No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20090131

ravvedimenti in ritardo


Roma, 10:31
PAOLO GUZZANTI, BERLUSCONI E' INNAMORATO DI PUTIN
"Berlusconi e' innamorato di quel brigante internazionale che e' Putin. E questo, a mio avviso, la dice lunga sulla sua idea di democrazia. La sua e' una democrazia autoritaria ammantata di benevolenza. Se avesse vinto Veltroni, sarebbe stato meno pericoloso per la democrazia parlamentare". Lo afferma il deputato del Pdl, Paolo Guzzanti, in una intervista al 'Riformista'.(31 gennaio 2009)

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Se n'è accorto adesso eh?

20090130

questa è una canzone d'amore di giorgio canali

questa è una canzone d’amore / costellata di sospiri e baci teneri, tenere parole / questa è una canzone d’amore / con le rime al posto giusto: / cuore, tremore, fuoco eterno, rosso inferno / sono una scimmia col telecomando / mi viene una gran voglia di prendermi a calci / ‘ché tanto è inutile cambiare canale / e questa è una canzone d’amore / news e sorrisi inquietanti / leccaculo in poltrona o sciacalli d’assalto / che se poi crepano puoi solo gioire / ma questa è solo una canzone d’amore / e i faccia a faccia tra deficienti / che parlano senza un cazzo da dire / che gli altri, per pudore, dovrebbero solo tacere / questa è una canzone d’amore / è una canzone d’amore, amore proverbiale / amore da manuale, amore, amore, amore, amore / è una canzone d’amore, amore sperimentale / amore antisociale, amore, amore, amore, amore / eroici carabinieri / mandati a spremere bottiglie nei super- mercati / meglio lì che in piazza a farsi provocare / e questa è una canzone d’amore / epidemie ter- rificanti / nuovi contagi e vecchi mondi da cui star lontani / e noi qui in fila a farci rivaccinare / e questa è una canzone d’amore / è una canzone d’amore, amore interinale / amore assistenziale, amore, amore, amore, amore / è una canzone d’amore, amore terminale / amore funerale, amore, amore, amore, amore / e poi, il vento divino / in confezione convenienza “prendiduepaghiuno” / e non è strano che sia sempre lo stesso a pagare / e questa è una canzone d’amore / arruolati: trovi un mestiere / e io non ho nessuna
pregiudiziale / se sono io a decidere a chi sparare / e questa è una canzone d’amore / è una canzone d’amore, amore spirituale
/ amore, universale, amore, amore,amore, amore / è una canzone d’amore, amore orizzontale / amore anticlericale, amore, amore,
amore, amore

autostrada per l'inferno


Avete presente questo disco degli AC/DC? Correva l'anno 1979, quindi a questo giro ricorre il trentesimo. Faccio per dire. L'ultimo disco con Bon Scott (morto nel febbraio 1980).

Mi ricordo come fosse oggi il videoclip (uno dei primi in assoluto) del singolo che era pure la title track, col saltino di Angus giù dalle casse. E altri pezzi indimenticabili che ti si incollano addosso come delle cicatrici. Era ancora viva, molto viva, l'influenza blues nel sound degli australiani.

Ma a questo album sono legato da uno di quei momenti dell'adolescenza che avrete tutti, quei piccoli fatti che non riuscirai mai a toglierti dalla mente.

Era l'inverno del 1984. Bologna, Teatro Tenda. Concerto: Iron Maiden (tour di Powerslave), band di spalla Motley Crue (Shout At The Devil). Fuori, in fila, un ghetto blaster mi fece ascoltare per la prima volta i Metallica (a quel tempo era dura trovare i vinili "di nicchia").

Io e i due amici che erano con me, Alfredo e Leonardo, entriamo appena aprono le porte. Ci posizioniamo. Partono i "nastri" pre-concerto, a quell'epoca fondamentali, il pubblico partecipava, commentava, scandiva, fremeva. Bene, sicuramente ve l'ho già detto: Touch Too Much, da questo disco, passò almeno 10 volte. E il pubblico, ogni volta che passava, la cantava in coro tutta, dall'inizio alla fine. Ogni volta che ci ripenso, e lo faccio spesso, mi vengono i brividi freddi.


AC/DC - Highway To Hell

jobs


jessica



latte


Milk - di Gus Van Sant 2009


Giudizio sintetico: da vedere


Harvey Bernard Milk nacque nel 1930 nel Long Island (New York) e morì nel 1978 a San Francisco, dove era supervisor (l'equivalente di un nostro consigliere comunale) da circa un anno, dopo altre 3 elezioni, per la stessa carica, fallite. Si era trasferito a San Francisco nel 1972, insieme al suo compagno di allora, Scott Smith. La particolarità di Milk fu quella di essere il primo politico, dichiaratamente gay, ad essere eletto ad una carica pubblica negli USA. Il film di Van Sant ne ripercorre piuttosto fedelmente la vita negli ultimi 6 anni, da poco prima del suo trasferimento a Frisco, fino alla morte.


La mia impressione del film è stata positiva, anche se devo dire che me lo aspettavo più intenso. Le intepretazioni sono tutte buone, anche dei non protagonisti: un Penn sempre più erede di De Niro (l'ho già usato spesso questo paragone, e rimango fermamente convinto che regga), Diego Luna (Jack, il messicano coi capelli cotonati) sopra le righe e superchecca isterica, James Franco (Scott Smith) quasi bel tenebroso dopo un inizio fresco e spensierato, Josh Brolin sempre più bravo e, tra l'altro, tremendamente somigliante al Dan White vero, ma soprattutto uno strepitoso Emile Hirsch nei panni di Cleve Jones, l'attivista più entusiasta, il braccio destro di Milk quando c'è da muovere un grande numero di persone; stenterete a riconoscere il protagonista di Into The Wild se non lo sapete prima. L'atmosfera anni '70 è ben fotografata, la tecnica è impeccabile, il montaggio ottimo, soprattutto perchè le immagini si scambiano spesso tra il girato e le immagini di repertorio, la scena in split-screen è un vezzo ma non stona affatto.
Al capolavoro manca decisamente qualcosa, però. Forse perchè la storia personale, soprattutto quella antecedente al rapporto con Smith, prima del trasferimento in California, è solo accennata, ma c'è chi sostiene che la cosa è voluta, magari per non scadere eccessivamente nel melò (i quattro o cinque compagni suicidati effettivamente avrebbero appesantito il tutto), però forse alla fine il regista è rimasto un po' troppo a briglie corte. Mi ha commosso poco, solo in un momento. Mi aspettavo di essere toccato maggiormente, anche se ci sono dei bei momenti, quasi coinvolgenti, soprattutto quelli delle marce o, comunque, i momenti dove la coesione della comunità gay si sente in tutta la sua forza e si organizza contro il pregiudizio bigotto e moralista. E' forse lo stile Van Sant, padrone del mezzo come sempre, assolutamente, spesso distante, come a non giudicare, ma freddo, a mio giudizio eccessivamente.

Ad ogni modo, un film importante su una figura poco conosciuta in Europa, su temi che, purtroppo, sono ancora di attualità.

20090129

don zauker


Non avevo detto ancora niente sull'appassionante questione delle "pubblicità", anzi, della "guerra" delle pubblicità atei vs credenti, soprattutto sugli autobus genovesi; me lo ricorda il post dell'amico Follo sul suo blog.

Preso nella tenaglia dei sensi di colpa, per essere un credente in crisi, risolverei la questione rivestendo (è proprio il caso di dirlo) gli autobus con questa t-shirt del Vernacoliere ispirata al mitico esorcista Don Zauker, che se non conoscete potreste pentirvene amaramente (soprattutto se lui lo viene a sapere).

A lato.

around the rape

Torno su uno dei temi caldi di questi giorni, gli stupri e gli stupratori. Questa volta per esaminare quello che succede attorno ai colpevoli, ai presunti colpevoli e alle vittime. Vorrei pure citare le forze dell'ordine, e ricordare che, ad esempio, i reo-confessi di Guidonia sono stati presi con un'operazione-lampo grazie a delle intercettazioni telefoniche, intercettazioni che vengono avversate dall'intero arco costituzionale e che, prossimamente, saranno messe forse fuori legge da nuove norme.

Ieri sera mentre mangiavo, a differenza del solito ho acceso la tv e l'ho lasciata per default su Rai Uno. Ho visto il tg. Ho visto il servizio sugli striscioni, che gli amici del violentatore della ragazza romana alla festa dell'ultimo dell'anno, hanno appeso davanti alla casa, dove il colpevole è agli arresti domiciliari. La cosa mi ha stupito poco. Tralascio la possibilità di affondare il coltello nella piaga, e di far notare alcuni arguti commenti sul web, che a loro volta fanno notare come, magari, gli amici del tipo che gli danno solidarietà con gli striscioni e le dichiarazioni (fregandosene del dramma della vittima), potrebbero essere quelli che volevano linciare i rumeni colpevoli dello stupro di Guidonia, mettendo così in luce questa particolare "doppia velocità" tutta italiana.

