo comprare i cioccolatini di rito, ormai non si scappa. Non so se ve l'avevo già detto, ma una collega che ormai è in pensione, mi disse che quando una persona va a Bruxelles per lavoro, quando torna deve portare i cioccolatini agli altri. Sono l'unico che lo fa, costano un bel po', non li metto in nota spese, e me ne faccio quasi un vanto.
Si attende la comunicazione del gate di partenza ridendo e scherzando sul lavoro che ci attende. Quando ci mettiamo in coda, incontriamo altri tre colleghi, e l'attesa diventa come un pomeriggio al bar. Poi si sale, e si decolla. Si dorme anche. Siamo a casa oltre la mezzanotte, e l'indomani sarà ancora l'alba.

20161023

The End of Twenty

La fine dei vent'anni - Motta (2016)

Vi racconto come ci sono arrivato. Sento nominare questo Motta. Come spesso faccio, quando c'è troppo hype, aspetto che scemi, per poi ascoltare e giudicare con obiettività. Mi dicono che questo Motta sarebbe pisano, e che apparterrebbe al "giro" degli Zen Circus; potrebbe starmi antipatico. Un giorno per caso, ascolto Radio24 e sento che, invece, è nato a Livorno. Scherzando, comunico agli amici che sto cambiando idea. Nel corso dell'intervista, dichiara che Livorno non è importante per lui, sono molto più importanti Roma, dove si è trasferito da alcuni anni, e Pisa, dove è cresciuto. Il suo modo di parlare, però, lo tradisce. In realtà, queste cose sono importanti fino ad un certo punto.
Alla fine, guardo qualche video, ed ascolto il disco. Più volte, come fanno quelli bravi.
Ora, a parte l'attitudine finta trasandata, e la vaga somiglianza (fortunatamente è leggermente più carino) con Richard Ashcroft (forse non ve l'ho mai raccontato, ma moltissimi anni fa vidi un concerto degli Smashing Pumpkins, quando ancora non erano molto famosi, ad una Festa de L'Unità, sotto il palco per vedere bene D'arcy, e per loro aprivano i Verve, sconosciutissimi. Bene, Ashcroft da vicino fa proprio paura da quanto è brutto), si capisce che Francesco Motta ci sa fare, con la musica e con le parole. Il disco è interessante, non quel capolavoro che viene descritto da praticamente tutti, e son curioso di vedere cosa riuscirà a fare nel prossimo futuro.
I testi sono impregnati di questo fatalismo dei 20/30enni, che noi cinquantenni, diciamolo molto onestamente, non comprendiamo più, e che a volte comincia pure a starci sui coglioni, e sono in parte apprezzabili, in parte incomprensibili (sfido chiunque a capire che Sei bella davvero parla di una trans, come ha dichiarato l'autore in un'intervista); ma si sa, è quell'incomprensibile che viene descritto come intelligente, da chi non si sogna di dire che hanno poco senso. La musica è ben fatta, si sente che oltre a Motta, ci hanno messo le mani persone che ne sanno. Moderno, molto pop, con qualche venatura alternativa, che riesce a renderlo appetibile ad un pubblico ampio, ma pure alla cosiddetta critica. Così come i Criminal Jokers (la band pisana dove Motta nasce e cresce musicalmente) debbono molto agli Zen Circus (forse il pezzo più Criminal Jokers del disco è Roma stasera, vagamente new wave), Motta ingloba influenze disparate: Manu Chao (Sei bella davvero, Mio padre era un comunista, ma davvero tutto il disco è permeato di atmosfere che lo richiamano, anche se l'approccio, il cantato e l'atmosfera è molto diversa), Le luci della centrale elettrica (il modo di cantare, spesso, Abbiamo vinto un'altra guerra, La fine dei vent'anni), Tiromancino (Sinigallia e la moglie sono stretti collaboratori di Motta, produttore e co-autore lui, musicista lei, Prima o poi ci passerà), Afterhours (Se continuiamo a correre), tribalismo alla Tinariwen (Prenditi quello che vuoi), un po' di Rino Gaetano. Collaborazioni interessanti (Petulicchio dei Bud Spencer Blues Explosion, Canali alla chitarra in un paio di brani, Alosi dei Pan del Diavolo co-autore e co-voce su Se continuiamo a correre), per un disco interessante, che come detto, mette curiosità per il futuro.



