No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20090531

diritto al tetto


Inutile ripetere che una trasmissione come Report se non ci fosse, bisognerebbe inventarla. Questa sera il tema era lo sviluppo abitativo-urbanistico in Italia, o meglio, la cementificazione inutile. Chi, come me, vive in una località di mare, sa benissimo che in Italia non è vero che mancano le case: ce ne sono in abbondanza. Infatti, una delle frasi di lancio di questa puntata diceva che in Italia ci sono circa 8.000 abitazioni in più di quelle che occorrerebbero a dare una casa a tutta la popolazione, o qualcosa del genere. Se avete visto la puntata, avrete capito che fin dai tempi della Democrazia Cristiana, la lobby dei costruttori ha "comandato" in questo paese, strappando ettari ed ettari di terreno alla campagna.

Vabbè.

Ma sempre grazie a Report, riusciamo a conoscere personaggi straordinari (per l'Italia, in un paese civile sarebbe solo un buon politico, nella norma). Domenico Finiguerra (foto), sindaco di Cassinetta di Lugagnano, mi ha incuriosito perchè il comune da lui governato confina con quello dove abita il mio co-blogger. Il sindaco che vorremmo ha un blog: questo. Con due-tre frasi dette al giornalista di Report Finiguerra ha dimostrato di essere, nonostante la giovane età, un politico con le idee chiare, con una coscienza ambientale forte, e un'etica sconosciuta alla stragrande maggioranza dei politici di alto livello. In pratica, un estremista, che, visto che non c'è tutto questo bisogno di case, ha detto di no a diverse offerte speculative e ha dato l'ok solo a ristrutturazioni che servivano davvero.


PS a proposito del titolo, nella colonna sonora della puntata, anche, naturalmente, i Ministri.

credo


Le bocche da fuoco di Silvio si sono messe all'opera. Ecco la verità di Daniela Santanchè, un'altra che poteva fare politica solo in Italia (e mi scappa da ridere ripensando all'amico Enrico che giorni fa mi raccontava che, se non ricordo male, a Exit su La7, l'unica apprezzata dal pubblico, durante una puntata, era stata lei).

Non dimentichiamoci che nella passata campagna elettorale aveva detto peste e corna di Silvio, andandosene con Storace.

Vabbè.

Leggete qui.

20090530

still wedding

Oggi siamo di matrimonio. Con siamo intendo entrambi i blogger, ma il matrimonio è di Garaz.
Auguri agli sposi!

20090529

sulle elezioni europee

Lo so, sembro a corto di ispirazione ma vi assicuro che non è così. E' solo che bisogna riconoscere quando altri scrivono cose migliori. Per cui, eccovi, su segnalazione dell'amico Filo, un pezzo di Alessandro Robecchi, per il quale ho terminato gli aggettivi di apprezzamento, a proposito delle elezioni europee.
http://www.alessandrorobecchi.it/index.php/200905/micromega-il-voto-ai-tempi-del-colera/

Secondo me, c'è poco altro da aggiungere. E' inutile che ci ricordino e si affannino a dirci che il voto è un diritto/dovere e che è importante per contare in Europa. Siamo ridicoli. Ri-di-co-li.

20090528

roma capoccia


Chissà se qualcuno dei nostri lettori romani ci vuol dare un'opinione a proposito. Noi da "lontano" non possiamo giudicare.

Da leggere anche i commenti.

telenovela ennesima puntata


Oggi puntata multipla. Allego solo i link, così vi fate un'idea da soli. Ricordo solo che tutti i giornalisti che hanno scritto i seguenti articoli sono comunisti.


Dal Corriere:





Sempre dal Corriere (che improvvisamente pare interessato alla vicenda, dopo giorni dal profilo bassissimo), gustoso ma ficcante articolo del bolscevico Severgnini (è anche interista, quindi non può essere imparziale; grazie a Follo per la segnalazione, anche sul suo blog):




Da Repubblica, la seconda domanda è da sbellicarsi dalle risate, chiaro rifermento al risibile (a mio parere) "attacco/difesa" di Belpietro l'altra sera a Ballarò su Gino Flaminio:





Come diceva la Gialappa's, è tutto molto bello. Tra l'altro, sembra di essere negli USA ai tempi di Clinton. Con le dovute proporzioni. Clinton non ha certo la statura politica di Silvio...e nemmeno "vuole bene a tutti e ama la vita", come dice di lui Bondi...

en mand kommer hjem


Riunione di famiglia - di Thomas Vinterberg 2009


Giudizio sintetico: si può perdere


Danimarca, una piccolissima cittadina vicinissima al mare si sta preparando per festeggiare i 750 anni dalla fondazione. L'evento clou sarà il ritorno "a casa" del grande cantante lirico nativo, Karl Kristian Schmidt. Tutti fremono.