La cosa che mi ha infastidito è stata lo "stile" dell'autrice del servizio. E' andata a fare delle domande agli amici del tipo che armeggiavano intorno agli striscioni (rimossi due volte due dalle forze dell'ordine nel giro di un giorno...sono anche "de coccio" questi qua). Ne usciva un quadro desolante, sia per le mezze domande che per le risposte inesistenti. Lo stile era molto "Studio Aperto". E dal TG1 non me lo aspettavo (per completezza, c'è da dire, per chi non lo fosse ancora venuto a sapere, che è saltato fuori che il colpevole era stato intervistato prima della festa dell'ultimo dell'anno da Studio Aperto, e che aveva pure elargito consigli sul non guidare in stato di ebbrezza, risultando un vero tamarro a livello di look). L'appiattimento verso il basso è definitivo. E inserito in questo quadro deprimente fatto di stupri, tentativi di linciaggio, razzismo, la pochezza giornalistica mette profonda tristezza. Una specie di corto circuito senza fine.

bolle speculative


Leggete questo articolo. Che cosa se ne deduce? Ovvietà, lo so. Ma spero concorderete con me che sono ovvietà piuttosto tristi. Siamo nel 2009 e stiamo ancora qui a questionare sulla sessualità dei personaggi pubblici. Mi ritengo così avanti da sostenere che l'Arcigay è indietro. Non c'è nessun bisogno di avere modelli di riferimento "corretti" nella gaytudine. Ma capisco che non ho ragione, perchè continuo a vivere, anzi, a pensare di vivere in un mondo perfetto.

Purtroppo, ogni giorno, ogni momento, ogni piccola cosa che accade mi ricorda che siamo in Italia e che, anche a livello mondiale, stiamo attraversando una grandissima regressione civile.

Io continuo a sperarci. Dico, in un'apertura mentale globale.

20090128

non ha preso il giro


Proprio così: pressappoco, il significato dell'espressione bad english è questo. "Non ha preso il giro", giocando a biliardo e giudicando un colpo di stecca. I Bad English (maggiori info qui e qui) si formano nel 1988 e durano due dischi in tre anni. Erano un cosiddetto supergruppo: il cantante John Waite, tutti lo ricorderete per Missing You, rifatta anche da Paola Turci in italiano (e riproposta anche da Waite stesso qualche anno fa in duetto con Alison Krauss, prima che lei incidesse il suo disco con Robert Plant, Raising Sand), dopo una breve ma soddisfacente carriera solista, decide di riformare il suo vecchio gruppo The Babys. La storia la potete leggere in quei link wikipedia che vi ho inserito sopra, quel che conta è che alla fine, i cinque musicisti che formano questa (allora) nuova band sono tutti bravissimi. La stella, oltre a Waite, è Neal Schon, chitarrista dei Journey.

Il risultato è, come si poteva dedurre, grande rock sofisticato. Quello che una volta si chiamava A.O.R. (Adult Orientated Rock), termine che vi ho più volte citato, quell'hard rock da autostrada (anzi, da freeway) che portava i capelli lunghi e cotonati, per intendersi, che confinava col glam rock.

Il primo disco fu leggermente superiore al secondo, seppur di poco, anche in termini di vendite (c'era un tempo in cui i dischi si vendevano); ne ho ricordi vari e bellissimi (uno in particolare ve lo racconterò nel prossimo capitolo di Io e i Metallica, il dodicesimo, che parlerà del Monsters Of Rock del 1991 a Modena), nonostante fosse una di quelle band che ammettevo con un po' di reticenza di ascoltare, data la mia estrazione da thrasher (erano tempi duri, quelli, altro che emo).

Ci sono grandi ballate romantiche, pezzi più movimentati dal grande tiro, tappeti di tastiere eleganti (alzi la mano chi si ricorda di Greg Giuffria della band omonima e non solo, tanto per dare un'idea), drumming energico e martellante, linee di basso essenziali e potenti, voce che ancora oggi ha il suo appeal e assoli di chitarra virtuosi. Spruzzate di fiati qua e là. Vaghe influenze blues. Quasi tutti i pezzi scritti da Schon e Waite, alcuni insieme agli altri, solo due eccezioni, una riuscita, l'altra no: la romantica e iper-pop (fu scelta come primo singolo) When I See You Smile, scritta da Diane Warren, e la (troppo) soffusa Don't Walk Away, scritta tra l'altro da Glenn Hughes (Deep Purple) insieme a Peter Sinfield (King Crimson), tanto patinata al punto che fu rifatta dalle Pointer Sisters qualche anno più tardi.

Un album che si ascolta con grande piacere, sempre che vi vada a genio il rock vagamente patinato, all'americana, di un certo tipo. Mi ci rifugio quando mi va di essere in the mood for love. Come rimanere impassibili a versi facili facili ma "teneroni" quali I wanna quit the fight / and then I see you baby / and everything's alright o When I see you smile / I can face the world / oh you know I can do anything (When I See You Smile), oppure This house is not a home without you (Price Of Love), il tutto insieme ad un ottimo rock d'annata e molto easy listening?


Il secondo disco, Backlash del 1991, uscito praticamente "postumo", contiene ugualmente delle gemme AOR quali So This Is Eden, The Time Alone With You (I've been waiting all my life / just to look into your eyes / I live for the time alone with you / 'cause everytime I see your face / all my troubles fade away, per dire), Make Love Last, Straight To Your Heart.


Bad English - Omonimo 1989

Bad English - Backlash (1991)


PS lo so che quando vedrete la foto di copertina, che accompagna questo post, riderete a crepapelle!

beyoncè

di beyonce ho sentito il pezzo if i were a boy, e mi è piaciuto.
beyonce è bella e brava.
se facesse anche l'eptathlon sarebbe la donna perfetta!

wimax

http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/tecnologia/wifi-world/parte-wimax/parte-wimax.html?ref=hpspr1
Qualcuno ce l'ha già? Come va? Grazie per gli eventuali commenti.

lusinghe

Qualche giorno fa vi parlai di questo fatto. Nella confusione (mi ero dimenticato di aggiungere il blog di Filippo nei miei reader, e questo suo post che vi linkerò mi era scappato) non mi ero accorto che Filippo ha scritto della stessa cosa sul suo blog, aggiungendo il suo punto di vista su come lui, leggermente più giovane, mi vedeva a quei tempi. Una di quelle cose lusinghiere ma pure vagamente imbarazzanti. Sicuramente, più lusinghiere.
Ecco cosa dice in quel post.

Poco da aggiungere se non grazie ancora, Filippo.

battuta


Avvertenza: possono capirla solo gli appassionati di Californication.


Vorrei essere Hank Moody, e invece sono solo Charlie Runkle.

strano


E' buffo com'è strana a volte la vita. Ieri sono morti due personaggi agli antipodi. Mino Reitano e John Updike.


Li saluto entrambi.

20090127

stupro

Che parola orribile, mi viene sempre da pensare. E' capitato di parlarne, soprattutto perchè è uno dei reati che mi fa più orrore (insieme all'evasione delle tasse, ma per altri motivi, mi perdoneranno le donne). Ciclicamente, torna "di moda", grazie ai media, ma di stuprare non si smette mai, nel mondo.
Mi fanno sorridere quelli che si affannano a proclamare, a pontificare, solo dopo fatti eclatanti, e in special modo quelli che si indignano solo dopo stupri perpetrati da immigrati, dimenticandosi (anche per colpa della stampa, che tratta gli stupri in modo diverso a seconda di chi sia lo stupratore sospettato) degli stupri quotidiani e delle violenze domestiche, sempre più presenti nel nostro paese, senza che ci sia stata una profonda presa di coscienza come, ad esempio, in Spagna, dove ovunque ti giri ti viene ricordato da "pubblicità" governative, che la violenza sulle donne è reato e chiunque è chiamato a collaborare per tentare di combattere questa piaga sociale.

Volete un tentativo di soluzione del problema? Ve lo do io. Ai violentatori certi, gli diamo 30 anni di carcere.
Scommettiamo che gli stupri calerebbero?

storie


Leggete questa curiosissima storia dal Corriere on-line. C'è di che riflettere.

20090126

povero silvio



Dovremmo avere tanti soldati quante sono le belle ragazze italiane, e credo che non ce la faremmo mai.


Un'altra "carineria", come le definisce lui, del nostro (ebbene si) Primo Ministro. Infierire su questa più che infelice dichiarazione, sarebbe come sparare sulla Croce Rossa. Tra l'altro, nonostante tutti i commentatori abbiano rilevato e sottolineato che è offensiva verso le donne (il che non è propriamente vero, si capisce che lui come al solito vuole lusingare le donne, è proprio che su un argomento come questo sarebbe bene non scherzare, e basta), quello che a me salta agli occhi è che sia profondamente razzista (sia verso le donne non italiane, sia verso le donne non belle). Ma, si sa, io sono ottuso.


Siccome lo voglio "ripagare" con la stessa moneta, rilancio. E, se potessimo, chi giudicherebbe a chi assegnare il soldato? Una giuria nazional-popolare? Pippo Baudo? Bonolis? Silvio stesso? Gianni Letta? Solange? Dolce & Gabbana?