Listening "La fine dei vent'anni", we can certainly understand that Francesco Motta knows what he do, with music and lyrics. The album is interesting, not the masterpiece that is described by almost everyone, and I am curious to see what will be able to do in the near future.
The texts are imbued with this fatalism of the twenty-thirty something, that we, as fifty years old, let's say very honestly, no longer understand, and that sometimes even begins to be a pain in our asses, are partly appreciable, partly incomprehensible (I challenge anyone to understand that "Sei bella davvero" really talks about a tranny, as stated by the author in an interview); but you know, it is that incomprehensible that often is described how smart, from who does not dare of saying that they have little sense. The music is well made, you can heard that in addition to Motta, they put their hands people who know. Modern, very pop, with some veining alternative, it can be palatable to a wider audience, but also the so-called critical. As well as the Criminal Jokers (Pisan band where Motta was born and grew musically) owe much to the Zen Circus (perhaps the more Criminal Jokers oriented track is "Roma stasera", vaguely New Wave), Motta incorporates disparate influences: Manu Chao ("Sei bella davvero", "Mio padre era un comunista", but really the whole album is permeated with atmospheres that recall him, although the approach, the vocals and the atmosphere is very different), Le luci della centrale elettrica (how he sing, often, "Abbiamo vinto un'altra guerra", "La fine dei vent'anni"), Tiromancino (Sinigallia and his wife are close associates of Motta, producer and co-author him, musician her, "Prima o poi ci passerà"), Afterhours ("Se continuiamo a correre"), tribalism as Tinariwen ("Prenditi quello che vuoi"), a little of Rino Gaetano. Interesting collaborations (Petulicchio of Bud Spencer Blues Explosion, Canali on guitar in a couple of songs, Alosi of Pan del Diavolo, is co-author and co-singer on "Se continuiamo a correre"), for an interesting album, which as mentioned, that leaves curiosity on his future.

20161021

Mechelen, Belgio - Ottobre 2016 (1)

Non sono passati neppure quattro giorni (oggi è lunedì 4 ottobre), che si torna in Belgio. L'occasione è l'annuale convention (un altro modo per chiamare le riunioni autocelebrative) della supply chain (una delle due per le quali lavoro, quella che mi impegna decisamente di più, e dove ricopro un paio di ruoli piuttosto importanti, altrimenti non sarei qui), che quest'anno, il capo supremo ha deciso di svolgere a Mechelen (conosciuta anche come Malines), cittadina ricca, industrializzata, ma pure storica, a una trentina di chilometri dalla capitale belga. Siamo in tre: io, il mio capo L., e la collega S., acquisto recente nella nostra squadra (è con noi da luglio), ottima occasione per conoscere colleghi e farsi conoscere (il capo "supremo" è avvisato ed ha dato la sua benevola benedizione, non è corretto invitare dei "plus" senza almeno avvertire), e verso le 16,30 del lunedì partiamo per l'aeroporto pisano, ormai un po' casa nostra (a proposito, i lavori della metropolitana di superficie sono quasi ultimati, e il parcheggio al quale sono praticamente abbonato torna ad essere vicinissimo all'entrata dello scalo - stiamo parlando di un risparmio di 100/150 metri su un totale di forse 400). Il volo è alle 19, e ceniamo in volo con i succulenti panini Ryanair, l'arrivo è poco prima delle 21, e stavolta, visto che non dobbiamo muoverci autonomamente dall'albergo dove siamo alloggiati, abbiamo preso un servizio taxi collettivo, una piccola impresa italiana che ci ha segnalato una collega, e che il mio capo ha già provato una volta. L'autista è un simpatico napoletano chiacchierone (quando capisce che a noi va bene), con varie esperienze internazionali, la guida è all'italiana ma va bene così, siamo stanchi, e il tragitto fortunatamente è senza intoppi. Arriviamo al Novotel di Mechelen neppure tardissimo, salutiamo le vecchie conoscenze e incontriamo il nuovo capo europeo, L., con il quale rimango a chiacchierare fino all'ultimo bicchiere insieme ad un altro collega statunitense, R., scoprendo cose inaspettate (televisioni internazionali preferite: la mia è Al Jazeera in inglese, quella dell'amico statunitense è CNN International, e quella del nuovo capo, che è francese, è RT - Russia Today; credetemi, una delle televisioni meno imparziali che abbia mai avuto modo di vedere).



