No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20141231

La tresca

The Affair - di Sarah Treem e Hagai Levi - Stagione 1 (10 episodi; Showtime) - 2014

Noah Solloway è un professore quarantenne di letteratura in una high school (con alto tasso di neri) di New York. Ex nuotatore, ha scritto un libro che non ha letto nessuno, e sta provando a scriverne un secondo, magari con maggior successo. Proviene da una famiglia non particolarmente ricca, ma ha sposato Helen Butler, compagna di università, figlia di uno scrittore di successo, Bruce Butler, e Margaret, ricchi sfondati; Margaret è una snob, e Bruce è uno sbruffone arrogante, Noah li sopporta male, Helen fa di necessità virtù. Helen e Noah hanno ben quattro figli, e una vita tutto sommato agiata, anche perché quando "non ce la fanno" la famiglia Butler aiuta. Helen ha un negozio di oggettistica chiamiamola "per ricchi", e seppure Noah, come insegnante statale, non guadagni granché, la vita è bella, i due, tutto sommato, si amano ancora. Ma, si sa, la crisi di mezz'età è sempre dietro l'angolo, e infatti, durante l'estate a Montauk, East Hampton, dove la famiglia Butler ha una villa monumentale, accade l'irreparabile. Helen e Noah partono a malincuore, la tradizione lo impone loro, e partono come sempre insieme a tutti e quattro i figli. Prima ancora di arrivare a Villa Butler, si fermano a mangiare al ruspante ristorante del luogo, dove li serve Alison, una thirty-something locale, che si rivela fondamentale nel momento in cui la piccola Stacey (una dei quattro figli Solloway) rischia di soffocare per un boccone troppo grosso. Tra Noah e Alison scatta qualcosa. E' giusto dirvi, prima di andare avanti col commento, che Alison Bailey è sposata con Cole Lockhart, giovanotto piacente anche lui locale, rampollo ruspante di una famiglia del posto, proprietaria di un ranch ormai cadente, con tre fratelli e una madre iper-protettiva; Alison e Cole stanno cercando di riprendersi dalla morte del figlioletto, avvenuta in circostanze che scopriremo pian piano, morte della quale Alison evidentemente non riesce a smettere di incolparsi.

The Affair è stata una delle novità più pubblicizzate del 2014; c'è da dire che una serie che si presenta con una "sigla" cantata da Fiona Apple (Container), un po' come succedeva per Vikings con Fever Ray, non può non essere quantomeno valida. Non è il solo elemento che spingerebbe almeno a vederne il pilot: i due creatori, Sarah Treem e Hagai Levi, sono quelli di In Treatment (Levi era il creatore dell'originale israeliano BeTipul, Treem era nel team di scrittore per House of Cards versione USA; Levi si è poi chiamato fuori da The Affair con una dichiarazione diplomatica, dicendo che il percorso era diventato differente rispetto a quello che lui voleva, ma che Treem era la migliore scelta per proseguire il percorso che The Affair aveva intrapreso). Ultimo elemento che fa di The Affair una serie, come detto, quantomeno da sbirciare, il fatto che la storia sia "raccontata" dai due punti di vista, quello di Alison e quello di Noah. Infatti, ogni episodio è diviso all'incirca a metà, e ogni metà è lo stesso arco temporale raccontato nelle due soggettive.
Bene, dopo aver terminato la visione dell'intera prima stagione, posso affermare che questa serie non spacca, ma che di certo può interessare molti. A me ha intrigato molto, e non solo perché era uno dei modi di rivedere Dominic West, indimenticato Jimmy McNulty di The Wire, qui nei panni tormentati di Noah Solloway.
The Affair ha tutto quello che serve per farmi continuare a sostenere che le serie tv sono la nuova arte, e che soppianteranno il cinema a breve. Una ottima scrittura, delle regie moderne e mai banali, interpreti ben scelti e calati nelle rispettive parti, una storia intrigante e non solo di genere (c'è un giallo intrecciato alla "scappatella", la storia è narrata come un lungo flashback, con gli interrogatori di Noah ed Alison condotti dall'apparentemente indolente detective Jeffries che fungono da trait d'union e da pretesto), e un po' di psicanalisi spicciola, soprattutto perché le due soggettive sono ora di un uomo, ora di una donna.
Una serie, quindi, per chi non cerca l'azione a tutti i costi, e neppure esclusivamente qualcosa di sentimentale.
Il cast è completato da Ruth Wilson (Alison), Maura Tierney (Helen), Joshua Jackson (Cole) nei ruoli principali, e dal sempre immenso John Doman (solo negli ultimi tempi Oz, Borgia e The Wire) nei panni insopportabili di Bruce Butler.

20141230

Southampton and surroundings (UK) - Dicembre 2014 (3)

Monday the 15th
Era una delle cose che volevo fare, nella vita. Andare a Stonehenge. E solo dopo la visita del gennaio scorso a Southampton ho realizzato che il sito non era così distante. Cipo mi accompagna, anche se sia lui, sia MP ci siano già stati. Quindi MP porta Riccardino a scuola, e noi ce ne andiamo verso la "pietra sospesa" nei pressi di Salisbury, che visiteremo dopo. Ci vuole poco più di un'ora, la giornata non minaccia pioggia, almeno nell'immediato, ma la temperatura è abbassata da un vento che man mano si fa sempre più fastidioso. Arriviamo nel parcheggio del sito, ordinato e pulitissimo, e Cipo, che ci è stato qualche anno fa, quasi non riconosce il luogo. E' cambiato un bel po'. Una struttura di ispirazione moderna ospita la biglietteria (14,90 sterline, e del resto il turismo si paga), a destra un piccolo museo modernissimo, con all'ingresso due schermi dove viene proiettato in continuo un mini-documentario che ricostruisce le fasi della costruzione di Stonehenge (Cipo mi dà l'impressione di essere più colpito dai videoproiettori che dal documentario in sé), e dopo tutta una serie di resti umani, utensili, ricostruzioni e contestualizzazione storica, paragoni cronologici con altri siti archeologici, con in più un "angolo" dove Stonehenge viene "raccontato" sullo sfondo della Prima Guerra Mondiale (la Piana di Salisbury venne usata come sito di istruzione per l'aviazione, per merito della sua conformazione), tramite alcune storie di soldati che lì erano stato "formati", storie particolarmente curiose di soldati che si erano distinti. Non manca un audiovisivo che ripercorre le tappe della scoperta del sito, il susseguirsi delle ipotesi sulla ragione della costruzione, delle modalità e di chi lo abbia fatto, e sull'influenza di Stonehenge sulla cultura popolare.