Il centro dell'evento è il ristorante dove lavora Sebastian, bellissimo ragazzo balbuziente, fidanzato con Claudia, che il paese un po' gli invidia, e che sta per sposare; in questo ristorante sta per arrivare, appositamente per l'evento, un quotato chef svedese, bravo ma leggermente invasato (è solito, tra le altre fisse, far fare la Haka agli assistenti cucinieri prima di un pranzo importante, oltre a propinar loro discorsi sull'anima degli ingredienti). Sebastian balbetta probabilmente perchè il padre lo ha "abbandonato" da piccolo: era un ubriacone fedifrago, abbandonò la moglie e si preparò per suicidarsi sotto un treno, salvo poi ripensarci all'ultimo momento, ripensamento che però non sortì alcun effetto, visto che rimase sotto quel treno. La madre dopo quel tragico evento, si scoprì lesbica, e così Sebastian è cresciuto, oltre che abbandonato dal padre suicida, con due madri.

Negli stessi giorni, ecco che ritorna al paese Maria, una ragazza che è stata il primo amore di Sebastian, e guarda caso inizia a lavorare nello stesso ristorante. Maria ha alle spalle una storia altrettanto tragica e un periodo di degenza in un ospedale psichiatrico. I due, però, sono ancora fortissimamente attratti.

Non solo. Sebastian, con l'arrivo del cantante lirico, scopre inoltre che la madre non gli ha raccontato tutta la verità sul padre...


Vinterberg torna in patria dopo la parentesi americana (Dear Wendy, Le forze del destino) e, come il "maestro" Von Trier, da tempo ha rinnegato il manifesto Dogma al quale aveva aderito tra i primi. Questo Riunione di famiglia ci viene presentato, almeno dalla distribuzione italiana, come Festen: il lato comico (addirittura, come potete vedere, scritto come sottotitolo sulla locandina). In effetti, c'è in ballo una specie di riunione familiare, colpi di scena e intrecci casuali che diventano esplosivi in seguito. Ci sono situazioni comiche, c'è l'ormai classico sfottò agli svedesi (che noi non danesi capiamo solo in parte: lo chef è una macchietta anche perchè in lingua originale parla male il danese, ed ha tutta una serie di fisime), ci si diverte abbastanza, ma la cattiveria, il sarcasmo, la deflagrazione disintegrante di Festen non c'è, anzi, c'è una specie di lieto fine che sinceramente stentiamo a capire.

Bellissima la fotografia, fin troppo, buone le recitazioni, anche se a mio parere un po' troppo caricaturali, molto apprezzabili i movimenti di macchina. Ma Festen era davvero un'altra cosa.

20090527

lezioni


Se qualcuno avesse tempo da perdere, potrebbe fare una cosa. Aprire questo link, leggere il lunghissimo scritto che si intitola "Essere professionisti e l'alba dei dilettanti" di John August (foto, si è lui e non Salvatores), sceneggiatore e regista, e magari lasciare la sua opinione nei commenti su quanto siamo professionali in questo blog.

E' il testo di una lezione tenuta nel 2006 all'Università di San Antonio (Texas), dove August invitava i blogger e chiunque scriva in rete, a comportarsi da professionista.
Così, anche per migliorarci.

l'anticristo


Antichrist - di Lars Von Trier 2009


Giudizio sintetico: per palati forti e disposti alla sfida


Mentre di notte lui e lei fanno l'amore con grande trasporto, il figlioletto si sveglia, li vede, loro non se ne accorgono, e il bambino curioso sale sul davanzale della finestra aperta (in una notte di neve), cade e muore. Il bambino ha 4, 5 anni. Una tragedia devastante.

Lei cade in una profonda depressione, le mancano le forze, viene ricoverata. Lui, apparentemente meno addolorato, più razionale, forse troppo, di professione psicoterapeuta, dopo circa un mese dove non si nota nessun miglioramento, contro tutte le raccomandazioni e l'etica professionale, la fa uscire dall'ospedale e decide di curarla da solo.

Inizia una curiosa elaborazione del lutto "guidata", un po' per entrambi. Quando lei gli racconta un sogno, lui decide che è arrivato il momento di esorcizzare le di lei paure: si recano nella Foresta di Eden, dove possiedono una casa di campagna. Nel suo sogno lei ha paura di attraversare un piccolo ponte di legno che conduce al sentiero per la casa, inoltre la inquieta la tana della volpe che è situata sotto un vecchio albero, vicino alla dimora. La casa contiene ancora ricordi piuttosto vivi, soprattutto per lei: è lì che si era ritirata l'estate precedente (lei accusa lui di non essere voluto andare, mentre lui sostiene di aver pensato che lei voleva isolarsi), insieme al piccolo, per scrivere la sua tesi di laurea sulla figura della donna nella storia, la sua demonizzazione, la persecuzione contro le streghe, tesi che poi non ha terminato.

Dopo altri giorni di dolore, scontri, pianti, urla e disperazione, lei sembra migliorare. Lo dice apertamente e attraversa il ponte di legno senza paura, passa davanti alla tana della volpe senza tremare.

Sarà davvero così?