Martedì 5 ottobre la cosa divertente è che io e il mio capo L. siamo i primi a scendere per colazione, primato che conserveremo anche l'indomani. Siamo ormai abituati a cominciare all'alba, e nonostante i comodi letti del Novotel, siamo a lavoro. Il primo giorno, l'idea si rivelerà davvero simpatica, la riunione è al Technopolis, un museo scientifico che, all'occorrenza, è attrezzato per ospitare eventi come questo. La mattina scorre con la presentazione delle novità a livello organizzativo, e, divisi per tavoli come ormai accade sempre, c'è una sorta di lavoro di gruppo, la richiesta di suggerimenti sui vari argomenti affrontati. Break vari, pranzo in piedi, termine attività verso le 17, e a quel punto, veniamo divisi in gruppi da un esperimento scientifico (una ragazza, addetta del museo, riempie una bottiglia di un gas, la bottiglia esplode sparpagliando palline con dei numeri, non scendo in particolari perché ero al bagno). A quel punto, per un paio d'ore, ogni gruppo segue un percorso attraverso i due piani del Technopolis, superando prove di abilità spicciole (palline galleggianti spinte da un getto d'acqua, costruire la torre più alta con bulloni su una calamita, ma in orizzontale, cose così), fino all'ora di cena. La cena è passabile, le chiacchiere si sprecano, ma in fondo l'atmosfera è cordiale e divertente. Dimenticavo di dire che i 3,5 km che separano l'hotel dal museo li abbiamo fatti in bus, e lo stesso facciamo dopo cena. Naturalmente, molti tirano tardi al lobby bar dell'hotel, che offre un'interessante scelta di birre, e anche stasera riesco ad essere uno degli ultimi che stacca.



Dato che spesso mi accade di dimenticare di fare fotografie che raccontino di più, stavolta ne ho fatte solo tre (due le vedete qui allegate), e tutte dalla finestra della mia camera. Secondo me riescono ugualmente a dare l'idea di quanto le città medio/grandi belghe siano ideali per vivere, se non fosse per quel clima un po' così. La mattina presto, decine e decine di bambini e adolescenti e mamme che li accompagnano a scuola, tutti in bicicletta, tranquilli, poche auto, nessuno che schiamazza.

20161020

Vero romanticismo

True Romance - Estelle (2015)

Incuriosito dalla sua apparizione in Empire, e, in seguito, dalla sua partecipazione al nuovo disco del De La Soul, mi sono procurato gli ultimi due lavori di Estelle, cantante, produttrice e autrice inglese, nata nel cuore di Londra da madre senegalese e padre grenadino, perché effettivamente, la voce è più che valida. Avendo approfondito l'ascolto di questo suo più recente True Romance, debbo onestamente dire che il mancato successo di quasi tutti i suoi dischi ha un perché. Non c'è praticamente niente di esaltante in questo disco, e l'unico sussulto me lo ha dato Conqueror, il pezzo da lei eseguito (in duetto con Jussie Smollett, uno dei protagonisti), una ballata vagamente r'n'b. Il resto è un'accozzaglia di influenze senza capo né coda, al servizio comunque di una bella voce, ma spesso senza anima.
Probabilmente, a Estelle Fanta Swaray sono sufficienti le collaborazioni (famose quelle con David Guetta e Kanye West), scrivere pezzi per altri artisti e produrre. Per la carriera solista c'è molto da lavorare. 