Dopo questa visita, si esce all'esterno, dal lato opposto rispetto al parcheggio, e lì si trovano le ricostruzioni di alcune capanne degli abitanti/costruttori, insieme alla replica di una delle pietre usate per costruire il sito, con un apparecchio che invita ad una prova di forza (quante persone occorro per far muovere una pietra sui tronchi di legno). Dopo di che, si passa ai trenini o ai minibus che ti trasportano al camminamento che circonda il sito vero e proprio. Si, perché negli ultimi anni, il sito è stato "allontanato" dalle strade che lo circondavano (una passava giusto al lato della Heelstone, la pietra del tallone, e anche la possibilità per i visitatori di arrivare a toccare le pietre è stata inibita, appunto, da appositi camminamenti e da una vigilanza soft ma attenta. Si parla, ormai da anni, di interrare, o addirittura di costruire un tunnel per farvi passare la A303, strada lì vicina che sopporta un volume di traffico consistente (lo potete tranquillamente notare, mentre siete lì assorti e ammaliati dal fascino del tempo, che osservate le pietre). Come che sia, già adesso mi sembra che il sito sia protetto, "coccolato", e la visita risulti confortevole ed interessante, se si esclude il fastidiosissimo vento gelido che, una volta avrei detto "mi scompiglia i capelli", adesso sono costretto a dire che mi iberna la testa e mi costringe ad indossare cappello, cappuccio della felpa e cappuccio del piumino.
Heelstone

20141229

Black Widower

Sons of Anarchy - di Kurt Sutter - Stagione 7 (13 episodi; FX) - 2014

Spoiler alert per chi non ha visto la serie fino alla sesta stagione

Sono passate due settimane dalla morte più che violenta di Tara, l'amata moglie di Jax, unica luce nel tunnel insieme ai due figli, motivo per cui lo stesso Jax stava sempre più disperatamente una via d'uscita dalla sua vita di outlaw; morte violenta, ricordiamolo, perpetrata dalla mano di Gemma, la madre di Jax, con le conseguenze immediate che hanno coinvolto Juice e lo sceriffo Eli Roosevelt. Jax, in prigione, non parla, e, mentre stringe nuove, strane e pericolose alleanze, dentro e fuori, medita vendetta. Juice è in fuga, e vorrebbe disperatamente riconquistare il rispetto di Jax e del club tutto. Abel sta crescendo fin troppo in fretta, cosa più che comprensibile, e non del tutto in maniera equilibrata. Il club è tutto con Jax, e la vendetta, non appena Jax viene rilasciato, è indirizzata, da Gemma, verso Lin e i "cinesi". Gemma, sempre più "presa" da Nero, vive però in uno stato di perenne inquietudine, per quello che ha fatto, e per quello che sta facendo fare al figlio e al club. Il nuovo sceriffo viene rimpiazzato da una donna, Althea Jarry, che si dimostra subito piuttosto "malleabile" rispetto al club, e Wendy prende pian piano il posto di Tara, quantomeno nella gestione dei figli di Jax, col consenso del padre, sempre più impegnato a risolvere un rompicapo mica da poco.

Spoiler alert: non leggete se non avete già visto anche l'intera settima stagione

Sarei tentato di partire dall'elenco delle guest star di questa stagione. Si, perché la settima e conclusiva stagione dell'amato Sons of Anarchy, diciamolo francamente, è stata una delusione. Non tutte le ciambelle vengono col buco, lo sappiamo bene, e di certo non vogliamo farne una colpa al caro Kurt. I finali, lo dico da sempre, sono delle cose delicatissime, nei libri, nei film, a teatro, e quindi, pure nelle serie tv. E questo, così come quello di Dexter, anche se non c'entra granché, è venuto decisamente male.
Non convince tutto questo credere ciecamente alla pista lanciata da Gemma, da parte di Jax, tutto il casino che riesce a montare semplicemente credendo ad una persona di cui, pur essendo sua madre, sangue del suo sangue, aveva imparato a non fidarsi mai. Non convince il fatto che nessuno dei suoi fidi seguaci non lo ostacoli neanche un po'. Non convince la rivelazione di Abel, che finalmente apre gli occhi al padre. Non convince, anzi, scrive una delle pagine più brutte della televisione, perfino a livello tecnico, il finalone catartico, una scena che perfino in un telefilm degli anni '70 avrebbero fatto meglio.
Non basta l'amore per Shakespeare. Non serve neppure che Sutter riveli finalmente che, nelle sue intenzioni, la homeless che appare ogni qualvolta Gemma o Jax devono prendere decisioni importantissime, che qualche stagione fa avevamo associato a Emily Putner, la madre di Brooke (che diventa l'assistente babysitter dei due figli di Jax, nonché la donna di Rat, in questa stagione finale), per lui rappresenta nientemeno che Gesù Cristo (il pane e il vino lasciati sul muretto quando consegna a Jax la coperta per nascondersi sulla scalinata, prima di uccidere August Marks? C'mooooooon!). Non serve. Non va. Fa niente: abbiamo amato questa serie per tante stagioni, l'ultima è andata male. Pazienza. Tanto, andava vista comunque.
Passiamo alle note liete.
Annabeth Gish (ultimamente in The Bridge) è Althea Jarry, il nuovo sceriffo di Charming.
Courtney Love (beh dai, non devo dirvi chi è) è Miss Harrison, la maestra di Abel alla scuola privata.
Tornano Peter Weller (che dirige anche alcuni episodi da regista) nella parte di Barosky, Walton Goggins negli spettacolari panni di Venus Van Dam, CCH Pounder come Tyne Patterson, Kim Dickens come Colette.
Michael Chiklis è il camionista Milo (quello che carica Gemma, e che diventa protagonista involontario dell'ultima scena).
Robert Patrick (True Blood, il mitico T-1000 di Terminator 2) è Les Patrick (uno dei presidents degli altri charters dei Sons).
Marilyn Manson è l'inquietante Ron Tully, il boss della Aryan Brotherhood nel carcere di Stockton.
Ivo Nandi (Joe Masseria in Boardwalk Empire) è Oso, il president del charter di Stockton dei Mayans.
La bella Inbar Lavi (Underemployed) è Winsome (la prostituta "salvata" da Jax, con cui "dorme" per qualche sera).
Alicia Coppola (Jericho) è Mildred Treal (la direttrice della scuola di Abel).
Hal Holbrook è Nate Madock (il padre di Gemma).
Charisma Carpenter (Buffy) è Carol (la receptionist alla casa di riposo dove risiede il padre di Gemma).
Lea Michele (Glee) è Gertie, la cameriera che fraternizza con Gemma in fuga.
Mathew St. Patrick (Keith Charles, il fidanzato di David in Six Feet Under) è Moses Cartwright, il braccio armato di August Marks.
Last but not least, nell'episodio 7x03 Playing With Monsters, Jenna Jameson (devo dire trasfigurata dalla chirurgia plastica e probabilmente anche dall'anoressia, e mi scuso se mi piace forse di più così), nota ex attrice porno, è la dottoressa che rianima Skankenstein, interpretata da un'altra vera attrice porno, Puma Swede, durante il primo ciak della Red Woody Productions.
Insomma, nonostante la delusione di quest'ultima stagione, io sono fiducioso. Un autore che riesce a far convivere Jenna Jameson, Puma Swede e la crema del porno (fermi con le battute), con l'allegoria femminile di Gesù Cristo, può regalarci altre chicche in futuro. Vai Kurt. Vai sereno.