Come forse avrete letto, gran parte della critica ha massacrato questo nuovo lavoro di Von Trier immediatamente dopo il suo debutto a Cannes. Il film è stato fischiato, il pubblico ha riso sonoramente durante la proiezione. Probabilmente, capiterà anche a voi, se non di ridere voi stessi, di incontrare spettatori che rideranno durante la visione. Non saranno solo risate classiche di esorcismo verso la paura e lo shock. Questo però dovrebbe farci riflettere. La stessa cosa ho fatto io durante tutto il tempo nel quale ho fatto decantare questo Antichrist. Ho letto perfino recensioni cattive, che mi hanno fatto ridere, recensioni che, ad esempio, sottolineavano quanto il prologo somigliasse a un videoclip di Beyoncé, oppure il fatto che per praticamente tutto il film i due protagonisti non portassero mai le mutande. E' tutto vero, ma, credeteci o no, c'è di più.

E' un po' troppo scontato dire che il regista danese ha fatto un film appositamente provocatorio e disturbante, così, per esorcizzare a sua volta la depressione che, pare, lo abbia assalito negli ultimi tempi. Scorrendo la sua filmografia, è fin troppo facile accorgersi che la provocazione è il suo marchio di fabbrica.

Il mio giudizio sintetico è volutamente vago, perchè so benissimo che una buona parte di chi avrà il fegato di andare a vedere il film rimarrà deluso. Tutte le cose di Von Trier spiazzano e mettono alla prova. Ti costringono a chiederti perchè uno che ha comunque incontrato favori della critica ma anche del pubblico, provi a rendersi ridicolo. Io per primo ho fortemente dubitato della costruzione "filosofica" del film, quando, nella parte centrale, rivela il perchè del titolo.

Forse è anche vero che Von Trier, questa volta, ha davvero chiesto molto ai suoi spettatori. E non perchè l'ultima mezz'ora del film contiene una sequela di scene a tratti disgustosamente splatter, termine che (e torniamo a quanto detto poco prima) spesso confina col ridicolo, bensì perchè il tutto è una sorta di lunga seduta psicanalitica dove si mettono sul tavolo i rapporti tra uomo e donna lungo il corso della (sanguinosa) storia della cosiddetta civiltà, un tavolo dove aleggia, come aleggia pesantemente ogni giorno della nostra cosiddetta vita civilizzata, la presenza del senso di colpa cristiano/cattolico, con tutte le sue conseguenze che inquinano prima di tutto il nostro modo di affrontare il sesso, il lutto, la perdita, il confronto tra i sessi.


Mi fermo qui perchè mi rendo conto di essere piccolo, davanti al lavoro di un artista come questo. Non ho abbastanza conoscenza per discettare sulle implicazioni, sui richiami, sui rimandi.

Vi basti sapere che il film è diviso in capitoli, come fu per Le onde del destino, tanto per dirne uno, che ci sono richiami fortissimi alla pittura di Bosch o citazioni di Friedkin, Lynch, Bergman, oserei dire perfino Pasolini, che è dedicato a Tarkovskij, che è tecnicamente perfetto, visivamente superiore, spiazzante anche solo da questo punto di vista, e non solo perchè ormai da tempo Von Trier ha rinnegato il manifesto che lui stesso fondò (Dogma), e di conseguenza usa qualsiasi mezzo tecnologico possa esistere per stupire, appunto, visivamente (ammirate i fondali della foresta durante i movimenti di macchina che riprendono i due protagonisti su quello sfondo), ma anche perchè il prologo (la scena di sesso e morte iniziale, patinata, in bianco e nero virato in verde, con primi piani non solo dei visi e delle smorfie di piacere, e soprattutto, in mega-slow-motion) e il proseguimento sono completamente diversi nello stile. I due protagonisti, come forse saprete, sono Willem Dafoe e Charlotte Gainsbourg, e sono strepitosi, semplicemente. Il fatto che la Gainsbourg sia spessissimo nuda e alle prese con amplessi e masturbazioni non ha fatto altro che dare un valore aggiunto al film, dal mio personalissimo punto di vista, dato che adoro questa donna dal viso assolutamente contrario alla bellezza come si intende normalmente; gli affezionati lettori lo sapranno già.


Quando un film divide così profondamente la critica e il pubblico, secondo me c'è sempre di che insospettirsi positivamente. I curiosi sono avvertiti.

Non è un film per tutti, decisamente. Probabilmente è per pochi. Ma, sempre probabilmente, Lars Von Trier è uno dei pochi cineasti veramente intellettuali che ci siano in giro in questo momento.

Se vi pare poco.


Vi segnalo, fra le molte recensioni che ho trovato interessanti, questa, con relativi interessanti commenti:

20090526

il vero spot di giulia di pisa

Esilarante; tutti avrete visto lo spot della Coca Cola in cui tale Giulia di Pisa discettava a proposito della crisi. Ora, quella Giulia lì è di Pisa come io sono di Roma, quindi, un gruppo di buontemponi ha ristabilito la verità, ironizzando sul Livorno calcio e autoironizzando sugli "usi e costumi" pisani.
Bellissimo, e complimenti agli ideatori.

state of re-play


State Of Play - di David Yates 2003


Giudizio sintetico: si può vedere


Incuriosito dal film, sono andato a scovare e mi sono guardato questa mini-serie della BBC, partorita dalla mente di Paul Abbott. Sono sei episodi da 50 minuti, e la trama non si discosta moltissimo da quella usata poi dal film cinematografico diretto da Kevin Macdonald: una giovane e bella ricercatrice che lavora nello staff di un importante parlamentare muore in un sospetto incidente nella metro, e si scopre che aveva una relazione col suo capo, Stephen Collins, che presiede la commissione governativa per l'energia. Cal McCaffrey (ebbene si, il cognome cambia di una consonante), reporter-segugio di un importante quotidiano, che ha lavorato in passato per la campagna elettorale di Collins quindi lo conosce personalmente, si ritrova a dover indagare sulla storia, che da subito si presenta con implicazioni più ampie, e a rimanere coinvolto nella separazione di Collins dalla moglie Anne.