Intrigued by her participation in Empire, and, later, by the featuring on the new album of De La Soul, I've got the last two works by Estelle, English singer, producer and songwriter, born in the heart of London from Senegalese mother and Grenadian father, because actually, the voice is more than valid. Having in-depth listening to this its latest "True Romance", I must honestly say that the lack of success of almost all her records has a why. There is practically nothing exciting on this record, and the only jolt was giving to me from "Conqueror", the track she'd performed (in duet with Jussie Smollett, one of the main characters), a vaguely r'n'b ballad. The rest is a mishmash of influences without rhyme or reason, at the service, however, a beautiful voice, but often soulless.
Probably, to Estelle Fanta Swaray, the collaborations (famous ones with David Guetta and Kanye West) are enough, as write songs for other artists and producing. For a solo career, there still much to work with.

20161019

Spirito

Kodama - Alcest (2016)

Kodama (nella tradizione giapponese, lo spirito che risiede in alcuni alberi; vi ricorderete quelli della Principessa Mononoke, e sono proprio quelli a cui si ispira inizialmente il disco) è il quinto disco del duo francese Alcest (Neige, voce, chitarra, tastiere; Winterhalter, batteria), del quale abbiamo parlato diversi anni fa, in occasione dell'uscita del secondo disco Ecailles de lune (2010). Lo stile è ancora quello, che, ve lo ricordo ancora una volta, viene definito blackgaze (shoegaze più black metal), il disco è ben prodotto e suonato, l'unico difetto è che può risultate un po' troppo omogeneo, nel senso che si fatica a trovare grandi differenze tra un pezzo e l'altro.
Epperò, l'atmosfera che riescono a creare, fatta ovviamente da muri sonori robusti, ma ariosi e melodicamente impeccabili (tra l'altro, sempre molto belli), è grandiosa, e l'ascolto risulta piacevole.



"Kodama" (in the Japanese tradition, the spirit that resides in some trees; you will remember those of "Princess Mononoke", and are the ones that inspired initially this album) is the fifth of the French duo Alcest (Neige, vocals, guitar, keyboards; Winterhalter, drums), of whom we spoke several years ago, on the occasion of the second album "Ecailles de lune" (2010). The style is still the same, which, I remind you once again, is defined "blackgaze" (shoegaze black metal), the album is well produced and performed, the only flaw is that it can result a bit too homogeneous, I mean, it is hard to find great differences between a track and another.
Anyways, the atmosphere they create, obviously made by robust sound walls, but airy and melodically impeccable (by the way, always very beautiful), is great, and listening is pleasant.