20141228

piuttosto

Non sono un purista della lingua italiana, anzi, mi piace parlare in vernacolo, mi piacciono i dialetti, mi piace perfino usare termini inglesi, mi piace conoscere lo slang (o l'argot) nelle lingue che più o meno padroneggio, ma quando devo scrivere o parlare in un italiano che dovrebbe essere compreso da tutti, mi piace essere preciso. Così dovrebbero essere quelli che scrivono sui giornali, che parlano in televisione, o che parlano alla radio. 
Ecco perché, nella stessa maniera in cui mi arrabbio quando su un giornale trovo scritto "qual è" con l'apostrofo (è scorretto, si scrive senza), mi incazzo a dismisura quando sento qualcuno che dovrebbe parlare in italiano corretto, dire "piuttosto che" quando invece dovrebbe dire "oppure" (anche gente che scrive libri).

Allora, mi faccio aiutare da una rubrichetta di Internazionale (sul nr. 1082), Le correzioni, di Giulia Zolli.

Piuttosto confuso

"Ultimamente sento adoperare 'piuttosto che' al posto di 'oppure', ci scrive una lettrice. "Ma è corretto?". Cara lettrice, no! Questo uso scorretto ha cominciato a diffondersi già dagli anni ottanta, di pari passo con gli anatemi di linguisti, scrittori e appassionati della lingua. E' diventato perfino il titolo di un libro, di Valeria Della Valle e Giuseppe Patota (Sterling & Kupfer 2014). A quanto pare viene dal Norditalia, si è propagato soprattutto con l'aiuto della tv e della pubblicità, e ormai lo usa un sacco di gente, giornalisti compresi, magari con l'idea che serva a darsi un tono. Altri motivi non se ne vedono, visto che crea solo confusione. "Tizio legge Internazionale sul tablet piuttosto che sulla carta". Secondo la grammatica significa che Tizio legge sul tablet anziché sulla carta, secondo la nuova moda invece significa che lo legge un po' qui e un po lì, indifferentemente. A chi dobbiamo dare retta? E' difficile trovare una risposta definitiva. Le lingue cambiano lentamente e spesso quello che un tempo era considerato un errore finisce per essere accettato. Staremo a vedere. Nel frattempo, fiduciosi, facciamo la guerra al "piuttosto che" disgiuntivo.

20141226

Southampton and surroundings (UK) - Dicembre 2014 (2)

Winchester, che fu pure capitale del Wessex (anche se in un periodo in cui gli storici affermano che la corte fosse "mobile"), è una cittadina di poco più di 40mila abitanti che, probabilmente per merito delle ricchezze storiche da lei racchiuse, è diventata uno dei luoghi più ambiti dagli inglesi per possedervi una casa. Poco distante da Southampton, umida come solo i luoghi della Perfida Albione sanno essere, giace poco distante dalle rive dell'Itchen, fiume che, come già saprete, sfocia proprio a Soton. Il nostro piccolo tour di Winchester comincia dal Winchester Castle (perfino la squadra di calcio si chiama così), costruito a partire dal 1067 proprio a lato di alcuni suggestivi resti delle fortificazioni romane, vanta una sua storia e proprie curiosità; l'attrazione maggiore è senza dubbio quella che è chiamata The Great Hall, un'ampissima sala fatta aggiungere tra il 1222 e il 1235 da Enrico III. La sala contiene da una parte, una replica della tavola rotonda di Re Artù, che sembrerebbe stata fatta costruire da Edoardo I nella seconda metà del 1200, e poi fatta dipingere in seguito da Enrico VIII nel 1522, particolarmente suggestiva, e sulla parete opposta una enorme genealogia reale.
Il secondo posto a destra del regnante è assegnato a Sir Lancelot du Lac 

L'entrata nel castello avviene proprio dalla Great Hall, ed è gratuita, ma si invita a lasciare un'offerta (c'è anche l'offerta consigliata, 5 sterline). Visitato il castello, o quello che ne rimane, ci avviamo verso il centro, dove naturalmente ci sono le bancarelle classiche dei mercatini di Natale. Niente di particolare, ma un sacco di gente.

Percorsa la "vasca" di High Street (se non ho capito male, un po' in tutte le cittadine inglesi la via principale si chiama così), andiamo verso la famosa cattedrale che già si è fatto buio. La cattedrale di Winchester è rinomata perché è la più lunga cattedrale gotica d'Europa, ed ha in effetti un suo fascino. Entro per una rapida visita da solo, attendendomi il pagamento del biglietto, ma al contrario un cortesissimo custode all'ingresso mi avverte che è in corso la funzione, se voglio posso ugualmente entrare in maniera rispettosa per la mia visita, ma non mi fa versare l'obolo. Rinomato anche il coro centrale, in effetti impressionante, la cattedrale fu fondata nientemeno che nel 642, e negli anni ha visto celebrarsi al suo interno diversi funerali o matrimoni reali, nonché un paio di incoronazioni. Molte tombe, statue e piccole cappelle interne, come in ogni cattedrale che si rispetti, sia nel transetto sud sia nella cripta; nonostante personaggi storici, la salma più famosa qui seppellita è probabilmente quella di Jane Austen, morta a Winchester il 18 luglio 1817. Il suo funerale fu celebrato proprio nella cattedrale, ed il suo corpo tumulato nella navata nord.
Alcune altre curiosità che ho trovato interessanti sulla monumentale cattedrale: nel 2005 il transetto nord fu usato come set per il film Il Codice da Vinci (la cattedrale "sostituiva" il Vaticano), ma in seguito la cattedrale ha ospitato mostre e dibattiti per confutare le teorie sostenute nel libro di Dan Brown. Wikipedia sostiene inoltre che la cattedrale è l'unica ad avere ispirato diverse canzoni popolari, tra le quali Cathedral di Crosby, Stills & Nash.
Esco dalla cattedrale e trovo gli amici che mangiano churros. Ci incamminiamo verso l'auto per tornare verso casa, che stasera ci aspettano le lasagne di MP. Dopo cena, con Riccardino che dorme, gli amici insistono per guardarci un film. La scelta è felice, e ne avete letto qui. Domani Cipo mi accompagnerà a Stonehenge, luogo da lui già visitato, e lo ringrazio per questo.