Quel che cambia radicalmente, è l'ambientazione: qui siamo a Londra. Di conseguenza, in questa serie è tutto molto inglese. Si sposta la preponderanza del carattere principale, Cal non è quel campione di fascino gretto che è nel film ambientato a Washington Russel Crowe, e ovviamente si approfondiscono maggiormente tutti i personaggi secondari; la storia tra Cal e Anne è più complessa e sfaccettata.

La fotografia è sfumata in grigio (fumo di Londra?), le recitazioni sono controllate ma non per questo di basso profilo, la regia è adatta e meno "movimentata" ma non ingessata.

La visione di questa serie punta l'indice su una cosa più importante, che in questo momento in Italia diventa d'attualità: come un giornale deve fare un'inchiesta. E non è poco. La sceneggiatura è complessa, ma comprensibile.

Grande prova di Bill Nighy nei panni dell'editore Cameron Foster, bravo pure David Morrissey nei panni di Collins.

che mi hai portato a fare sopra a Posillipo...


Fantastico il pressing di Repubblica su Silvio. Se ne fosse in grado Franceschini, sarebbe quasi da votare. Leggete Giuseppe D'Avanzo che tira le somme.

Ma lo scoop clamoroso è questo, nell'articolo di Claudio Tito: leggete uno degli ultimi passaggi dove si dice che "Alcuni dei fedelissimi del presidente del consiglio, ad esempio, addirittura accennano ad una antica amicizia tra il Cavaliere e la nonna di Noemi. Nata quando il futuro premier ancora intratteneva gli ospiti sulle navi da crociera."


Noi di Fassbinder c'eravamo già arrivati settimane fa. Qui il 9 maggio scrivevo: "Silvio non è il padre né l'amante di Noemi. E' il padre di Benedetto Letizia, quindi Noemi è sua nipote. Ha avuto una storia da giovanissimo con una napoletana. Da tutto questo è nato Benedetto e, forse, anche Mariano Apicella. Pian piano scopriremo che Silvio è il padre del 75% degli italiani. Altrimenti perchè avrebbe tutto questo gradimento?"

20090525

papocchio

è sempre un piacere rivedere l'irrivereza del pap'occhio.
un film cult.


sfortuna


Papi Silvio è davvero sfortunato. Leggete l'estratto dall'intervista alla CNN pubblicata dal Corriere, soprattutto il passaggio dove spiega l'affare Mills. Sembra una barzelletta. E magari il 50% degli italiani ci crederà pure.

massacro bolscevico


Katyn - di Andrzej Wajda 2009


Giudizio sintetico: da vedere


Nel 1939, la Polonia era in pratica divisa sotto due occupazioni: quella sovietica e quella nazista, in seguito all'accordo Molotov-Von Ribbentropp. Sia i russi che i tedeschi si dettero da fare per indebolire o addirittura cancellare la classe dirigente del paese: entrambe le "potenze" avevano già attivi i relativi campi di concentramento. Tra il 3 aprile e il 19 maggio 1940, si calcola che l'NKVD (Narodnyj Komissariat Vnutrennich Del, Commissariato del Popolo degli Affari Interni), assassinò in maniera sistematica e organizzata come una catena di montaggio, circa 22mila polacchi, seppellendo i corpi spesso in enormi fosse comuni; uno dei luoghi deputati fu la foresta di Katyn, vicina al campo di Kozielsk. Nel 1943, dopo l'invasione tedesca dell'Unione Sovietica, la Wehrmacht scoprì le prime fosse comuni. Il massacro fu prontamente usato soprattutto per la propaganda nazista anti-sovietica, e a quel punto i russi fecero altrettanto, continuando a negare il tutto fino al 1990. Ma i polacchi sapevano.

Protagonisti di questo film, che racconta la storia del massacro e degli anni seguenti, con l'elaborazione dolorosa del lutto e la ribellione alla cancellazione della verità da parte sovietica, oltre che al regime che si era instaurato dopo la Guerra, soprattutto delle donne, che pur sapendo che ormai i loro cari non sarebbero più tornati, non avevano mai avuto certezze. Anna, moglie del Capitano Andrzej, insieme alla suocera (che invece ebbe la certezza che il marito, il professor Jan, era morto in un capo di concentramento tedesco) e alla figlia Nika, Ròza, moglie di un Generale, insieme alla figlia Ewa, Agnieszka, che insieme alla sorella Irena ha perso il fratello Piotr, ma che al contrario di lei non si rassegna all'omertà.