Ma dove cazzo siamo capitati? Voglio andare a dormire e svegliarmi in un paese civile, cribbio!

ce n'è un altro a lucca...


Da buon (spero) toscano, uso spesso il campanilismo per scherzare anche pesantemente. Potrei dire di tutto, a proposito di Lucca, isola "bianca" da sempre in un mare "rosso", con i suoi abitanti visti come dal braccino corto, e altri luoghi comuni. Invece, la città è bella, mi piace passeggiarci, la consiglio spesso ai non toscani.

Ma questa notizia, a mio modesto parere, denota una discreta ottusità. La giunta comunale licenzia il nuovo regolamento comunale che "non ammette l'attivazione di esercizi di somministrazione, la cui attività svolta sia riconducibile ad etnie diverse". Non solo.

Leggete la notizia e, per non piangere, mettetevi a ridere. L'unica cosa positiva è che non apriranno Mc Donald's. A meno che non partano carri armati da Camp Darby per protesta.....


sleeveface

L'amico Filippo mi segnala questo sito, curioso. Magari piace anche a voi.
http://www.sleeveface.com/

the reggae sessions


Casino Royale - Royale Rockers: The Reggae Sessions, venerdì 23 gennaio 2009, Firenze, Auditorium Flog


Anche questa sera, un diluvio. Faccio la FI-PI-LI, almeno fino a San Miniato (da dove parte l'asfalto drenante fino a Firenze, e quindi c'è molto meno pericolo e molta più visibilità), in apnea, con una certa preoccupazione. Ma quando smette di piovere?

Mi accorgo, spulciando nell'album dei ricordi, che sono quasi due anni che non vedo i Casino. Mi pareva molto meno. Stasera sono in chiave reggae, per supportare il disco Royale Rockers: The Reggae Sessions, uscito mesi fa, e, immagino io, per fare qualcosa di diverso come dev'essere per una band italiana che, in fondo, ha un mercato limitato ma affezionato.

Il solito orario infame, e si inizia verso le 23,20, dopo una selezione di dischi reggae come si confà alla serata. Si sale subito sul Treno per Babilon, che soprattutto con questa "riverniciata" non dimostra i suoi 16 anni. Suono un po' impastato, voce che si perde. Alioscia è ingrassato, ha la pancia ed è quasi quadrato. Non mi pareva fosse in "questa" forma due anni fa, ma non è un problema. Penso a quella foto di anni fa dove somigliava dannatamente a Giovanni Lindo Ferretti, e in fondo è meglio sia un po' ingrassato, rispetto a somigliargli ancora...

Pardo porterà gli occhiali da sole tutta la serata, e va bene così. Patrick risulterà il più indiavolato, un pazzo scatenato per tutta la durata del concerto, ma soprattutto, come già avevamo constatato, si conferma una colonna importantissima dei "nuovi" Casino, per la sua voce bella e potente, che "sostituisce" in pratica quella del King. Alex alla batteria va a nozze coi tempi in levare, Rata è vivace e sfoggia lo strumento che, come ci dice Alioscia, si è inventato da solo, in pratica un campanello dal suono prolungato, Alessio al basso è inappuntabile e, in chiave reggae, secondo me si diverte anche un mondo.

Il pubblico non riempie la Flog ma è numeroso e si diverte, balla, partecipa, batte le mani, dialoga con Alioscia che ha voglia di parlare, di giocare, e risulta sempre simpatico e divertente, anche se le sue battute continuano ad essere indistinguibili per noi che non siamo milanesi.

La scaletta è lunga. Oltre ai pezzi del disco, ci sono altri pezzi del repertorio CR che vengono riarrangiati per l'occasione, e suonano bene. E' il caso di Plastico Mistico, ma anche dell'eterna Re senza trono, che Alioscia presenta dicendo qualcosa sul fatto che è inutile dire, dopo una delusione, "non mi innamoro più" perchè tanto nessuno ce la fa. Alcuni pezzi rimangono dubbiosi, anche se i ragazzi ci danno dentro, mentre molto indovinate risultano La sopra qualcuno ti ama e la conclusiva Royale Sound, perfetta sintesi di reggae ed elettronica.

In chiusura anche la clashiana Revolution Rock, per oltre un'ora e mezzo di grande allegria, divertimento e buona musica.


Grazie ragazzi. La musica suona ancora.

20090125

Vratné lahve


Vuoti a rendere - di Jan Sveràk 2009


Giudizio sintetico: si può vedere


Praga, oggi. Josef è un professore ultra-sessantenne che, a causa dell'insolenza delle nuove generazioni, non sopporta più il suo lavoro di insegnante. Reiterando una strana punizione inflitta ad un alunno, coglie l'occasione della ramanzina da parte della Preside e lascia il lavoro. La moglie (dal nome impronunciabile), ex insegnante di tedesco, è colpita dalla decisione improvvisa, e preoccupata sia dal fatto che il marito sia insofferente a casa, sia che il loro rapporto di oltre 40 anni stia irrecuperabilmente andando alla deriva. Josef invece vuole mettersi ancora alla prova, si sente pieno di vita nonostante gli acciacchi dell'età. Si mette alla ricerca di un lavoro, e prima trova lavoro come pony-express in bicicletta. Un incidente mette fine molto presto alla sua carriera nel campo. Josef non si dà per vinto, e casualmente trova un altro lavoro in un supermercato. Lì, affinando il suo atteggiamento positivo verso la vita, diventa un punto di riferimento per molti, ma si allontana sempre più dalla moglie; inoltre, continua ad avere fantasie erotiche su altre donne molto più giovani.


Ennesima collaborazione in casa Sveràk: il figlio Jan regista, il padre Zdenek attore protagonista e sceneggiatore. Terza parte della trilogia sulla vita, dopo Obecnà Skola del 1991, mai uscito in Italia ma premiato all'estero, e Kolya del 1996, che ha fatto conoscere gli Sveràk anche in Italia e ha guadagnato, tra gli altri premi, l'Oscar come miglior film straniero, questo Vuoti a rendere esce solo adesso dopo essere stato programmato in aprile del 2008 qui da noi, ma poi bloccato.

Film piacevole, semplice, buonista e positivo, lancia messaggi sul senso della vita e su come vivere una vecchiaia serena, ma scorre con qualche difficoltà, nonostante le piacevoli (ma telefonate) gag comiche, soprattutto a causa degli intermezzi onirici (di Fellini ce n'è stato uno solo...) e a causa di una certa verbosità che, paradossalmente, non comunica il senso di "scoperta" che assale il protagonista quando impara a citare meno libri e ad usare più il buon senso.

Le prove attoriali sono sufficienti, non eccelse, e in definitiva si coglie che c'è ancora qualche problema di incomunicabilità tra il cinema dell'Europa dell'Est e quello al quale siamo abituati. Magari è un problema nostro. Ma questo lavoro non dispiacerà, anche se lo dimenticheremo presto.

20090124

der Baader Meinhof komplex


La banda Baader Meinhof - di Uli Edel 2008


Giudizio sintetico: da vedere


La banda Baader-Meinhof è l'appellativo col quale la stampa tedesca chiamava la R.A.F., acronimo di Rote Armee Fraktion (pressappoco, Plotone Armato Rosso), è stato un gruppo armato di estrema sinistra di base in Germania (Ovest), ufficialmente attivo dal 1970 al 1998. Il nome "ufficioso" deriva dai cognomi di Andreas Baader, capo indiscusso e fondatore, e di Ulrike Meinhof, giornalista tedesca di sinistra che dopo un non indifferente dilemma ideologico, si unì al gruppo diventandone l'ideologa, redigendone i comunicati e partecipando alle azioni. Il film di Edel ne ripercorre la storia, seguendo soprattutto Baader, Meinhof e la compagna di Baader, Gudrun Ensslin, ma anche Horst Herold, il capo della polizia tedesco, che li combattè tenacemente, unico ad aver intuito che non si trattava di una semplice organizzazione terroristica.