20141225

sub in immersione

Diver Down - Van Halen (1982)

Come regalino di Natale, vi parlerò del quinto disco dei Van Halen; come ricorderete, pochi giorni fa vi avevo annunciato che ci saremmo tornati sopra.
Erano bei tempi, non che questi siano peggiori, solo, c'erano meno pensieri, e c'era un mondo da scoprire, compreso quello della musica. Ricordo di aver comprato, o di essere in qualche modo entrato in possesso, di questo disco in formato musicassetta. Ricordo che conoscevo già i Van Halen, e che questo disco mi fece una strana impressione. Non del tutto positiva. Posso dirvi che oggi, è un disco che riascolto con grandissimo piacere.
Oggetto particolare, contiene ben cinque cover, oserei dire tutte bellissime, tutte diverse. E' con un poco di vergogna che devo ammettere che l'esatta grandezza della musica espressa da quei Van Halen, l'ho capita solo molti anni dopo, quando ho allargato i miei orizzonti, e ho finalmente capito l'ampiezza delle loro influenze, la portata del loro, chiamiamolo così, messaggio. Enorme. Dischi del genere a quei tempi erano all'ordine del giorno, adesso molto meno.
Si parte con una delle cinque cover, Where Have All the Good Times Gone!, in origine scritta da Ray Davies per i suoi The Kinks, band che evidentemente influenzò pesantemente il combo statunitense (anche You Really Got Me è dei Kinks, per dire, e gli stessi Kinks furono tra i primi a reinterpretare un altro pezzo che appare in questo stesso Diver Down, ci arriviamo tra poco), e apparsa sul loro The Kink Kontroversy del 1965. Dire che è splendida è poco, vi dirò solo questo. Si prosegue con Hang 'Em High (omonimo del titolo originale di Impiccalo più in alto, film del 1968 con Clint Eastwood), un pezzo originale della band, risalente ai primi anni, con un riff impressionante e un incedere pressoché speed, divertentissimo. Arriva poi la volta del primo strumentale del disco, Cathedral, dove Eddie prova ad imitare con la sua chitarra, il suono di un organo da chiesa: il risultato è molto interessante. Ancora un pezzo originale, Secrets, un pezzo ritmato ma come dire, mellifluo nell'accezione positiva del termine, un pezzo da trombatori per capirci, dopo di che ecco un filotto impressionante, il nucleo del disco. Si parte con un altro strumentale vagamente cupo, Intruder, che introduce pian piano, in una maniera sorprendente, ma comunque divenuta un tutt'uno, col tempo, col pezzo seguente, alla seconda cover, probabilmente il pezzo più conosciuto del disco, primo singolo con video inizialmente censurato da MTV: (Oh) Pretty Woman, di Roy Orbison, in una versione travolgente e rispettosa. Da notare che la band sostiene che Intruder sia stata scritta perché il video (diretto da David Lee Roth) durava un paio di minuti più di Pretty Woman.
Come se non bastassero le emozioni che riesce a suscitare una cover del genere, riuscita ma che non si discosta poi moltissimo dall'originale (che era già una grande canzone), eccone un'altra: Dancing in the Street, da molti conosciuta per la versione di qualche anno dopo cantata in coppia da Bowie e Jagger, e qui dirò una cosa che molti non condivideranno, ma per me è così, questa versione è di gran lunga superiore a quella dei due mostri sacri. Giusto per la cronaca, l'originale fu scritta da (nientemeno che) Marvin Gaye, William Mickey Stevenson e Ivy Jo Hunter per il trio Motown Martha and the Vandellas, e fu ripresa pure dai The Kinks (vedi sopra). Sposo in pieno il commento di DL Roth a proposito di questo pezzo, quando dice che "it sounds like more than four people are playing, when in actuality there are almost zero overdubs". Fantastica.
Poi è la volta di Little Guitars (Intro) e Little Guitars, praticamente un pezzo unico introdotto da una fascinazione chitarristica per lo stile flamenco, e un testo di Roth dedicato alle señoritas: sembrerebbe un pezzo minore, ma non lo è manco per niente.
In seguito, si passa ad un'altra cover, stavolta scritta da Milton Ager (musica) e Jack Yellen (testo) per Margaret Young e Rube Bloom nel 1924, Big Bad Bill (Is Sweet William Now), un pezzo che, se ancora ce ne fosse stato bisogno, mostra l'enorme potenziale musicale della band intera, viaggia sulla falsariga di Ice Cream Man (su Van Halen I, altra cover, di John Brim), e vede la partecipazione straordinaria di Jan Van Halen, ovviamente il padre di Eddie e Alex, al clarinetto (davvero bravo). La prestazione di David Lee Roth è di una maestrìa a tratti indescrivibile.
Siamo agli sgoccioli, e la band piazza un pezzo originale, assolutamente vanhaleniano: The Full Bug, uno speed rock and roll metal, con una sezione ritmica incalzante, un Roth superiore, e un Eddie in grandissimo spolvero.
Il disco termina con l'ultima cover, una divertentissima (adatta, molto adatta sotto le feste, provatela) Happy Trails di Dale Evans (moglie di Roy Rogers tra l'altro, cantautrice e attrice), interamente eseguita a cappella, da brividi e, come detto, al tempo stesso divertente in maniera assurda.
Se non avete mai ascoltato Diver Down, mi sento di dirvi che vi siete certamente persi qualcosa.
Curiosità: il titolo si richiama alla copertina, che rappresenta la bandiera di segnalazione della presenza di un sub.



Diver Down is the fifth album of the american band Van Halen, and is a strange kind of album. It contains five cover versions, all reinterpreted in a superb way, but is still a Van Halen album, and it represents all the faces of their music, all the infinite potential that they had. They played, apparently without effort, songs inspired by the american popular music of the 20ies, until a sort of rock and roll with muscles, metal at maximum speed. All the little passages of this album are amazing.