L'unico uomo protagonista che sopravvive, Jerzy, torna probabilmente solo perchè si è arruolato nell'Armata del Popolo Polacco, esercito filo-sovietico, e fino ad un colloquio drammatico con Ròza, che si ribella durante la proiezione di un filmato di propaganda sovietica che rovescia la verità, non si rende conto di quello che sta facendo.


Il "maestro" Wajda, che ha perso il padre in quel massacro, si basa ovviamente sulla sua storia personale, su quella di moltissimi suoi connazionali, e sul libro Post Mortem di Andrzej Mularczyk, per raccontare una pagina agghiacciante degli accadimenti tristissimi che hanno costellato la Seconda Guerra Mondiale, e anche del regime sovietico. Lo fa con un film massiccio, dall'incedere lento ma incessante, la cui sceneggiatura (scritta anche da Wajda, insieme a Nowakowski e Pasikowski) è di ampissimo respiro, disegna molti caratteri protagonisti alla perfezione, e alla fine chiude il cerchio perfettamente, con una sequenza di scene che inchiodano lo spettatore e lo lasciano senza fiato.

Bellissima la fotografia, magistrale la tecnica di ripresa, ottime tutte le prove dell'ampio cast; menzione speciale per Danuta Stenka nei panni di Ròza.

Se a volte ci fermiamo a riflettere arrabbiati, sulla travagliata storia del nostro Paese, provate a mettervi nei panni dei polacchi dopo aver visto questo film.

Curiosa la storia della distribuzione italiana, praticamente inesistente. Nonostante il tentativo di alzare un polverone e di politicizzare il caso da parte (ovviamente) de Il Giornale (leggete qui), anche la Medusa Film non è stata interessata a distribuire il film, nonostante lo distribuirà in dvd. Dimostrazione pratica di due cose: la prima, che i soldi sono quelli che contano (e quindi erano previsti incassi minimi per questo film), la seconda, che se i distributori pensano questo, il pubblico italiano medio è decisamente poco interessato alla storia, oltre che alla politica. Le conclusioni, tiratele da soli.


Qui l'interessante ed esauriente scheda di Wikipedia dedicata al massacro di Katyn:

20090524

papi


Credo proprio che chi ha sottovalutato questa storia, ha fatto male. Ho il sentore che qua si stia preparando un terremoto politico. Repubblica sta insistendo molto sull'amicizia tra "Papi" Silvio e Noemi, e fa bene. Lo scoop di oggi è davvero super: leggete attentamente il passaggio delle "vacanze" in Sardegna. Agghiacciante. Dubito che il tipo, Gino Flaminio, ex fidanzato di Noemi Letizia (per inciso: un tamarro di proporzioni epiche!), si sia inventato tutto, almeno, spero che Repubblica si sia tutelata, perchè qua sta uscendo fuori qualcosa di veramente grosso....


bandana republic




Fantastica rivelazione di Cherie Blair da Fabio Fazio. E così, se ancora ce n'era bisogno, abbiamo la certezza che Silvio all'estero e soprattutto tra i "potenti" della Terra, è vissuto come un imbarazzo.

A questo punto, non ci resta che farlo capire alla maggioranza degli italiani.

20090523

elegy


Lezioni d'amore - di Isabel Coixet 2009




Giudizio sintetico: si può vedere




David Kepesh è un intellettuale ultra-sessantenne, insegnante di Practical Criticism, definizione da lui coniata, una sorta di corso per aspiranti critici letterari, teorico del proseguimento della liberazione sessuale, che dopo aver divorziato in giovane età ed aver abbandonato il figlio Kenny, tiene fede ad un suo personale dogma: non avere mai una relazione stabile con una donna.

I punti fermi della vita di David sono Carolyn, una bella donna matura con la quale ha un rapporto soprattutto sessuale, e George, poeta premio Pulitzer, amico di lunga data, confidente e compagno di attività sportive.

La tattica di David, per evitare complicazioni, è di non corteggiare le studentesse che seguono il suo corso, ma alla fine del corso dare un cocktail a casa sua. E' così che riesce ad affascinare Consuela, una bella e giovane studentessa proveniente da una famiglia di origine cubana, che lo colpisce durante le lezioni. Non sarà, però, come con le altre. David diverrà improvvisamente possessivo e geloso, cosa mai accaduta, e comincerà a porsi delle domande sul senso degli anni che gli restano da vivere, come mai aveva fatto fino ad allora.


Adattamento cinematografico della novella L'animale morente di Philip Roth, con la sceneggiatura scritta curiosamente da Nicholas Meyer, che aveva sceneggiato il deludente La macchia umana, altra trasposizione di un libro di Roth, l'ultimo lavoro della Coixet, per la quale ho un debole (come regista), non è così brutto come hanno tentato di farci credere praticamente tutti i critici italiani più importanti.

E' vero che Lezioni d'amore risulta stilisticamente troppo preciso, pensate un po' che paradosso, fotografia straordinaria e macchina fissa, con belle inquadrature (scelte in maniera ineccepibile), due cose che risultano appunto un po' troppo "perfette" per lo stile della Coixet, ma il film, nonostante abbia quindi il difetto di risultare un po' "freddo", commuove e tocca, ovviamente per la storia in sé, oltre a costringere lo spettatore non giovanissimo a porsi le stesse identiche domande che si pone il protagonista.