In corsa per gli Oscar nella categoria Best Foreign Language, il film di Edel credo sia importante prima di tutto a livello storico. Molte persone, che hanno la mia età o più giovani, non sanno niente di questo gruppo armato, che semplicisticamente si può definire come "le Brigate Rosse tedesche", che si macchiò di azioni che ebbero eco a livello mondiale; inoltre, un pregio, forse il più importante per un lavoro come questo (alcuni lo possono vedere come un difetto, ma giudicherete da soli all'occorrenza), è la mano rigorosa e imparziale del regista, supportato, nella sceneggiatura, da Stefan Aust, autore del libro omonimo e addirittura regista del film tv Baader-Meinhof, redattore capo di Der Spiegel dal 1994 al 2008, forse il più importante news magazine tedesco, e da Bernd Eichinger (sceneggiatore tra l'altro di Profumo - Storia di un assassino e de La caduta - gli ultimi giorni di Hitler). Il rigore, come detto, caratterizza decisamente il film, imponente (due ore e mezzo, tre nella versione televisiva) e piuttosto esauriente. Edel ha vasta e varia esperienza, e si vede (molti film, soprattutto storici e biopic per la tv ma anche, ad esempio, un episodio di Oz, uno di Twin Peaks, e un paio di film che sono arrivati al grande pubblico, veramente interessanti, quali Ultima fermata Brooklyn del 1989, e il famosissimo - non come il libro, ma quasi - Christiana F. - Noi i ragazzi dello zoo di Berlino), e riesce al tempo stesso a narrare la storia e i fatti salienti, ad essere piuttosto chiaro, e pure a spettacolarizzare il tutto. Si circonda di bravi attori, per lo più tedeschi (Bleibtreu che interpreta Baader e Martina Gedeck che interpreta la Meinhof, oltre al mitico Bruno Ganz nei panni del capo della polizia Horst Herold) o dell'est Europa che però lavorano per lo più in Germania (Alexandra Maria Lara - Petra Schelm -, attiva anche in produzioni statunitensi/europee di registi importanti - Miracolo a Sant'Anna di Spike Lee o l'ultimo Coppola Un'altra giovinezza), e affresca un periodo storico difficile, senza negare niente, dai sospetti sul suicidio di gruppo all'ampio supporto popolare del quale ha goduto per diverso tempo la RAF, dai tormenti personali dei terroristi (in particolare la Meinhof) alla brutalità della polizia tedesca (la contestazione "scatenante" verso lo Scià di Persia in visita), dalla spietatezza della RAF (il rapimento del capo della Confidustria tedesca Hanns-Martin Schleyer, poi ucciso, le cui "modalità", pare, furono riprese dalle BR l'anno seguente per il sequestro Moro; da notare un piccolissimo particolare, di cui purtroppo ultimamente si tende a scordarci: Schleyer in gioventù era stato un ufficiale delle SS naziste) stessa al mancato controllo dei capi in carcere sulle azioni roboanti degli ultimi anni.


A volte, si ha bisogno anche di questo: rappresentazione storica senza visioni di parte particolari. Tassello importante sulla storia europea del ventesimo secolo, post-Seconda Guerra Mondiale.

20090123

in cerca di Sergio Leone


Appaloosa - di Ed Harris 2009


Giudizio sintetico: si può perdere


New Mexico, 1882. Virgil Cole è forse il più bravo "pacificatore" del west, insieme al fido Everett Hitch e al suo inseparabile fucile calibro 8. Nella cittadina di Appaloosa hanno un problema: il cattivo Randall Bragg fa ciò che vuole insieme ai suoi pards, e di recente ha ucciso lo sceriffo e due aiutanti, solo perchè si erano presentati per prendere in consegna due degli uomini di Bragg che si erano macchiati di un crimine. I cittadini più influenti di Appaloosa quindi, decidono di ingaggiare Cole e Hitch in qualità di nuovo sceriffo e aiutante.


Grande, grandissimo attore caratterista dalla carriera e dalla filmografia sterminata, Ed Harris, debutto promettente alla regia alcuni anni fa con Pollock, si cimenta stavolta con il western e ne esce un film dimenticabile, che non aggiunge niente al già visto. Unico appunto: ha ragione chi sostiene che le donne, cioè la figura femminile, col genere western ha davvero poco a che spartire. L'unica variazione sul tema classico che il film di Harris (e quindi il libro dal quale è tratto, omonimo, di Robert B. Parker) opera è, appunto, l'inserimento di una figura principale destinata a una donna, Allison French. La figura serve in definitiva solo a dare linfa per allungare e complicare leggermente la storia, fino al finale, che non svelerò, forse il momento più positivo del film (e molto "gay", neppure troppo tra le righe). Le dinamiche sono stantie e prevedibili, così come le figure dei protagonisti, piuttosto stereotipate. Le recitazioni, di conseguenza, risultano poco esaltanti. Ed è un peccato, perchè a livello di forma, Harris si dimostra non geniale, ma molto rigoroso, aiutato da una bella fotografia, usando la macchina diligentemente, sia nei campi lunghi che nello stretto. Per i primi piani, ripasseremo.

Due parole sul cast. Harris e Mortensen hanno avuto tempi molto migliori; Jeremy Irons, invece, forse grazie alla parte (il cattivo Bragg), risulta molto più vivo rispetto a tutte le prove (sue) viste negli ultimi 10 anni. Un discorso particolare bisogna farlo per Renée Zellweger. Dal suo arrivo in scena fino alla fine, ci si domanda se abbia avuto un qualche incidente. Mai stata un'attrice granchè espressiva, la bionda Renée, probabilmente per via del botox o dei ritocchi, ha ormai acquisito una mimica ridotta al minimo e un viso realmente inquietante. Non ci sono dubbi che Ariadna Gil (bravissima attrice spagnola, probabilmente segnalata a Harris da Mortensen, che insieme a lei ha recitato in Alatriste), che interpreta Katie, la "concubina" di Hitch, con 4-5 scene e altrettante battute, a filo di gas, fa una figura anni luce migliore della Zellweger.


Provaci ancora, Ed.

20090122

george


W. - di Oliver Stone 2009


Giudizio sintetico: si può vedere


George Walker Bush, New Haven 6 luglio 1946, quarantatreesimo Presidente degli Stati Uniti d'America. La giovinezza, gli studi, i lavori, il rapporto col padre (quarantunesimo Presidente), gli amori, la carriera politica, i due mandati presidenziali.


L'ottimo Oliver Stone, ultimamente autore di opere non eccelse e, purtroppo, sembra di notare in parabola discendente, si misura con un'opera coraggiosa, se volete: un biopic su un Presidente americano ancora in carica (all'epoca dell'uscita del film). Nonostante Stone non sia propriamente un simpatizzante democratico, è abbastanza "spirito libero" per fare un film piuttosto critico sulla figura di W, addirittura dipinto come una figura buffa, in fondo. E' difficile giudicare questo lavoro, soprattutto perchè sono convinto, come hanno detto già altri, che la storia (perchè, che ci crediate o no è di questo che stiamo parlando) ha bisogno del suo tempo naturale di "decantazione".

Ecco perchè questo W. risulta film gradevole, ci svela alcuni aspetti della personalità di Bush sconosciuti a chi non era informato a fondo sulla sua biografia, ci diverte in molti punti, ci inquieta in altri, ma che in definitiva sembra non graffiare a fondo e, soprattutto, ci dà solo un punto di vista piuttosto parziale sull'uomo e sul politico. Riesce davvero difficile credere che i votanti statunitensi abbiano eletto due volte una persona che, in pratica, si è candidato alla presidenza per dimostrare che era all'altezza delle aspettative del padre esigentissimo, che da sempre gli preferiva il fratello Jeb. Voglio dire, sarebbe solo la conferma che aveva ragione Michael Moore a dipingerlo come un povero scemo, in balìa del suo entourage.

Detto questo, il film si segue molto bene, nonostante i continui salti avanti e indietro nel tempo, per raccontare, parallelamente agli episodi salienti del primo mandato, il background culturale del nostro, il cammino di vita, segnato dallo spartiacque fondamentale della "conversione" (meglio: rinascita) e dallo stop all'alcool. Ottima fotografia, ma gli episodi di vita personale lasciano il tempo che trovano, risultano deboli, perfino quelli di stridente contrapposizione col padre, che definiscono il carattere psicologico della rivalsa. Molto ben riusciti, alcuni con un buon pathos, quelli delle decisioni politiche, soprattutto la riunione dove si pianifica l'attacco in Irak. Ottime le prove, oltre a quella importante di Josh Brolin, che non aveva comunque bisogno di dimostrare di essere un grande, dopo gli altri film che lo hanno portato alla notorietà, di Thandie Newton (imbruttita e "ingessata" nella parte di Condoleeza Rice) e di Toby Jones (Karl Rove), monumentale Richard Dreyfuss nella parte diabolica di Dick Cheney.

Indimenticabile la risposta di W. alla giornalista che gli chiede del suo posto nella storia (Berlusconi commentò diversamente, a suo tempo, se vi ricordate).


Attendiamo un altro film sul tema, magari tra una decina d'anni.

20090121

politica-tournier

che grande uomo politico sarebbe stato giuda!

heavy saturday photos

Ufomammut

Urlo, degli Ufomammut



Morkobot


Ancora i Morkobot
Foto di Angela


heavy saturday


Malleus/Supernatural Cat night: Ufomammut + Morkobot + Lento, sabato 17 gennaio 2009, Auditorium FLOG, Firenze




Serata tutta italiana alla Flog: i ragazzi di Malleus, oltre ad una piccola mostra dei loro lavori e a un banchetto del merchandising, "mettono in mostra" la loro scuderia. Le tre band italianissime che si esibiscono stasera appartengono all'etichetta creata da Malleus, appunto la Supernatural Cat.