20141224

عمر

Omar - di Hany Abu-Assad (2013)
Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)

Cisgiordania (West Bank). Omar, Amjad e Tarek, amici d'infanzia, formano una cellula di combattenti per la libertà del loro paese, oppure una cellula di terroristi, a voi la scelta, come recita la sinossi del film su imdb.com. Quasi ogni giorno si esercitano nel combattimento corpo a corpo e nella mira col fucile. Si stanno preparando per un'azione. Tarek è il capo della cellula.
Ma Tarek ha, come spesso accade, una famiglia numerosa, fratelli e sorelle, tra cui Nadia, non bellissima ma piacente, della quale sono invaghiti sia Omar che Amjad. Per quello che ne sa lo spettatore, Amjad la fa ridere (soprattutto quando fa il suo cavallo di battaglia, l'imitazione di Marlon Brando nel Padrino), ma i suoi occhi sono per Omar; Omar che quasi ogni giorno, sfida i cecchini israeliani e le botte dell'esercito "occupante", scavalca il muro per andarla a trovare a lavoro o per parlarle accucciati sotto la finestra di casa sua.
Omar è deciso a sposare Nadia; sta mettendo da parte tutti i risparmi che riesce ad accumulare, per comprare un appartamento decente. La parte più difficile sarà chiedere la sua mano a Tarek. 
Arriva però il giorno decisivo per l'azione. I tre rubano un auto, e sparano ad un soldato israeliano. Sembra che riescano a scamparla, ma Omar viene catturato. E la detenzione non è una passeggiata. L'esperto agente israeliano Rami gli propone un accordo, per farlo uscire dalla detenzione. Omar resiste, ma alla fine sembra cedere. Dovrà fare in modo di consegnare chi ha sparato alle forze israeliane. Lo farà?

I registi sono come gli sportivi, o come qualsiasi essere umano: i bioritmi non sempre assicurano prestazioni di alto livello. Il palestinese Hany Abu-Assad (cittadino israeliano, nato a Nazareth nel 1961, emigrato in Olanda nel 1981, attualmente residente in Danimarca, identifica se stesso come palestinese), che avevamo conosciuto col suo splendido (necessario, ebbi a definirlo) Paradise Now che alcuni anni fa si guadagnò una nomination, ha galleggiato fino a qualche tempo fa, tra film corali (Stories on Human Rights, Do Not Forget Me Istanbul) e un film invisibile (The Courier, invisibile perché probabilmente di scarso valore), finché, dopo otto anni, rieccolo: premio speciale della giuria a Cannes, nomination dell'Academy (Oscar), come già per Paradise Now, come miglior film in lingua non inglese. Non ha vinto, e se penso che ha vinto La grande bellezza mi viene un po' da ridere. Viva l'Italia.
Lasciando da parte le polemiche, vorrei solo ribadirvi che quest'anno ho avuto davvero poco tempo, sia di andare al cinema, sia di vedere quantomeno i film che pensavo valessero la pena, e alla fine sono felice di aver trovato due ore per vedere questo, insieme a due amici, che da me si aspettano il meglio: sono piuttosto sicuro di essere riuscito ad accontentarli. Omar ci riporta la maestrìa di Abu-Assad, così come la ricordavo, nel raccontare la durezza della vita di un popolo che spesso viene dipinto come terrorista, ma al tempo stesso a parlare d'amore, e ci ricorda quanto bravo sia lo stesso regista a scrivere copioni: sono sicuro che qualcuno rimarrà incantato davanti al finale, così come lo è stato davanti a Una separazione o About Elly di Farhadi.
Il film possiede molte scene di grande impatto (emotivo e scenico), e le abbina ad ottimi momenti di puro parkour, durante gli inseguimenti. Un altro grande pregio di Abu-Assad è il casting: stavolta, Leem Lubany, debuttante senza aver frequentato scuole di recitazione, nella parte di Nadia è una bellissima scoperta, tanto che la rivedremo presto in Rock the Kasbah di Barry Levinson con Bill Murray, mentre Adam Bakri, che interpreta Omar, è tanto bello quanto bravo. A volte viene da pensare che la recitazione sia nei geni: Adam è uno dei figli di Mohammad Bakri (regista e attore, Private, La masseria delle allodole). I suoi fratelli sono entrambi attori, Saleh (La banda, Il tempo che ci rimane, La sorgente dell'amore)  e Ziad (Miral, Il tempo che ci rimane).
Insomma, guardatevi Omar, così poi la smettete di rompere i coglioni perché non riuscite a trovare una fidanzata.

20141223

Il nuovo classico

The New Classic - Iggy Azalea (2014)

Qualche tempo fa, mio nipote mi segnalava le canzoni che gli piacciono, su youtube. Oltre a giovani rapper italiani tipo Jack La Furia, Gué Pequeno e simili , mi segnalò questa ragazzina, Iggy Azalea, sulla quale mi andai a documentare il giorno seguente. Mi incuriosì soprattutto perché so che, da bambino qual è, non gli piace niente che sia fatto dalle donne (famoso il suo rifiuto di ascoltare i Paramore, e la battuta durante il ritorno da Birmingham verso la sua "collega" di karate sulla scelta della musica da ascoltare in auto "non mi far sentire quella musica da donna eh!"). Scopro dunque che la ragazzina 24enne, all'anagrafe Amethyst Amelia Kelly, è originaria di Mullumbimby, New South Wales, Australia, ma a 16 anni ha cominciato a vivere negli USA e pure in UK. Modella, oltre che rapper, fa uscire singoli di successo, un EP, due mixtape, poi arriva il debutto full length, che è questo di cui vi parlo, ristampato dopo qualche mese come The New Classic: Reclassified. Insomma, detto questo, mi aspettavo roba del genere, sboccata, ma non troppo professionale. E invece, dopo un paio di primi ascolti fatti con una certa concentrazione, devo ammettere che, seppure non sia precisamente il disco dell'anno, la ragazza ci sa fare. Un sacco di collaborazioni e produzioni, come si suol fare in questo "campo", ma alla fine diversi pezzi che ti rimangono, quali Work, 100, Fancy, Goddess eccetera. Certo, se mio nipote capisse meglio l'inglese, chissà cosa penserebbe di rime quali "Valley girls giving blowjobs for Louboutins/What you call that? Head over heels?"... o forse... ci sta prendendo tutti in giro e la capisce benissimo?



20141222

Southampton and surroundings (UK) - Dicembre 2014 (1)

Saturday the 13th
E così, si finisce questo 2014 da dove lo avevo cominciato: da Soton (abbreviazione di Southampton) e dagli amici Cipo, MP e Riccardino. 4 giorni scarsi per scaricare tutta la tensione lavorativa accumulata in questo rush finale dell'anno, pronto all'ultimo colpo di reni. Terza volta, terza visita del 2014 alla Perfida Albione, paese ai miei occhi dalle mille contraddizioni: educatissimi anche alla guida, si devastano il sabato sera (la domenica mattina le città sono sporchissime) e sotto Natale si vestono, senza vergogna alcuna, e vanno in giro con maglioncini orrendi, cappelli da Babbo Natale e corna di alce (o di renna?). Stavolta son spavaldo, ormai sono non esperto, ma ho capito che riesco a maneggiare un auto guidando al "contrario", e quindi mi prendo il Pisa-London Gatwick della easyjet, noleggio un auto e mi faccio quelle due orette di strada fino a Soton. AVIS mi fa un upgrade automatico, e invece della Fiat 500 che avevo prenotato mi ritrovo una Toyota Auris ultimo modello, completamente accessoriata, devo dire una bella macchina. La giornata è splendida, ho fatto il mio dovere perfino in questo sabato mattina dove ho controllato la posta di lavoro perfino mentre attendevo l'imbarco, mi sono mangiato un sandwich sull'aereo, tolgo il ghiaccio dal parabrezza dell'auto e parto. 