20161018

(La fine dei) Trent'anni dopo


Le meraviglie della tecnologia, come ormai tutti voi avrete capito, danno una mano anche alla parte sentimentale di noi. Qualche tempo fa, mentre ero a Lione, mi arriva una email tramite Linkedin, e mi accorgo che non è una di quelle automatiche. E' di Gino, un ex commilitone, lo stesso che aveva già organizzato, ben venti anni fa, una cena tra ex commilitoni, a dieci anni dalla fine del servizio militare.
Dovrei andare troppo indietro nel tempo, e dovrei spiegare troppe cose. tenterò di essere breve, ma non ve lo assicuro. Ho fatto il servizio militare tra il 1985 e il 1986. Primo mese (CAR, centro addestramento reclute) a Pesaro, poi undici mesi a Forlì, nella caserma De Gennaro, 66esimo reggimento di fanteria. Lo "scaglione" era il settimo del 1985. A Forlì, il nostro scaglione era costituito in larga parte da ragazzi pugliesi, ma c'era una buona fetta di toscani, soprattutto fiorentini, e qualche romano. Molti fiorentini frequentavano la costa, magari sarà per questo, magari sarà perché tra vicini ci si capisce meglio, fatto sta che con questi fiorentini legai molto. Legare nel periodo del militare lasciava il segno, così come lo lasciava il servizio in sé. La cosa buffa è che io, casualmente, mi ritrovai "imboscato", come si suol dire, perché dato il mio "incarico" (un numero che ti assegnavano all'inizio del servizio), feci parte del "minuto mantenimento", in qualità di caldaista: esentato dalle guardie, dai campi, dagli assalti, da quasi tutto, unici impegni quelli di alzarsi un'ora prima della colazione per accendere le caldaie della cucina, e di rimanere spesso in caserma la sera, di "servizio", in caso di accadimenti particolari. Tutti gli altri amici fiorentini, invece, erano (come incarico), assaltatori. Furono impegnati per tutti gli undici mesi in preparazioni fisicamente impegnative, una vera e propria scuola di guerra, campi, guardie, notti insonni, esercitazioni continue, alle prese con comandanti esaltati, e commilitoni spesso di una pochezza intellettuale notevole.
Legammo. Uscivamo la sera insieme, ci piangevamo sulle spalle, ma riuscivamo a ridere, a crescere, a pensare al domani. Tornavamo a casa insieme, spesso, per i "48" (licenze che cominciavano il venerdì pomeriggio e terminavano il lunedì mattina, adatte per chi non era poi così lontano come noi toscani; mi ricordo ancora oggi, che gli amici fiorentini mi lasciavano a Santa Maria Novella, e che quando, all'altezza di Stagno, il mio naso si accorgeva dell'odore proveniente dalla raffineria livornese, sentivo di essere finalmente a casa), diventammo amici davvero.
Poi, come accade spesso, ci perdemmo di vista. 20 anni fa, Gino ci rimise insieme, e cenammo vicino a Firenze (ma non ricordo bene dove), e fu bellissimo. Poi, colpevolmente, ci siamo persi di nuovi di vista. Casualmente, rividi solo Marco, perché appassionato di surf, mise su un negozio qua vicino, e per alcuni mesi l'anno vive qui.
E poi, un pomeriggio di settembre (il mese del congedo), ecco la mail di Gino. Fantastico. Pian piano, Gino riesce a rintracciare tutti: Roberto P., Tiziano, Massimiliano, Marco, Stefano, Roberto R., Giorgio (da sinistra a destra nella foto sotto, manca Giorgio, che non è potuto intervenire causa moglie incintissima), e fissa una data per una cena. Sabato 1 ottobre. Immancabile.



Il ristorante prescelto è La Bianchina presso Impruneta, adatto ai gruppi numerosi, ma che ci ha fatto mangiare bene. Le foto che vedete sono la testimonianza di quella sera, e la gioia che vedete sui visi di ogni partecipante è gioia vera, non c'è niente di finto, credeteci. L'alchimia di certe cose non si spiega, come possano persone che non si sono viste per vent'anni, che non condividono praticamente niente da trenta, essere così felici di ritrovarsi assieme, seppure per una sera, e che quasi non riescono a lasciarsi anche dopo la cena, a chiacchierare del nulla sotto una specie di pensilina per ripararsi dalla pioggia battente, è uno di quei misteri insondabili dell'animo umano.