Il pubblico, non da esaurito ma soddisfacente, è tutto o quasi nell'atrio al merchandising o addirittura fuori a fumare, quando poco dopo le 22,00 cominciano i romani Lento con un'esplosione fragorosa di distorsori e chitarre. L'impatto sonoro richiama gli spettatori e riempie la pista che pochi secondi prima risultava completamente vuota, ed è davvero impressionante. In tutta onestà non mi era mai capitato di ascoltare un muro di suono del genere per una band italiana in un club. I romani, che scopro essere al primo disco, non contando uno split con gli stessi headliner della serata, sono in cinque con ben 3 chitarre (nelle prime canzoni tutti e tre con modelli Les Paul) più basso e batteria. Niente voce, nessun microfono sul palco. Quello che ne esce è esaltante, un sound che potremmo incasellare tra quello dei primi Melvins, i Mogwai e i Kyuss. Molto sludge, come si usa dire adesso. Concentrati e potenti loro, concentrato il pubblico sulla loro esibizione. E, ribadisco, impatto sonoro davvero potentissimo. Menzione speciale per il batterista Federico, stile e colpi portentosi, una colonna di questa band che mi ha colpito davvero molto.


Dopo di loro è la volta dei Morkobot, band che si nasconde dietro a tre pseudonimi quantomeno buffi, per quanto riguarda i tre componenti, Lin, Lan e Len, che si compone di un batterista/percussionista indiavolato, con un drum kit stranissimo (tra rullante e tom una piastra che pare metallica, alcuni "arnesi" strani appesi ai supporti dei piatti, campane varie), e due bassisti (ovviamente con distorsioni esagerate), anche stavolta senza microfoni e, quindi, cantanti. Tecnicamente superiori, in alcuni passaggi ricordano i Locust, anche se l'estrazione è stoner, inzuppato in una strana salsa free jazz psichedelica. Pensavo di annoiarmi all'inizio della loro esibizione, ma non è stato così. Curiosi.


Come headliner abbiamo i più conosciuti Ufomammut, ormai da anni sulla scena, discretamente famosi anche (e forse soprattutto) all'estero. Formazione a tre, chitarra, basso e voce, batteria, ad essere onesti dal vivo sono leggermente deludenti, e gli ho preferito nettamente gli opener Lento. Ottimi su disco, con un dosato mix di doom, stoner, psichedelia metal e atmosfere quasi ambient, sul palco risultano molto statici e non molto coinvolgenti, anche un po' assenti, nonostante la maggioranza del pubblico presente e pagante apprezzi. A parte il giudizio soggettivo del vostro cronista preferito, anche loro sono un'importante realtà italiana (suoneranno al Roadburn 2009, il 23 aprile a Tilburg in Olanda).


Ottima serata. Seguiranno le foto a cura di Angela.

20090120

voi ci credete?




CIFRE CONTESTATE - Proposta sulla quale, però, l’Observer avanza più di un dubbio, riportando le confidenze di una non meglio specificata "fonte autorevole vicina al proprietario del City", secondo la quale l’offerta di 110 milioni di euro per il campione milanista sarebbe "assolutamente ridicola". Non solo. L’intera storia sarebbe stata montata da Silvio Berlusconi per avere un positivo ritorno di immagine una volta che il trasferimento non si fosse concretizzato e che Kakà fosse così rimasto a San Siro, visto che il primo a parlare di un’offerta di 110 milioni di euro è stato proprio il sito della società rossonera. "Le cifre riportate dalla stampa riguardanti l’ingaggio di Kakà sono totalmente irrealistiche– ha spiegato da Abu Dhabi l’anonimo consigliere dello sceicco Mansour bin Zayed Al Nahyan – . In realtà, si parla di un’offerta più vicina ai 55 milioni di euro. Cento milioni sarebbero davvero una cosa ridicola e, allo stato attuale del mercato, come potresti avere un ritorno, dopo una spesa simile? Con quei soldi potresti fare un mucchio di altre cose. Inoltre, non va dimenticato che il giocatore non ha ancora parlato con nessuno di noi: Kakà è semplicemente uno di quelli sulla lista di Mark Hughes. E poi il proprietario del City è un uomo intelligente e non è il tipo che butta via i propri soldi, mentre Gary Cook (l’amministratore delegato del City, ndr) lavorava prima alla Nike, di conseguenza conosce tutto sui diritti d’immagine".

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Qui tutto l'articolo.

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Giudicate voi.

file sharing

Finalmente dei discorsi sensati. Leggete qua.

playlist - nella chiavetta usb

30 Seconds To Mars - A Beautiful Lie
AC/DC - Higway To Hell
AC/DC - Back In Black
Airbourne - Running Wild
Amir - Paura di nessuno
Ancestors - Neptune With Fire
Antony & The Johnsons - The Crying Light
Basia Bulat - Oh My Darling
Earthless - Rhythms From A Cosmic Sky
Earthless - Sonic Prayer
Franz Ferdinand - Tonight Franz Ferdinand
Green Day - Dookie
Green Day - Nimrod
Green Day - American Idiot
Holy Martyr - Hellenic Warrior Spirit
Ida Maria - Fortress Round My Heart
Intronaut - Prehistoricism
Jesca Hoop - Kismet
Kid Rock - Rock N Roll Jesus
Kings Of Leon - Only By The Night
Le luci della centrale elettrica - Canzoni da spiaggia deturpata
Lento - Earthen
Los Campesinos! - We Are Beautiful We Are Doomed
Mavis Staples - We'll Never Turn Back
Moltheni - I segreti del corallo
My Chemical Romance - Life On The Murder Scene (Live)
My Chemical Romance - The Black Parade Is Dead (Live)
Neil Young - Sugar Mountain Live At Canterbury House 1968
Nickelback - Dark Horse
P.O.D. - When Angels And Serpents Dance
Pretty Things - S.F.Sorrow
Raf - Metamorfosi
Santogold - Omonimo 2008
Snow Patrol - Eyes Open
Snow Patrol - A Hundred Million Suns
Supernaturals - Record One (Ufomammut + Lento)
The Black Angels - Directions To See A Ghost
The Hellacopters - Cream Of The Crap Vol.1
The Hellacopters - Cream Of The Crap Vol.2
The Killers - Day And Age
The Pogues - The Ultimate Collection Disc 1
The Pogues - Live At Brixton Academy Disc 2
The Pogues - The Best Of
The Pogues - The Essential Pogues
Tonino Carotone - Ciao Mortali
Ufomammut - Idolum
Underoath - Define The Great Line
Underoath - Lost In The Sound Of Separation
Underoath - They're Only Chasing Safety
Vinicio Capossela - Da solo

20090119

fato


Magari la storia l'avete già letta, o vi è già arrivata alle orecchie. Jesca Hoop (e che nome...) faceva la babysitter. Si, ma ai bambini di Tom Waits. Poi lui l'ha sentita suonare. E ha detto che "ascoltare una tua canzone è come nuotare in un lago di notte". Che chissà cosa vuol dire, in realtà. Fatto sta che nel 2007 Jesca esce col suo primo disco, Kismet, che non è affatto male, e a volte ricorda anche il suo ex datore di lavoro (Seed Of Wonder), non di certo per la voce, soffice ma dotata, ma non solo. Può essere un pregio o un difetto, ma di certo questo disco non è omogeneo. Provatelo.


Jesca Hoop - Kismet

fever night


Tony Manero - di Pablo Larraín 2009




Giudizio sintetico: si può vedere




Santiago del Cile, fine anni '70: Pinochet è al potere, c'è il coprifuoco, i militari con le camionette che girano per le strade minacciosi, la polizia in borghese che si "occupa" dei dissidenti e di chiunque non si uniformi. Raúl Peralta è un cinquantenne disoccupato che vive da "sciacallo", sfruttando il fascino (??) perverso che esercita sulle donne: infatti, vive in un bar/pensione dove la padrona Wilma lo vorrebbe, lui sembra stare insieme a Cony ma spesso flirta con la di lei figlia Pauli, poco più che adolescente. Le donne, però, non sono la sua prima preoccupazione. Lui in verità non è Raúl Peralta, lui è Tony Manero.

Raùl/Tony ha due impegni a breve: un'esibizione nel bar/pensione dove vive (insieme a Cony, Pauli e Goyo, un amico/fidanzato di Pauli, che coinvolge la stessa Pauli in alcune attività anti-Pinochet), e il concorso televisivo per sosia di, nella serata dei sosia di Tony Manero, ovviamente. Questi impegni ci mostrano di che pasta è fatto: è disposto a tutto, ma proprio a tutto, per riuscire.


E' un po' una delusione, questo strombazzato Tony Manero, vincitore dell'ultimo festival di Torino. Come sempre, forse è colpa delle aspettative soggettive. Il film è un lavoro onesto e soprattutto simbolista, metaforico. Il protagonista è, evidentemente, la metafora del Cile di Pinochet, completamente proteso verso gli USA e disposto a qualsiasi nefandezza pur di conseguire l'obiettivo. Totalmente avulso da quello che gli succede intorno. Sta qui il difetto del film, a parere di chi vi scrive. Mentre Raùl diventa una sorta di Patrick Bateman (ancora? Dovreste averlo imparato...il protagonista di American Psycho) cileno (lo so, hanno usato questo paragone anche altri recensori, ma vi assicuro che la cosa mi è venuta in mente prima di aver letto qualsiasi altra cosa), i cileni vengono sopraffatti, violentati, privati di qualsiasi elementare diritto civile. La cosa è piuttosto chiara, e nonostante tutto si rischia di perderla di vista. Per fortuna che verso l'epilogo, la scena di Raùl che riesce ad arrivare in tempo alla sede della televisione per il concorso dei sosia, nonostante un "feroce" contrattempo, sottolinea in maniera esauriente la cosa. Perchè il comportamento di Raùl è talmente assurdo, incredibile, che il tutto assume contorni comici e soprattutto grotteschi, fino all'ilarità incontenibile che suscita negli spettatori la reazione del protagonista alla notizia che Goyo si è comprato un vestito "alla Tony Manero" e parteciperà alla gara dei sosia in televisione. Risate che, come a volte accade, ti fanno sentire colpevole un attimo dopo.