Si alternano autostrade tranquille e strade di provincia, saliscendi dolci, gli amici mi messaggiano di fare con calma, e mi suggeriscono di passare da Arundel, un paesino famoso per il suo castello, cosa che faccio godendomi la meravigliosa vista. Proseguo senza troppi errori nei cambi di marcia (se non avete mai provato, non potete capire, ma questa è una delle cose che vi metteranno più in crisi, abituati ad usare il cambio con la destra) e abituandomi ad incolonnarmi nella giusta corsia per affrontare le tante rotatorie, e arrivo a casa degli amici poco prima che faccia buio (e qui ragazzi, in dicembre fa buio presto eh). Cipo è da solo a casa, MP ha accompagnato Riccardino ad un compleanno di un amichetto, quindi noi usciamo a fare un giro e a vederci il tramonto sul porticciolo, poi andiamo incontro agli altri due. Rientriamo a casa per due chiacchiere, arriva un loro amico e facciamo altre chiacchiere (spero di non perdere mai questa convinzione che gli altri fanno sempre lavori più interessanti del mio, una cosa che mi rende sempre interessato quando me ne parlano), e verso le 19 usciamo a cena; la scelta era stata concordata via email qualche giorno prima, ed è caduta sul Baan Mai, se ho capito bene un ristorante etnico che abbraccia un po' tutte le cucine asiatiche (ma potrei sbagliarmi). In giro c'è voglia di divertirsi, molti giovani e quindi pure belle ragazze; e a uno come me, a cui piacciono i mix etnici, non può far altro che piacere. La cena è deliziosa, ci scambiamo assaggi dei relativi ordini, scambiamo qualche battuta con uno dei camerieri, e insomma, si torna a casa e si fa presto a fare l'ora di andare a dormire, a parte per Cipo che ahilui, deve finire del lavoro.

Sunday the 14th
Per la giornata della domenica il programma viene definito giusto durante la cena; la prima tappa sarà la New Forest (beccatevi pure il sito ufficiale, tanto per capire come fanno le cose negli altri luoghi del mondo civile), una zona verde proprio dall'altra parte del fiume rispetto a Soton, non esattamente una foresta in tutto e per tutto, "fondata", per così dire, da Guglielmo I d'Inghilterra come riserva di caccia, divenuta oggi parco nazionale. La giornata non è esattamente come quella di ieri, è una classica giornata inglese, nuvole, pioggerellina, aperture. Nella New Forest ci sono boschi veri e propri, villaggi, animali, un grande centro scout; il perimetro è delimitato da delle griglie, per evitare che i quadrupedi grandi vadano fuori dal perimetro stesso, e chi abita nei villaggi all'interno del perimetro (villaggi perfettamente serviti dai treni, cosa che fa si che qua abiti gente che lavora perfino a Londra) può ritrovarsi mucche o cavalli in giardino, a meno che non si doti delle griglie stesse. All'interno della zona della New Forest si è sviluppata la razza equina denominata (appunto) New Forest Pony.
Cipo ogni tanto si ferma a raccogliere funghi, una sua fissa, e io mi godo la "traversata", davvero interessante. Ci fermiamo a Burley, al New Forest Cider, per pranzo, e anche per oggi non posso davvero lamentarmi. Il posto è in realtà una fattoria, e vi si produce il sidro di mele artigianale.

Si prosegue, attraversando anche il Blackwater Arboretum, una zona dove sono state piantate specie "aliene", tra cui le sequoie della California. Suggestivo spot
A questo punto, ci dirigiamo verso Winchester. E naturalmente, per quanto possa essermi informato sommariamente, rimango sorpreso da quello che troviamo.

20141221

Avvertimento

Fair Warning - Van Halen (1981)

Mettiamola così: se oggi avessi, come più di vent'anni fa, una trasmissione radiofonica, e dovessi montare la sigla per avere un bell'impatto, molto probabilmente per l'attacco sceglierei il riff iniziale di Mean Street, il pezzo d'apertura di questo album, il quarto dei Van Halen, quello che arriva dopo circa 30 secondi, dopo il classico intro con solo di Eddie, due giri, poi l'entrata di Alex con la rullata sui tom, e l'attacco del basso di Michael Anthony. Probabilmente mi dispiacerebbe togliere l'entrata del cantato di David Lee Roth, dopo lo stop, quando inizia con "At night I walk this stinkin' street/Past the crazies on my block/And I see the same old faces/And I hear that same old talk", e poi proseguirei con la seconda strofa "And I'm searching for the latest thing/A break in this routine/I'm talkin' some new kicks/Ones like you ain't never seen", perché so, so bene, mi ricordo e mi vengono un po' i brividi, che precedono, portano inesorabilmente, al godimento del ritornello "This is hooooome/This is Meanstreet/It's our hoooooome/The only one I know". Beh, certo non si può dire che un album è un capolavoro perché c'è un pezzo-della-madonna, ma di sicuro si può godere fisicamente, dopo quasi 34 anni, nell'ascolto di una singola canzone così bella, così ben studiata, dai sapori talmente variegati che ti sembra di essere con gli occhi chiusi in mezzo ad un giardino con frutta, fiori, e chissà cos'altro.
Ma, retorica descrittiva a parte, Fair Warning non è un disco con un solo pezzo valido. Proprio no, perché in scaletta, giusto dopo l'inizio, c'è Dirty Movies, un pezzo che anticipa il crossover dei Red Hot Chili Peppers di almeno un paio d'anni. E non è il solo. Poi viene Sinner's Swing, un pezzo nel classico stile Van Halen "early years", aggressivo, veloce, con il ritornello cantato in coro, la batteria tambureggiante e naturalmente, la chitarra di Eddie sugli scudi. Hear About It Later comincia con un arpeggio, e anche qua, come ci si aspetta dai VH di quei tempi, sfocia in un riff micidiale ed in un mid-tempo (che però diventa dispari nel bridge, che pure Alex mica è un coglionazzo) potentissimo. Adesso siamo arrivati ad uno degli altri pezzi-monumento di Fair Warning: sto parlando di Unchained. Riff indimenticabile, incedere incessante, strofa inebriante e ritornello che ti stordisce, dopo un classico bridge che ricorda un po' le drinkin' songs irlandesi. Push Comes to Shove è una specie di ballata, ma nasconde un mix irresistibile di blues e funk, da far impallidire di RHCP, come nel caso precedente di Dirty Movies (qua davvero sembra che Flea sia andato a scuola da Anthony per le linee di basso). Poi arriva So This Is Love?, un'altra classica VH song, martellante, da headbanging ma con quel gusto tutto guascone e danzereccio, miscelato con quelle dannatamente belle lezioni di chitarra di Eddie. Chiude lo strumentale dark Sunday Afternoon in the Park, che introduce il breve pezzo finale, One Foot Out the Door, due minuti infuocati che sarebbero potuti risultare quasi thrash se solo fossero stati suonati con distorsioni leggermente più compresse, e cantate da uno pseudo-cantante qualsiasi che, a differenza di Roth (che invece era, e probabilmente è ancora, un signor cantante), strillava più che cantare.
Ora, per quanto abbia in simpatia, come sapete, Sammy Hagar, i veri Van Halen sono quelli con DL Roth; i primi cinque dischi sono, a mio giudizio, piuttosto fondamentali nell'economia dell'hard rock e dell'heavy metal. I quattro musicisti portano dentro la musica dei VH una tavolozza di influenze impressionante, e quel che ne esce, seppur sempre schiacciato tra la debordante tecnica chitarristica di Edward Lodewijk van Halen detto Eddie, e l'istrionismo anche questo esagerato, ma a riascoltarlo oggi, dannatamente importante, di David Lee Roth detto Diamond Dave, quel che ne esce è incredibilmente denso, al punto che ascoltando questi dischi a più di 30 anni di distanza, si continuano a scoprire cose nuove, anfratti musicali nascosti, sfumature che abbiamo poi ritrovato nella musica che aveva ancora da venire.
Fair Warning è stato il disco che ha venduto meno (a parte gli ultimi due Van Halen III del 1998 e A Different Kind of Truth del 2012) nella loro storia, è stato definito il più dark (probabilmente anche a causa della - stupenda - copertina), ma io posso dirvi due cose al proposito. La prima è che ancora oggi mi sento molto legato ad esso. La seconda è che dovreste provare ad ascoltarlo, se nel caso non vi fosse mai capitato.
Torneremo a parlare dei Van Halen in futuro. Se vi interessasse sapere di più a proposito della copertina, leggete qui.