Whatsapp ci servirà per rimanere in contatto. Fra un anno, indicativamente, è fissata la prossima cena, così che anche Giorgio possa essere abbracciato di nuovo. Sapete che sono un sentimentale, quindi non ve la voglio menare troppo: grazie Gino, Massi, Tizi, Roby e Roby, Marco, Stefano, e anche a Giorgio, assente abbastanza giustificato. Siete nel mio cuore, grazie della serata, grazie per essermi stati amici in quell'anno che per voi è stato senz'altro più duro che per me, e grazie per le prossime cene a venire, e per quando vorrete passare per un saluto dal paesello sul mare. Un abbraccio.

20161017

Los Muertos

Fear the Walking Dead - di Robert Kirkman e Dave Erickson - Stagione 2 (15 episodi; AMC) - 2016

Il gruppo va verso la Abigail, la barca di lusso di Strand, mentre i militari bombardano Los Angeles. In mezzo al mare si imbattono in una barca piena di sopravvissuti, ma Strand si rifiuta di raccoglierli. Dice a tutti che stanno andando verso San Diego. Alicia si incarica di manovrare la radio, per sentire le eventuali chiamate di soccorso, ma al contrario ingaggia una conversazione con un altro sopravvissuto, anche lui in mare con un'imbarcazione; Jack è il nome che dà ad Alicia. Travis nota che il figlio Chris e Daniel stanno legando, probabilmente a causa delle loro rispettive perdite. Madison si preoccupa per il rifiuto di dormire da parte di Strand, mentre Daniel si dichiara sospettoso riguardo i motivi di questo rifiuto. Una volta in mare aperto, il gruppo celebra il funerale di Liza, e gettano il cadavere in mare. Chris reagisce violentemente, e accusa il padre di averla uccisa. Alicia viene a sapere da Jack che la sua barca sta affondando, e chiede aiuto: Strand rifiuta decisamente di andare in suo aiuto, e minaccia di gettare a mare tutti quelli che gli disobbediranno. Mentre il gruppo si prepara per la cena, Chris salta in mare, e Nick lo raggiunge, solo per ritrovarsi circondati da walkers galleggianti, vicini ad una nave capovolta, chiaramente affondata a causa di armi da fuoco. Nick recupera i libri di bordo, ma Strand avverte che un'altra nave li sta avvicinando, molto probabilmente una nave "ostile"...

Devo essere molto onesto, ho cambiato completamente parere a proposito di Fear the Walking Dead, che come ricorderete avevo stroncato con la prima stagione. Addirittura, questa seconda stagione, divisa in due parti, è un crescendo interessante. Sarà perché non c'è un vero e proprio protagonista, sarà per l'ambientazione "di frontiera", ma soprattutto messicana, sarà per questo "flirtare" di una parte dei protagonisti con i morti, ma quel che ne esce sono episodi molto più scorrevoli di quelli di TWD "originale".
Sempre ottimo Frank Dillane (Nick), bellissima Danay Garcìa (Luciana).

I have to be very honest, I completely changed opinion about "Fear the Walking Dead", which as you will recall I treated badly with the first season. Indeed, this second season, divided into two parts, is a growing interesting. It will be because there is not a real protagonist, it will be for the setting of "frontier", but mostly Mexican, for all this "flirting", from a part of the characters with the dead, but what comes out are episodes much more sliding than TWD "original."

Always great Frank Dillane (Nick), very bold and beautiful Danay Garcia (Luciana).

20161016

Bruxelles (Belgio) - Settembre 2016 (2)