Fotografia sporca e sgranata, camera quasi perennemente a mano a scavare i volti più che imperfetti, brutti e cattivi di tutti i protagonisti, nessuno escluso, con una regia, quindi, quasi invasiva, il film si regge interamente sulle spalle, evidentemente più larghe di quel che sembra, di Alfredo Castro, il protagonista assoluto (tra l'altro anche sceneggiatore), che riesce a farsi odiare per tutta la durata del film. Provare per credere. Impressionante, in alcuni frangenti (la locandina è esplicativa), la somiglianza con Al Pacino.

Non aspettatevi quindi, un film epico, che rimarrà nella memoria del cinema per la forte denuncia, bensì un contributo molto personale del regista alla causa della conservazione della memoria del misfatto cileno, per apprezzare il quale, però, bisogna arrivare un minimo preparati storicamente.

frutto


Stavo facendo una ricerca come mi capita sempre mentre scrivo una qualche recensione, e per caso mi è tornato in mente un frutto che ho mangiato nel 1994 in Cile, grazie ad una straordinaria coppia di mezz'età basca, di San Sebastian. Si chiama cherimoya, ed è dolcissimo.

Forse, lo potete trovare in qualche supermercato particolarmente fornito. Io non l'ho più trovato, se non in Sud e Centro America.

la (vecchia) saga

Vi ricordate di Pensiero orrendo? Dunque.
Come capita sempre più spesso in questo piccolo mondo che si chiama web, non serve Facebook per dire, una vecchia conoscenza che chiameremo Filippo perchè è così che si chiama, che ha un blog pure lui, questo, mi ha "ritrovato" tramite questo blog e mi ha scritto una e-mail che, devo dirvelo, mi ha quasi commosso (ma questo purtroppo fa poco testo, perchè tutti voi sapete quanto sia facile farmi commuovere).
Incuriosito dal contenuto del blog, ha voluto dare il suo contributo alla saga di cui sopra. Eccolo. Grazie Filippo.
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Perdonatemi, ma vi affido un pensiero poco bello, che mi ha sfiorato in un momento di stanchezza. Guardate l'ora, dovrei essere concentrato a risolvere problemi e invece sono qui che faccio pensieri che mi fanno rivoltare lo stomaco. Facendo il libero professionista non ho mai un orario preciso di lavoro con il contro che non stacco mai di lavorare e ultimamente salto direttamente i pranzi tanto mi sento di merda. Ho sulle spalle il 4° trasloco in meno di 9 mesi in attesa che siano pronti i lavori a Castiglioncello. E' venerdì e sono di nuovo in viaggio, dopo una settimana che macino Km come e tanto quanto il barrino dell'angolo macina caffè e anche oggi arriverò, in questa che continua ad essere una casa provvisoria ad un'ora improbabile alla faccia della settimana corta. Mi fermo in questo autogrill che tanto è oramai l'ora di cena e mangerò ancora una volta questa Rustichella che è sempre più dal sapore sintetico con un Muffin al mirtillo e il solito caffè nero. Il cassiere continua a volermi propinare il menù che non voglio, pago e mi accingo ad oridinare, mi giro e vedo una coppia che beve il caffè proprio accanto a me, lei bisbiglia a lui alcune parole in un orecchio e lo guarda con un'aria innamorata, lui le sorride. Mi sento terribilmente solo. Rimonto in macchina, metto in moto controllo il livello del gasolio e decido di non fare riforminemento tanto sono stanco, mentre guido ricevo almeno cinque telefonate di clienti che hanno bisogno di risolvere i loro problemi e mi marcano così da vicino che non ce la faccio a pensare ai miei. Non rispetto i limiti di velocità, ho bisogno di arrivare a casa e sdraiarmi sul letto dopo una doccia bollente, me ne frego del tutor e di tutti questi fottutissimi sistemi per spillarti soldi con la scusa di ridurre gli incidenti. Arrivo sotto questa casa che sento così estranea. Apro ed entro dentro e non so nemmeno dove si accende la luce tanto non la conosco. Apro il frigo per bere un po' d'acqua ma lo splendore di quello che vedo dentro è devastante. Sembra uno di quelli da esposizione tanto è vuoto, anzi mi si conceda è vuoto spinto. Apro la cannella e bevo un po' di acqua del sindaco che sa di cloro ma ho veramente una sete da pazzi, per colpa di quella Rustichella e di tutti questi pensieri che non mi mollano. Penso alle relazioni sentimentali che ho avuto, penso alla donna di cui sono innamorato continuando a sbagliare tutto. Penso ai molti amici e amiche che ho, penso che in questo momento desidererei almeno un cane ma non sarei in grado di farlo stare bene tanto sono incasinato e lo desidero ma non ne faccio di niente, non sarebbe giusto nei suoi confronti. Penso che nonostante questo profondo amore che continuo a sentire sono qui solo a rivoltarmi in questo letto incapace persino di dormire, mi sento il peso degli anni che mi opprime come il desiderio di paternità che oramai credo mi terrò per me come il desiderio del cane. Ho, per un momento, però piuttosto lungo, nonostante gli amici e le amiche, paura di invecchiare da solo. Di avere compagnia, ma di non poter esprimere tutte queste fantastiche dolcezze che sento dentro e che mi opprimono dall'interno se non sotto forma di effimeri desideri. Mi dico che è solo un attimo di debolezza, poi passa. Lo dico perfino sussurrandolo per convincermi che è solo un attimo. Però, cazzo, se mi fa paura.

utero in affitto


Molto, molto interessante e spunto di riflessione questo articolo sempre dal Venerdì di Repubblica, a cura di Riccardo Staglianò.

Si tratta, pare, di un nuovo trend, che genera "indotto" soprattutto in Ucraina: coppie che hanno difficoltà a concepire, con circa 40mila euro "affittano" un utero di una ragazza ucraina per metterci dentro l'ovulo fecondato. Le regole imposte dal governo ucraino sono anni luce avanti alle nostre, leggetele attentamente.


Due cose, ma prendetele con le pinze, perchè non avendo figli e nemmeno una compagna, faccio poco testo.

La prima: l'obiezione che ha fatto l'amico Giova è che sarebbe meglio l'adozione. In effetti, concordo.

La seconda: visto che abbiamo accettato l'economia di mercato, mi sembra giusto che chi se lo può permettere, se trova donne consenzienti, lo possa fare.

20090118

le parole per dirlo


A volte anche quelli bravi non trovano le parole. E' allora che entrano in campo quelli ancora più bravi. Mi è capitato di essere in disaccordo con le cose che scrive Curzio Maltese. Non molte. Di certo, stavolta ha espresso perfettamente come mi sento. E non solo: immodestamente, mi sento di dire che il 90% di quelli che conosco si sentono esattamente così. Come quel 10, 15% descritto dalle ricerche di cui parla Maltese nel suo Contromano apparso venerdì scorso sul Venerdi di Repubblica. Sentite qua.


Contromano di Curzio Maltese

Nell’attesa messianica e improbabile di un Obama italiano che non arriverà mai, vale la pena guardarsi intorno in Europa, dove la crisi sta cambiando la mappa della politica. Il primo effetto è la rinascita, un po’ ovunque, di una sinistra sociale forte, incarnata in Germania dall’avanzata di Die Linke di Oskar Lafontaine.

Le ricerche rivelano in Italia un pezzo consistente di elettorato, dal 10 al 15 per cento, disposto a votare una sinistra sinistra, che si batta per una maggiore giustizia sociale – siamo diventati il Paese più ineguale dell’Occidente -, per il recupero della dignità quotidiana dei lavoratori, per l’ambiente e per i valori laici.

Questi milioni d’italiani oggi non hanno una rappresentanza politica. Cioè, in teoria, ne avrebbero perfino troppa, fra le varie bande di Rifondazione, gli altri partitini ex comunisti, i rimasugli verdi e gli altri sovversivi da salotto televisivo, oggi impegnati tutti in un regolamento di conti intorno alla torta decrescente dei finanziamenti pubblici ai partiti.

Ma se uno affronta un esperimento semplice, per esempio rendere un treno di pendolari al Nord e fermarsi a parlare durante le lunghe soste, capisce subito che la piccola nomenclatura postcomunista, per quanto gradita a Bruno Vespa e alle reti di Silvio Berlusconi, non ha alcuna speranza di riprendere i consensi perduti.