Ok, let's put it this way: if I had, like more than twenty years ago, a radio broadcast, and I had to fit the theme song for a good impact, most likely for the attack would choose the opening riff of Mean Street, the opening track of this album, the fourth of Van Halen, the one that comes after about 30 seconds, after the classic intro with Eddie's solo, two turns, then the entry of Alex with rolled on the toms, and the attack of the bass by Michael Anthony. Probably I would hate to remove the entry of the singing of David Lee Roth, after the stop, when it starts with "At night I walk this stinkin' street / Past the crazies on my block / And I see the same old faces / And I hear That same old talk", and then I would go ahead with the second verse,"And I'm searching for the latest thing / A break in this routine / I'm talkin 'some new kicks / Ones like you is not never seen", because I know, I know, I remember and I get chills, above, lead inexorably, to the enjoyment of the refrain "This is hooooome / This is Meanstreet / It's our hoooooome / the only one I know". Well, of course you can not say that an album is a masterpiece because there's a hell-of-a-song, but for sure you can enjoy physically, after almost 34 years, in listening to a single song so beautiful, so well studied , flavors so varied that you seem to be with her eyes closed in the middle of a garden with fruit, flowers, and who knows what else.
Anyway, Fair Warning was the album that has sold less (apart from the last two Van Halen III,1998 and A Different Kind of Truth, 2012) in their history, has been called the most dark (probably because of - the beautiful - cover), but I can tell you two things about it. The first is that I am still very attached to it. The second is that you should try to listen to it, in case you've never did it.

20141220

tornado di anime



Un pezzo metal che a distanza di anni non ha perso il suo fascino, e che contiene uno degli assoli di chitarra più belli che mi sia mai capitato di ascoltare.

20141219

Andare all'Inferno

Going to Hell - The Pretty Reckless (2014)

Segnalatimi dall'amico Filo, che deve aver intuito il mio nuovo trend (band qualsiasi con cantanti fighe), gli statunitensi The Pretty Reckless, qui al secondo disco, si distinguono senza dubbio per la cantante, chitarrista ritmica, compositrice e leader, nonché soggetto di tutto i loro video clip e del 90% delle loro copertine (singoli compresi), Taylor Momsen, anche modella e attrice (Gossip Girl, Il Grinch, We Were Soldiers, Spy Kids 2, Hansel & Gretel, Shiloh e il mistero del bosco, Paranoid Park, Underdog, Spy School), nonchè amicona di Jenna Haze, ex pornostar, apparsa in un video dei TPR del primo disco, mentre qua fa un cameo in Follow Me Down come additional vocals (in realtà è quella che geme nell'intro del pezzo). Ora, non è facile giudicarli, distratti da tanta "generosità", eppure ci dobbiamo provare. Sicuramente, la signorina ed i suoi musicisti devono molto al reverendo Manson, ed in genere a quel metal statunitense non troppo estremo, con ampie aperture melodiche, ballate eccetera. La sensazione è che dal punto di vista musicale, non sappiano ancora bene dove andare, spaziando da pezzi grintosi (Going To Hell, Why'd You Bring a Shotgun to the Party, Follow Me Down, tutti debitori del reverendo di cui sopra) a quelli più orientati verso le classifiche (Heaven Knows, Absolution, Blame Me, Fucked Up World, Kill Me, Only You, nei quali scorgiamo spesso anche il fantasma di Joan Jett), e quelli un po' alla Avril Lavigne (House on a Hill, Dear Sister, Burn, Waiting for a Friend). La ragazza canta pure discretamente, e i musicisti sono decenti; certo, si scorge pure una volontà esagerata di essere trasgressivi con le liriche e gli atteggiamenti, ma è tutto inutile quando poi si fanno video come quello allegato. La band, in definitiva, è piuttosto inutile, ma la ragazza è piuttosto figa.
 

Actress and model, Taylor Momsen also plays guitar, sings and writes songs for her band, The Pretty Reckless. This is their second album; the girl is very pretty, and her voice isn't bad at all. But, the thing is, that seems they still don't know what they want to do when they will grow up. Something like Marilyn Manson, something like Joan Jett, something like Papa Roach, or something like Avril Lavigne?


Only time will tell. In the meantime, look at the cover...