Continuando con pregi e difetti, potremmo ascrivere alla regista (e allo sceneggiatore) il difetto di seguire un po' troppo pedissequamente il libro da cui è tratta la storia (anche se forse la parte socio-etico-politica viene lasciata sottotraccia, ma sta allo spettatore farla "venire a galla"), ma ha il pregio di mettere in scena una serie di splendide interpretazioni, aiutate certamente dalla scelta di un cast davvero di altissimo livello, ma specchio anche di una buonissima mano della regista, che come sempre ben dirige tutti gli attori ai suoi ordini, anche quelli che recitano in parti minori.

Non solo rivediamo a grandi livelli Ben Kingsley nei panni del professor Kepesh, e ammiriamo Penélope Cruz nella parte di Consuela (una prova che ci ricorda quella fornita in Non ti muovere, meno sopra le righe), prestazione che ci dice chiaramente che la spagnola è arrivata ad alti livelli, ma questo film ci regala pure un Dennis Hopper (George O'Hearn) splendido in un ruolo che non ci aspettavamo da lui (la forza dello stereotipo), Patricia Clarkson (Carolyn) sempre bravissima (qui anche sexy, a suo modo), Peter Sarsgaard (Kenny Kepesh) intenso anche se si vede poco, e infine, ancora una volta con la Coixet, Deborah "Debbie" Harry, nei panni di Amy, la moglie di George, invecchiata e quasi irriconoscibile, visibile in sole due-tre scene, ma ugualmente apprezzabile.

A mio giudizio, un altro tassello imperfetto ma non meno importante, nella progressione dei lavori di questa regista ancora giovane, che probabilmente ci deve ancora regalare il suo capolavoro.

ricky vigano

Sentenza Mills, speciale Studio Aperto: il Premier apprende la decisione mentre si trova a Milano, dove alcuni giorni fa un romeno ha violentato una ragazzina che mangiava un gelato. Secondo un recente studio, infatti, gli italiani quest'estate mangeranno almeno 13 kg di gelato a testa. Per combattere quella che si preannuncia come l'estate più calda degli ultimi 10 anni. Ma vediamo come affronterà l'afa Belen Rodriguez. 

20090522

anything goes

a me la canzone anything goes degli ac dc mi piace un bel pò.
mi sembra un pezzo di un bruce springsteen ubriaco!

la vida secreta de las palabras


La vita segreta delle parole – di Isabel Coixet 2006


Giudizio sintetico: da vedere


Hanna è una donna giovane, carina ma dimessa, fa un lavoro noioso e ripetitivo, è diligente, profondamente sola, sembra non avere alcun interesse. Al di fuori del lavoro non ha altro, al punto che il suo capo la richiama in pratica perché lavora troppo, e la invita a prendersi un periodo di ferie. Hanna ha un problema di udito, ogni tanto telefona ad una donna senza dirle niente, una donna che capisce che è lei e che potrebbe essere sua madre; Hanna è talmente sola e senza alternative che, alla prima occasione che le si presenta nel suo periodo di ferie, ascoltando una conversazione telefonica di un tipo ad un altro tavolo, nel ristorante dove sta mangiando, che si offre per lavorare come infermiera per assistere una persona convalescente su una piattaforma petrolifera. La persona in questione è Josef, quasi morto bruciato in un incidente sulla piattaforma, e sta lentamente guarendo dalle ustioni. Momentaneamente cieco, nasconde la sua tristezza di fondo dietro a una marea di chiacchiere scherzose. Hanna e Josef sono due persone che portano il fardello pesantissimo di due dolori inenarrabili.

Si incontrano, si annusano, Josef parte spavaldo, mentre Hanna è al solito molto riservata. Uno sparuto gruppo di uomini vive sulla piattaforma, ognuno con la sua solitudine, ognuno con le sue fisime. C’è il cuoco che cucina ogni giorno piatti di paesi diversi accompagnandoli con musica del paese in questione, l’oceanografo che “coltiva” mitili, il capo che guarda tutti e nessuno e scruta l’orizzonte, i due operai con moglie e figli che amoreggiano dolcissimamente tra di loro. Poco per volta, le barriere di Hanna cadono, e l’intimità tra lei e Josef si fa sempre più intensa, fino a diventare per lei insopportabile. Quando lui viene trasferito, lei scompare dalla sua vita. Josef la cercherà, perché a quel punto, non gli rimane altro.