Il corso, o training per chi vuole chiamarlo in modo internazionale (so che è un po' antipatico, ma del resto quando lavori per una multinazionale, capita di abituarsi a chiamare le cose in inglese, non me ne vogliate), è sulla collaborazione interna tra diverse strutture. Il bello di questi corsi è che solitamente si lavora in gruppo, un po' come a scuola. Il bello non è, almeno per me, solo questo, ma anche che i partecipanti vengono anche da altri settori, che la società ha acquisito negli ultimi anni, facendo un po' come tutte le grandi società, vendendo e acquistando, diversificandosi. Quindi, tra i partecipanti ci sono alcune persone che conosco già personalmente, con le quali ho lavorato o addirittura, con le quali lavoro tutt'ora attivamente (vedi l'amica colombiana), alcune che conosco via email o di nome, ma non di persona, ed altre delle quali non conoscevo l'esistenza, eppure esistono e lavorano come me, per questa compagnia. Ci sono, come insegnanti, o facilitatori, chiamateli come volete, un tipo che ho già incontrato un paio di anni fa ad uno dei primi corsi ai quali ho partecipato (che prima lavorava direttamente per la compagnia, poi ha messo in piedi un'azienda che organizza cose come questa), un signore vicino alla pensione, uno degli ideatori di questa Academy, un altro tipo che avrà la mia età, molto simpatico, ed una giovane signorina, quella alla quale mi sono rivolto per iscrivermi, che scoprirò essere assunta temporaneamente (e che alla fine dell'anno lascerà l'impresa).



C'è un po' di "teoria", non molta, ci sono i vari break per caffé (che, sapete com'è, fuori dall'Italia fa sempre un po' cagare) e pasticcini, c'è la pausa per un pranzo in piedi, e c'è molto, come detto, lavoro di gruppo. La cosa interessante di questo corso è che il lavoro di gruppo si basa su ipotesi di accadimenti, o di situazioni, che possono verificarsi nella vita lavorativa, e bisogna mettersi in quella situazione, addirittura interpretarla (ne riparliamo). O, in altri casi, difficoltà, sempre nella vita lavorativa, e si lavora sulle sensazioni o sui comportamenti che solitamente adottiamo di fronte a queste.
Il primo giorno ci lasciamo verso le 17,30, con appuntamento alle 19,30 in centro per una cena di gruppo. Il nome del ristorante mi suona familiare, ma non riesco a ricordarmi perché. Potrei andare subito in centro, so che ci sarà un po' di traffico, ma due ore sono effettivamente tante, quindi torno verso l'hotel, cercando un percorso alternativo, diverso da quello che ho fatto stamattina (ma che mi faccia passare tassativamente per il ponte Buda, del quale vi offro ancora qualche veduta; mi piace troppo. Nelle prime due foto, potete apprezzare l'alzata, nella quarta invece, potete intravedere un viadotto, che fa parte dell'imponente Ring di Bruxelles: ecco, quello è un tratto da evitare assolutamente nelle ore di punta, ma c'è da dire che offre una visione spettacolare, perché passa altissimo su Vilvoorde e sulla zona industriale circostante). Passo velocemente dalla camera, ed esco quasi immediatamente, puntando il GPS verso un parcheggio che credo sia quello che ho già utilizzato un paio di volte, e mi immetto nelle arterie che portano verso il centro della "capitale europea". Alcune strade ormai le riconosco, anche se probabilmente senza la guida del navigatore mi perderei ugualmente, ma ad un certo punto l'apparecchio mi impone una deviazione che dapprima non comprendo. Mentre il punto d'arrivo diventa sempre più vicino, riconosco la zona, ma riconosco anche che la sto approcciando da un'altra direzione. Arrivo al parcheggio, e capisco che non è quello che pensavo, ma uno molto molto vicino. Comodo, funzionale, pulitissimo, multipiano tutto verso il basso, prendo l'ascensore per la superficie, e finalmente capisco dove sono: esattamente sotto (adesso in) Place Charles Rogier, centralissima, dove ancora si sta lavorando (ci hanno costruito una sorta di immenso fungo, senza contare questo parcheggio proprio sotto), e dove si affacciano alcuni alberghi (in un paio di questi ci ho pure soggiornato). Il parcheggio dove pensavo di andare era dalla parte opposta della strada (Boulevard du Jardin Botanique), e la via dove si trova il ristorante è esattamente di fronte (Boulevard Adolphe Max). Faccio un centinaio di metri, vedo i soliti homeless sui cartoni, spesso di fronte alle banche, come fosse un paradosso, passo di fronte all'Hotel Le Plaza, anche qui un paio d'anni fa ci ho soggiornato, mi pare fosse la prima occasione qui a Bruxelles, poi, dallo stesso ingresso dell'Hotel Marivaux, si entra nella Brasserie Meat Me, e finalmente mi ricordo che, insieme al mio capo L., abbiamo mangiato qua l'anno passato, sempre in occasione di una riunione bruxellese. Si comincia con una birra, l'atmosfera è amichevole e divertita, si scherza e si ride, ci si conosce meglio. Cerco di parlare un po' con tutti, la mia dirimpettaia è la giovane organizzatrice, che mi rivela di voler fare un lungo viaggio in Sud America il prossimo anno, visto che le scadrà il contratto, prima di rimettersi a cercare lavoro. Mi permetto di darle qualche dritta. Si termina abbastanza presto, e ci si saluta per l'indomani. Scendo nel parcheggio, e mi rimetto in marcia per le periferie.