20141218

Malta - Novembre 2014 (11)

Come anticipato, devo lasciare l'albergo entro le 11. Come immaginavo, cerco di tirar tardi ma non ci riesco. Solite cose del mattino, toilette, colazione, il trolley è già pronto, mi godo il tiepido solicchio del mattino ma alla fine penso che le tipe del room service, se lascio la camera un po' prima per loro è meglio, e insomma, mi ritrovo a girare senza meta per le viuzze interne di Malta. Ripasso vicino a Mdina e faccio una foto del suo profilo, così, tanto per gradire.
Poi mi viene in mente che potrei provare a fotografare quel bell'arco che ho intravisto dal bus qualche giorno prima, vicino a Blue Grotto. Ma sfortunatamente, dalla strada non c'è verso. Mi limito a fotografare l'isola disabitata di Filfola, mentre decido se visitare i templi di Hagar Qim o no.
Alla fine, decido di si, che presentarsi all'aeroporto così presto non s'ha da fare. E chissà, magari sono interessanti come quelli di Ggantija visti ieri.
Devo dire che, alla fine, la scelta paga. Una piccola costruzione ospita la biglietteria e un piccolo cinema, dove viene proiettato un documentario di animazione di 7 minuti, che illustra le ipotesi di costruzione dei templi. La figata, che attendiamo di vedere anche da noi prima o poi, è che il mini-cinema è equipaggiato con un impianto che simula vento e pioggia, perfino odori, che accompagnano la proiezione. Poi c'è un piccolo museo informativo, sempre sulle ipotesi costruttive e sulla storia dei ritrovamenti, dopo di che, si può passare alla visita. I siti sono due, Hagar Qim e Menaidra, quest'ultima alcune centinaia di metri più verso il mare, in una posizione a dir poco spettacolare. I due templi sono stati recintati, sono sorvegliati, e sono stati coperti da due tensostrutture, per preservarli da intemperie e vandalismi.
Poco altro da aggiungere a quello detto in occasione della visita a Ggantija, si respira il fascino del tempo, ma di un tempo immane.
La visita mi soddisfa, e il tempo passato è quello giusto. Con larghissimo anticipo mi avvicino all'aeroporto, consegno l'auto, mangio qualcosa, fumo l'ultima sigaretta in terra maltese, mi siedo e mi guardo qualche un episodio di qualcosa, passo i controlli, mi siedo con calma aspettando l'aereo. Malta è così vicina, così piccola e così piena di storia, di sole e di mare, che mi rimane la voglia di tornare, un giorno o l'altro.

20141217

Guancia a guancia

Cheek to Cheek - Tony Bennett and Lady Gaga (2014)

Sono abbastanza sicuro che si sarà scritto di tutto su questo album, nel bene, nel male, si saranno fatte speculazioni, dietrologia, eccetera. Ora, a me francamente non me ne può fregare di meno, un po' perché certo non sono un esperto di crooner statunitensi né di swing in genere, e neppure sono mai stato troppo interessato al fenomeno Lady Gaga, seppure il personaggio mi abbia suscitato simpatia, il suo genere musicale non è esattamente quello che vorrei ascoltare in punto di morte per lasciare questa vita ricordandomi le emozioni più profonde mai provate. Quando ho saputo di questo album, ho avuto un sussulto di curiosità, e mi sono messo all'ascolto senza troppo problemi, né preconcetti. Ora, da un disco di standard c'è sempre da imparare qualcosa, a mio parere. Almeno si è sicuri che si sarà di fronte a belle canzoni. E questo è innegabile. Poi, insomma, Tony Bennett c'ha 88 anni suonati (ah ah), è di famiglia italiana, e magari sarà pure stato uno dei tanti che hanno cantato per i mafiosi italo-americani, ma è uno che ci sa fare col canto, poco ma sicuro. Quel che è stupefacente, fino ad un certo punto, è primo, che ci sia una chimica innegabile in questo quantomeno insolito duo, e secondo, diamine, che voce che c'ha la Lady Gaga, ragazzi!

Divertissement godibile, pezzi di Cole Porter, George e Ira Gershwin, Duke Ellington, Irving Berlin e molti altri.



You can think whatever you want on this "operation" of duets with 88 years old crooner Tony Bennett and the star of the moment Lady Gaga, but the important thing, to me, is that an album of standard is always an album of beautiful songs, and, if Tony Bennett is a certainty, guys, what a hell of a voice have Lady Gaga!

20141216

Malta - Novembre 2014 (10)

Si prosegue con il gran finale (non l'avrei detto, ma mi son dovuto ricredere) dei templi megalitici di Ggantija. Situati nella piccola Xaghra, non sono gli unici templi di quell'epoca ritrovati in ottime condizioni a Malta. Il sito è spartano ma interessante, e sinceramente, si, sono sassi, ma pensare che son stati messi lì tipo 5.000 anni fa è al tempo stesso sbalorditivo, straordinario e sorprendente. Insomma, vale la pena. Sono (naturalmente, e meno male) stati dichiarati patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO nel 1980, ed è stato stimato siano la seconda più antica struttura religiosa in pietra costruita dell'uomo dopo quella di Gobekli Tepe in Turchia. Se siete interessati, la scheda wikipedia in inglese, a proposito di Ggantija, è un po' più esauriente di quella italiana. Anna spiega con trasporto la storia, le leggende, le supposizioni sul luogo e sui templi, prima in inglese, poi in italiano. Con una certa soddisfazione, riesco a saltare la seconda spiegazione, e mi godo in silenzio l'osservazione.
Un po' frastornato dall'idea che già a quel tempo l'uomo avesse bisogno della religione, salgo sul bus. Si torna verso l'imbarco del traghetto per tornare all'isola principale. Mentre aspettiamo di scendere, quasi finita la breve traversata, sono in fila vicino alla guida Anna, che sta chiacchierando con due colleghe (una delle quali, l'ho notata, anche perché caruccia, un paio di volte oggi, accompagnava un gruppo di spagnoli). Intuisco che stanno parlando di lingue, e colgo l'occasione di questo per riflettere giusto un momento sulla lingua maltese. Non sono certo un esperto, ma come faccio sempre per pura curiosità, ascolto attentamente, e devo dire che ho avuto l'impressione che mai come nel caso del maltese, la lingua rappresenti un po' la storia di questo popolo. Spesso somiglia all'arabo, ma è scritto con i caratteri dell'alfabeto latino, risultando un incomprensibile accozzaglia di consonanti, anche strane da avvicinare. Ma, al tempo stesso, è infarcita di termini inglesi e italiani, o almeno molto simili all'italiano, e addirittura, in alcuni casi, di qualcosa simile al francese. Davvero affascinante. 
Qualche minuto di bus, e poi arriva la mia fermata; saluto Anna ringraziandola con una mancia, salgo in camera, sbrigo un po' di "lavoro" via email, mi preparo per la cena, che stasera sarà al buffet asiatico, insomma, solite cose. Domattina entro le 11 lascerò l'albergo.