Il dolore è l’elemento portante della regista, di origine catalana ma trapiantata in Canada, autrice di quello splendido gioiello che fu “La mia vita senza me”. Questa volta prova ad imbastire una storia diversa, ambiziosa, difficile da gestire, e ci riesce a fasi alterne. Usa spesso la camera a mano, forse per comunicare l’instabilità di fondo dei suoi protagonisti, adegua la fotografia ai paesaggi mozzafiato ma cupi e opprimenti, come le storie alle spalle dei personaggi, e si aiuta come sempre con una colonna sonora (tra gli altri, Antony, Tom Waits, Paolo Conte) che pugnala alle spalle ogni appassionato di musica, oltre che di cinema. Insieme alla musica (non so perché, ma le storie della Coixet e la musica di Antony & The Johnsons mi paiono permeati dello stesso dolore), questa regista a mio parere molto promettente, e che ha già fatto molto, crea un film si imperfetto, con qualche forzatura, ma incisivo, pieno di simbolismi e spunti per niente snob (l’oca sulla piattaforma, la sordità di Hanna, le riflessioni sui Balcani, le ragioni dell’allontanamento momentaneo di Hanna dal lavoro), giocato sui silenzi di alcuni personaggi, su tutti Hanna, e sui torrenziali monologhi di altri (Josef, ma anche il cuoco Simon), regalandoci improvvise scene madri indimenticabili (la pioggia sulla piattaforma, i pasti di Hanna, la dichiarazione di Josef, la confessione di Hanna, queste ultime due davvero di un’intensità raramente vista al cinema negli ultimi tempi). La Coixet violenta i sentimenti dello spettatore, non scade mai nel pietismo e nella retorica facile, non cerca mai scorciatoie, neppure la voce fuori campo lo è, anzi, complica ancor di più il film, ma soprattutto intravede la salvezza, a patto che siamo noi stessi a darcela, e nessun altro.

Un bel cast diretto bene, bravi Robbins e Cámara, stupenda la Polley, che già aveva reso indimenticabile il precedente film della Coixet, già citato.

Una regista che ha scelto una strada impervia, che affronta con carattere.

Da premiare con una visione attenta; sconsigliato a chi va al cinema e non sopporta le storie tristi.

my life without me


La mia vita senza me - di Isabel Coixet 2004


Giudizio sintetico: da vedere


Probabilmente mi odierete a morte, se vi farete convincere, leggendo queste righe, a vedere questo film e non vi piacerà. Ma non cambierò idea: per me questo film è bellissimo, bello almeno quanto la sua storia è triste.

Ann ha 23 anni, sposata da sei, due figlie piccole, lavora di notte (fa le pulizie nell'Università locale), suo marito è dolcissimo ma senza un lavoro, vivono in una roulotte nel giardino della casa di sua madre, suo padre è in galera; un giorno sviene, va all'ospedale e le diagnosticano un cancro alle ovaie in avanzata metastasi. Massimo tre mesi di vita. Una tragedia.


Invece, questo film è più poetico che tragico, nonostante dialoghi duri come palissandro, e riesce anche a far sorridere di gusto.

La protagonista tiene tutti all'oscuro, ma si fa una lista di cose da fare prima di morire (niente di trascendentale), e registra una serie di cassette, per sua madre, suo marito e, per le figlie, una per ogni compleanno fino ai 18 anni.

Lo so, detta così sembra una vera cazzata.

Eppure, il film non lo è assolutamente; la protagonista non si lascia mai andare all'autocommiserazione, l'atmosfera non diventa mai patetica, la storia rimane semplice e intensa, e ci spinge a riflessioni sulla futilità del superfluo e sulla violenza dei sentimenti che contano.

Cast ricco di attori emergenti o alternativi (c'è perfino Debbie Harry, se vi ricordate dei Blondie...), grande prova collettiva, regia moderna con lampi di follia.

Un gioiellino triste, intenso e promettente.

mi país inventado


Il mio paese inventato - di Isabel Allende


Alla fine ce l'hanno fatta. Sono riusciti a farmi leggere un libro di Isabel Allende, probabilmente una delle scrittrici di best-seller più famose nel mondo (siamo ai livelli di Paulo Coelho e Ken Follett, credo). Non so come mai mi fidassi poco, nonostante il cognome degno di massimo rispetto. Come che sia, ho letto questo libro in lingua originale, e forse perchè non è proprio un romanzo, mi è piaciuto abbastanza.

E' un piacevole flusso di coscienza questo di Isabel Allende, che ripensa alla sua vita errabonda e complicata, prima da figlia(stra) di diplomatico, poi da esiliata volontaria, infine da emigrante per amore. Il suo sguardo pieno d'amore e di autocritica verso il suo paese è probabilmente più vero di quello di chi il suo stesso paese non se lo è inventato, e ci vive ancora. Se siete stati in Cile soprattutto, capirete ancora di più la veridicità delle cose che dice.

Nonostante i dolori, a volte ridicoli, più spesso veri e profondi, che la Allende racconta, ci sono almeno tre o quattro passaggi nei quali si ride di gusto; inoltre, il suo sguardo "esterno" sui cambiamenti della società cilena, e il raffronto con quella californiana, sono di aiuto anche al lettore "lontano" da queste realtà, per comprendere cosa succede nel mondo.

Gli appassionati lettori di Isabel, inoltre, scopriranno le radici di quasi tutti i suoi romanzi.

Chissà che non mi capiti di leggerne qualcuno, in futuro.