Giovedì 27 settembre riesco ad arrivare in orario, e si comincia la giornata di "lavoro", cambiando i gruppi, e nel pomeriggio si arriva addirittura a dei role play, partendo da quello dell'ascensore (si simula che uno dei formatori sia il CEO della nostra società, che uno di noi lo incontri casualmente in ascensore, e che si abbia 90 secondi di tempo per proporgli un'idea che riteniamo innovativa - idea assegnata nel "gioco"; l'ascensore è "simulato" da un quadrato disegnato sul pavimento), role play che sarà ripreso da una telecamera, per poi essere rivisto da tutti, per commenti e riflessioni. Nessuno ovviamente si offre volontario, e quindi mi butto, mi piace giocare. Me la cavo niente male, rotto il ghiaccio altri si offrono. Poi si passa ad un lavoro di due gruppi, dove i due gruppi simulano due servizi della nostra società, e ognuno dei due gruppi deve scegliere una linea di negoziazione da presentare, un membro di ogni gruppo poi sosterrà una negoziazione simulata con un membro dell'altro gruppo. Insomma, davvero interessante e formativo, passa davvero bene e tutti sono partecipi, alla fine.
Al termine, consegna dei diplomi (mi avevano anticipato questa cosa), e di alcuni gadget (un mug, un cappello tipo baseball, una borsa porta pc), foto di gruppo, saluti di rito, addirittura richieste di risentirsi per cose di lavoro (puntualmente accaduto, e io che come dissi quella volta, penso sempre di essere il meno intelligente dentro la stanza). Belle sensazioni.
Mi rimetto in marcia, stavolta verso l'aeroporto di Charleroi. L'ora è buona, non sono ancora le 18, ci sarà traffico ma poco importa. Scelgo un'altra strada, un po' alla volta le proverò tutte, e arrivo alla consegna dell'auto verso le 19,30, non male. Salgo in superficie, chiamo il taxi locale, mi faccio accompagnare al solito, ormai amato, Balladins. Check in da vecchie conoscenze, prenoto colazione e navetta per l'indomani mattina, lascio i bagagli in camera e mi fiondo nel ristorante per una cena veloce, rientro in camera e mi metto a lavorare fino oltre le 23. Son proprio malato.


La sigaretta dopo cena, guardando le luci dell'aeroporto

Venerdì 28 settembre la sveglia suona prima delle 4, toelette e colazione (poco, mi è rimasta sullo stomaco l'enorme porzione di pasta della sera precedente), chiudo i bagagli e per le 5,20 ho già fatto il check out. Alle 5,30 si parte per l'aeroporto, alle 6 sono al gate. Trovo un collega, adesso lavora in giro su progetti speciali, facciamo due chiacchiere. Mi metto in coda, dormicchio durante il volo. Alle 10 sono di nuovo a lavoro al paesello.