Queste persone, operai, insegnanti, studenti, intellettuali, oggi non votano più, nella maggioranza dei casi, altri votano insoddisfatti il Pd, oppure Di Pietro, certi credono alla Lega, ma sempre meno. Sono in attesa di qualcuno che rimetta al centro della politica gli interessi dei lavoratori, al posto del gossip da Palazzo romano o delle diatribe narcisistiche in cui si esaurisce la ridicola battaglia politica dei liderini di sinistra.

Ora, il vuoto in politica dura poco e durerà pochissimo anche questo. Il mondo è cambiato, anche se nessuno lo ha detto a Paolo Ferrero e Fausto Bertinotti. La crisi economica muta le prospettive, le idee, aggiorna le mappe ideologiche e perfino le stravolge. L’hanno capito i destri più svegli, come Tremonti, che attacca oggi il libero mercato più di quanto non lo esaltasse l’altroieri. E dove sono finiti i trombettieri della guerra permanente, che fino all’altro giorno sfottevano i pacifisti?

Quelli si muovono in fretta, magari troppo. Ma a sinistra dormono e qualcuno, prima o poi, li sveglierà in malo modo.
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Dal Venerdì di Repubblica del 16.1.2009

20090117

the shield

mi ero dimenticato di dire che ho finito di vedere la serie completa di the shield!
7 serie per circa 13 puntate a serie.
quando arrivi all'ultima puntata fai una scommessa con te stesso per immaginarti come andrà a finire. io l'ho persa!
guardatelo!

bella Amir


Batte forte il nuovo di Amir. Pompa. Un sacco di featuring ben confezionati, testi a modo suo, più veri del vero, su tutti Non sono un immigrato, carico di rabbia. Funziona, quindi a questo punto il ragazzo romano è una realtà dell'hip hop italiano, e potrebbe essere pronto per il mercato internazionale.


Amir - Paura di nessuno

20090116

non ti amo

Ecco, prendete questo post come una seduta dall'analista. Voi che leggete siete l'analista, io il paziente. Ne avrete anche altri, non temete: non c'è scampo. Allora.

A parte che intitolare una canzone Non ti amo è una bella scelta, a parte che l'assolo è molto Brian May, ascoltando il pezzo in macchina, e provando ad interpretare il testo, mi ero fatto l'idea quasi corretta del significato del testo, ma avevo fatto un errore che cambiava il senso del ritornello.
E' curioso come a volte si dà un senso ai pezzi in una lingua che non padroneggi perfettamente, soprattutto se ti piacciono. E' difficile, anche dopo che ti rendi conto che il significato è differente, togliergli quello che inizialmente gli avevi dato.

C'è questa frase, che cambia leggerissimamente durante il testo, che mi piace e mi mette qualche brivido, e che il cantante canta con enfasi sufficiente: I don't love you like I did yesterday (che una volta diventa I don't love you like I loved you yesterday), "non ti amo come ti amavo ieri". E' tremenda. Agghiacciante. Fa stare male.

Ho immaginato, in un primo momento, come vi dicevo, prima di leggere il testo, che fosse il tipo che, abbandonato, rivolgesse questa frase a lei che in un secondo momento, ritorna. E invece è lui si, ma che immagina rabbiosamente e dice a lei, in sintesi: "dopo tutto quello che mi hai fatto, quando arriverai ad andartene, ti volterai e mi dirai anche - non ti amo come ti amavo ieri -?" (stronza, avrei aggiunto io!).

Fatto sta che, anche se per diversi momenti, ho immaginato con un certo piacere di essere io a rivolgere questa frase. Rivolgerla a una qualsiasi delle donne che mi hanno respinto, nel momento ipotetico (e mai accaduto, diciamocela tutta) in cui una di esse tornasse sui suoi passi, in una sorta di giochino imbecille. Giochino, dico, soprattutto perchè io mi conosco ormai benissimo, e so che non ne sarei mai e poi mai capace, di pronunciare questa frase. Questa è una frase che tutti noi, uomini e donne, abbiamo il terrore di sentirci rivolgere dalla persona amata.

Eppure, è proprio quello che accade. Non sempre, ma perlomeno molto spesso. Non è triste tutto ciò?

I Don't Love You - My Chemical Romance

Låt den rätte komma in (Let The Right One In)


Lasciami entrare - di Tomas Alfredson 2009


Giudizio sintetico: da vedere


Periferia di Stoccolma, primi anni '80. Nel condominio in classico stile socialdemocratico dove abita il dodicenne Oskar, che vive con la madre (il padre vive in campagna), arrivano un uomo di mezz'età con una bambina pallidissima. Lei si chiama Eli e la sua nuova cameretta "confina" con quella di Oskar. Quello che sembra il padre oscura con dei cartoni una delle finestre che danno sul cortile perennemente innevato; in questo cortile, Oskar e Eli hanno i primi approcci. Lui è vessato da un gruppetto di bulli a scuola, gruppetto capitanato dall'insopportabile Connie, che Oskar sogna di accoltellare come si fa con un maiale; lei sembra non conoscere il freddo, ed è silenziosa e soggetta a sbalzi sia d'umore che di look: ha alti e bassi nel suo colorito, pallido di base, come già detto.

L'arrivo nel quartiere di Eli e dell'uomo, coincide con l'inizio di una serie di omicidi e fatti piuttosto strani. Nel frattempo, Oskar ed Eli abbattono le iniziali barriere della diffidenza, sentendosi reciprocamente attratti; Oskar, grazie a lei, inizia a reagire alle vessazioni.

Eli nasconde un enorme segreto, però.


Film che ha bisogno di essere lasciato a "decantare" per qualche ora, Lasciami entrare è tratto dall'omonimo romanzo di John Ajvide Lindqvist (qui sceneggiatore), e ha beneficiato di un po' di pubblicità "di rimando" dalla sua uscita a ridosso di quella del blockbuster Twilight. Siamo però di fronte ad un lavoro molto meno mainstream e (sempre meno) teen oriented, nonostante la storia rispetti molto il punto di vista adolescenziale. Il film ha le sue peculiarità in un paio di fattori determinanti.

Il primo è l'atmosfera ovattata e quasi onirica, creata dalla fotografia e dalle scelte scarne del regista, che usa sfondi tipicamente nordici e asettici, con architetture essenziali e senza fronzoli, apre (e chiude) con una soffice nevicata su sfondo buio senza commento sonoro, soluzione che catapulta da subito in una specie di mondo parallelo e, al tempo stesso, aiuta a focalizzare l'attenzione su ciò che accade.

Il secondo fattore sono i due giovani attori che interpretano i ruoli principali di Oskar e Eli, rispettivamente Kare Hedebrant e Lina Leandersson. La ragazzina ha l'innocenza adatta per rappresentare la squassante necessità di uccidere per vivere, come recita il sottotitolo italiano del film. Il biondino è letteralmente impressionante: non riuscirete ad immaginare Lasciami entrare con un altro protagonista, padrone di una mimica facciale incredibilmente espressiva e perfettamente calzante ad un adolescente in preda a tutta una serie di problematiche che spaventerebbero chiunque non possieda l'incoscienza tipica.


Non c'è solo questo. Il regista maneggia una storia dal respiro classico (buono l'uso delle musiche, completamente assenti in lunghi tratti e poi improvvisamente prepotenti in altri) riprendendola, come detto prima, dal punto di vista adolescenziale e quindi struggente, ma non cancella ciò che c'è sullo sfondo (per riassumere: non è tutto oro quel che luccica nel Nord Europa); inoltre, grazie ad allusioni gay, sessuali, pedofile e perfino asessuali sparse qua e là, mischiandole ad un romanticismo gotico, rende profonda e turbativa l'atmosfera di cui sopra. Dosa sapientemente il sangue e i momenti splatter, rendendoli "necessari" e perfino misurati. Dialoghi rarefatti, spesso buffi ma non ridicoli. Peccato per l'unica pecca, alcuni dei (non molti in verità) effetti speciali davvero poco riusciti.

Davvero un bel tocco, questo regista. Se siete curiosi e non avete preferenze di genere, potrebbe piacervi.
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Curiosità da IMDB: The title of the film (as well as the novel upon which it was based) refers to the Morrissey song "Let the Right One Slip In".

suggestion


Mi permetto di darvi un paio di suggerimenti per quanto riguarda i film in uscita oggi, dovuti solo al mio "fiuto". Sono poi gli stessi che vorrei vedere io.


Tony Manero di Pablo Larraín


e


Appaloosa di Ed Harris

20090115

la supercazzola


Amici Miei - di Mario Monicelli 1975

Amici Miei Atto II - di Mario Monicelli 1982

Amici Miei Atto III - di Nanni Loy 1985


Giudizio sintetico: imperdibili


Amici Miei: Firenze, anni '60. 4 inseparabili amici non più giovanissimi non riescono a frenare il loro istinto infantile di fare continuamente scherzi e di prendere sempre la vita dal suo lato migliore, il divertimento a tutti i costi.

Il Necchi è sposato e ha un bar che gestisce con la moglie: la sala biliardo del bar è il "quartier generale" dei fantastici quattro.

Il Perozzi è un redattore di un quotidiano locale, lavora di notte e di solito prima di rientrare si intrattiene con l'amante, la moglie del fornaio del quartiere, prima di tornare a casa dalla moglie soffocante e dal figlio secchione.

Il Conte Mascetti è un nobile decaduto perennemente senza un soldo ma con tutti i vizi del mondo. Riesce a stento a mantenere moglie e figlia sempre con soluzioni di fortuna, a partire dall'abitazione.

Il Melandri è un architetto irrealizzato con un cuore romantico che non sa resistere all'incanto dell'innamoramento ma neppure a quello delle zingarate (così si chiamano le "spedizioni" dei quattro alla ricerca di qualche scherzo memorabile da fare a poveri malcapitati).

La conseguenza di una zingarata porta i quattro tutti in una clinica in seguito ad un incidente: lì il Melandri si innamora di una splendida donna, che si rivela già sposata. Il marito altri non è che il primario della clinica nella quale si trovano: il professor Sassaroli.

Il Sassaroli sarà ben contento di lasciare la moglie al Melandri, ma vista la sua indole quasi "peggiore" dei quattro, in breve diventerà un pilastro della banda. Il film illustra una serie di zingarate, ma la tragedia è dietro l'angolo. Come reagiranno i nostri?


Atto II: morto uno dei componenti, anche gli altri invecchiano ma non mollano. A partire dalla prima scena, con uno scherzo pesante da parte del Sassaroli ai danni di un povero vedovo sulla tomba della moglie. I quattro "sopravvissuti" continuano le zingarate e ricordano episodi della vita del Perozzi. Il Mascetti ci illustra il rigatino, ma scopriamo che ovviamente è indebitato fino all'inverosimile col terribile strozzino Savino Capogreco. Grazie all'aiuto degli amici, tutto si risolverà per il meglio. Ma la sfortuna, il fato, è ancora dietro l'angolo. Chissà se i nostri amici si arrenderanno...


Atto III: i quattro sopravvissuti sono davvero invecchiati, e in pratica trasferiscono il loro quartier generale dalla sala biliardo del bar del Necchi a Villa Serena, lussuosa casa di riposo, dove inizialmente, gli altri tre sistemano il Mascetti, messo chiaramente peggio di tutti sia a livello di salute, sia economico, dopo di che, uno alla volta, arrivano anche gli altri, ognuno a modo suo. Le zingarate continuano, anche se aleggia un po' di malinconia per i tempi che furono, basta adattarsi alle nuove condizioni.


Basterebbe dire che il soggetto del primo Amici Miei è di Pietro Germi, per dare una vaga idea della grandiosità dell'opera. I più attenti, infatti, ricorderanno (o noteranno) che nei titoli di testa appare la scritta "regia di Pietro Germi". Invece, Germi venne a mancare nel dicembre 1974, e già da un po' aveva lasciato il progetto nelle mani dell'amico Monicelli. Monicelli trasferisce l'ambientazione da Bologna a Firenze, grazie ai due sceneggiatori fiorentini Benvenuti e De Bernardi (gli altri due accreditati per il primo capitolo sono lo stesso Germi e Tullio Pinelli), e, dirigendo poi, visto l'enorme successo del film del 1975, il secondo atto, firma una specie di pietra miliare del cinema italiano e soprattutto della commedia all'italiana, concludendo nel contempo un'epoca. Le chiavi di lettura dei film sono plurime, e la verità è che non sono propriamente dei film comici. Inutile, per l'umile recensore che ne scrive con oltre 30 anni di ritardo, lanciarsi in analisi particolareggiate. Da toscano però, mi sento di dire che oltre alla realtà italiana che esce dal dopoguerra ed entra in pompa magna nel boom economico, attraversando però i ciclici disastri naturali (leggi l'alluvione del 1966 a Firenze - e non solo -, anno di nascita proprio di chi vi scrive), dentro a questa serie di film c'è anche e soprattutto lo spirito toscano, che da sempre ci contraddistingue.

Se vi fermate a pensare che gli "strascichi" di questi film esistono ancora oggi nella lingua, nell'uso comune di alcuni modi di dire "lanciati" dagli autori delle zingarate, a 34 anni di distanza dal primo atto, avrete modo di capire l'importanza dell'opera nella sua interezza.

Inutile sottolineare la debolezza del terzo atto, ad opera di un pur bravo Nanni Loy, rispetto ai precedenti due, travolgenti e coinvolgenti, ma pure malinconici e mai banali: è giusto gustare, dopo tutto questo tempo, l'opera nella sua interezza.

La grandiosità del tutto fa si che gli si perdonino le numerosissime incongruenze, la fotografia d'epoca (vista oggi si rivela in tutta la sua bruttezza), l'approssimazione del lavoro sul dialetto dei protagonisti non toscani, e così via.

Una saga indimenticabile, della quale si stentano a ritrovare i frutti oggigiorno. Quanta nostalgia a rivedere gli splendidi protagonisti (Tognazzi e Celi oserei dire giganteschi), dei quali sopravvive il solo Moschin, a oggi.


Meravigliosi.

rosario


Rosario Tijeras - di Emilio Maillé 2005


Giudizio sintetico: si può vedere


Medellín, Colombia, 1989. Rosario è una giovane bellezza colombiana, piccola di statura ma iper-sensuale, che fa la prostituta d'alto bordo, ben introdotta negli ambienti del narcotraffico, e, all'occorrenza, anche la killer. Conosce i due amici per la pelle Emilio e Antonio. Emilio è un playboy, e i due iniziano una relazione tormentata. Antonio è un ragazzo timido e delicato, e anche lui è attratto da Rosario. Ma amare Rosario non è per niente semplice...


Tratto dal libro omonimo di Jorge Franco Ramos, il film del messicano Maillé si posiziona a metà tra il film d'azione e il melò più classico, ovviamente dando risalto all'ambiente di Medellín di quegli anni, permeato di droga (la situazione negli ultimi anni è un po' cambiata). Luminosissimo e colorato, buona la fotografia, non eccelsa la sceneggiatura, necessari i flashback, è interessante perchè descrive in maniera naturale quel tipo di realtà. Colonna sonora tamarra e perfettamente calzante, sui titoli di coda il pezzo omonimo di Juanez. La protagonista interpretata da Flora Martínez è l'assoluta mattatrice del film: bella, sensuale, convincente.


Non è un film intellettuale, ma un piacevole diversivo. Mai uscito in Italia.

nostalgia canaglia


Grazie all'amico Atek che ci ha segnalato questo sito con fotografie d'epoca fantastiche.

blow


Mi pare ve l'avessi già detto, ma comunque la band preferita da mio nipote sono i Monster Magnet. L'unico cd che accetta di ascoltare in macchina è il loro ultimo (del 2007) 4 Way Diablo. In particolar modo il pezzo Blow Your Mind, me lo chiede incessantemente.

Sabato mattina, mentre lo portavo a fine mattinata da mio padre per mangiare, dopo aver messo l'autoradio a palla (e nonostante ciò lui mi chiede di alzare), stavamo ascoltando il pezzo in questione (facendo ovviamente air guitar e anche air drumming), e mi sono accorto che lui stava canticchiando....sono rimasto di sasso.


Foto di Otello

20090114

sky

ho ricevuto come regalo di natale un abbonamento a sky.
christmas box..tre mesi tutto visibile e poi per un anno scelgo io queli pacchetti.
ho paura di essere rapito dai telefilm, dalle partite di calcio, dai documentari,dai film in lingua originale.
mia moglie trema.
o forse stirerà guardando qualche film con me...

il casellante


The Station Agent - di Tom McCarthy 2003


Giudizio sintetico: si può vedere


Fin (Finbar) è nano, e lavora da una vita nella bottega di giocattoli (soprattutto trenini elettrici) artigianale di un vecchio afroamericano, con grande passione. Il capo è anche il suo unico amico: Fin è diffidente, e le persone lo guardano come un fenomeno da circo, quando se ne va in giro. Quando il vecchio muore, con sorpresa Fin scopre che gli ha lasciato dei soldi e una vecchia stazione ferroviaria nel "profondo" e rurale New Jersey. Essendo una persona piuttosto schiva, e, come dice lui ad un certo punto del film, anche un po' noiosa, decide di andare a vivere lì. Suo malgrado, è proprio il caso di dirlo, conosce Joe, un cubano con un furgoncino-bar che staziona sempre davanti alla nuova casa di Fin, e Olivia, una donna matura, pittrice, alle prese con una perdita importante e una separazione. Gli cambieranno la vita.


Debutto alla regia di McCarthy, caratterista con un buon curriculum televisivo e cinematografico, con una storia semplice sull'amicizia e sulla "diversità". Nessun pietismo, nessuna scorciatoia per la lacrimuccia facile, bella fotografia, dialoghi divertenti e rarefatti, un trio di attori protagonisti perfetto: Peter Dinklage nel ruolo di Fin, Bobby Cannavale nel ruolo di Joe e la grande Patricia Clarkson nel ruolo di Olivia. C'è anche Michelle Williams nel piccolo ma importante ruolo di Emily.

Film distribuito malissimo in Italia, da recuperare in dvd. Opera prima del regista de L'ospite inatteso.