20090521

la falsità delle testimonianze

In relazione alla deposizione resa il 20 novembre 1997 nel procedimento n. 1612/96 (c.d. Guardia di Finanza), si contesta a Mills:

1) di avere omesso di dichiarare, pur specificatamente interrogato, che la proprietà delle società offshore del Fininvest B Group faceva capo direttamente e personalmente a Silvio Berlusconi;

2) di avere omesso di riferire la circostanza del colloquio telefonico con Silvio Berlusconi nella notte di giovedì 23 novembre 1995, avente quale argomento la società All Iberian e il finanziamento illegale di 10 miliardi di lire erogato da Berlusconi tramite All Iberian a Bettino Craxi;

3) di avere dichiarato circostanze false in ordine al compenso di circa un milione e mezzo di sterline ricevuto una tantum nel 1996 a seguito di accordi con Silvio Berlusconi – compenso qualificato come “dividend” e tenuto bloccato fino al 2000 in un deposito bancario denominato MM/AIL (Mackenzie Mills/All Iberian Limited) – affermando che si trattava di una plusvalenza di spettanza della società offshore Horizon Ltd., che i clienti avevano ritenuto al momento di non ritirare.

In relazione alle deposizioni rese il 12 e 19 gennaio 1998 nel procedimento n. 3510/96 + 3511/96 (c.d. All Iberian) si contesta a Mills:

1) di aver evitato di rispondere alle domande sulla proprietà delle società offshore (cfr. p. 121 verbale d’udienza 12 gennaio 1998: “non spetta a me dire chi è il proprietario, chi no” e pag. 129: “per rispondere alla sua prima domanda sulla proprietà, cioè vorrei chiarire un po’ la questione. La proprietà è rimasta un po’ vaga, come dicevo prima, perché nessuno ha detto: io sono il proprietario di queste società ... il cliente era il Gruppo Fininvest”);

2) per quanto riguarda Century One Ltd e Universal One Ltd, società offshore costituite da Mills per conto di Silvio Berlusconi, che avevano ricevuto dal Gruppo Fininvest - a fronte di fittizie vendite di diritti televisivi - ingenti rimesse di denaro su conti bancari presso BSI Lugano, somme successivamente prelevate in contanti (per circa 50 milioni di euro) da Paolo Del Bue e altre persone della fiduciaria Arner:

a) di aver omesso di riferire che beneficial owners di dette società, in forza di accordi di trust stipulati dallo stesso Mills, erano Marina e Piersilvio Berlusconi;

b) di aver omesso di riferire quanto a sua conoscenza in ordine al legame diretto esistente tra Paolo Del Bue, della fiduciaria Arner, e la famiglia Berlusconi.

Poiché le contestazioni in parte si sovrappongono o comunque si intrecciano le une con le altre, si ritiene di evidenziare unitariamente gli argomenti oggetto dell’imputazione.

michele dz

Caso Mills. Di Pietro: "In un paese normale il premier si dimetterebbe." Berlusconi: "In un paese normale non mi avrebbero votato!"

metro

Ma secondo voi, quando sarà possibile vedere su un qualsiasi sito di pubblica utilità italiano, una news come questa:

16-05-2009
Las máquinas de preservativos que la Comunidad ha instalado en el Metro han expedido más de 12.240 unidades
La estación de Sol es la de mayor venta, y el período que registró más fue en Navidad. Los informes de Sanidad aprecian un ligero incremento, con un 84,5%, de jóvenes que utilizan el preservativo.

Il sito è questo.
http://www.metromadrid.es/es/index.html
La risposta, come diceva Quelo, "è dentro di te epperò è sbajata!!"

storia d'amore nella steppa


Tulpan - La ragazza che non c'era - di Sergei Dvortsevoy 2009


Giudizio sintetico: si può perdere


Asa è un giovane kazako che ha appena terminato il servizio militare in Marina. Torna a vivere con quel che resta della famiglia: la sorella, che vive insieme al marito Ondas e ai tre figli nella loro yurta in mezzo alla steppa, badando al gregge delle pecore che hanno in sub-appalto, insieme a cani, asini, cammelli e vacche. Per rendersi indipendente, Asa deve sposarsi. Senza moglie, il "compagno-capo" che gestisce le pecore e le distribuisce (appunto, in una specie di sub-appalto), non gli darà un gregge da gestire. Insieme al cognato e all'amico Boni si presentano alla famiglia che ha l'unica ragazza "disponibile" della steppa: Tulpan, tulipano. La ragazza si nasconde dietro una tenda durante l'incontro, e rimarrà invisibile anche quando Asa tenta di parlarle in seguito: riuscirà a vederla solo di spalle. Tulpan fa sapere ad Asa che non lo vuole perchè ha le orecchie a sventola. Asa, respinto dall'unica ragazza, mal sopportato dal cognato, inadatto alla vita dura della steppa, sogna un futuro diverso e si innamora perdutamente di Tulpan.


E' un peccato, per me che amo questo tipo di ambientazioni, dire che questo Tulpan è un film piuttosto prescindibile. Non è tutto da buttare, anzi, nel debutto sul lungometraggio del documentarista Dvortsevoy: provare per credere, la steppa kazaka, così come quella mongola, ha il suo dannato fascino selvaggio, duro e crudele. Polvere, vento, trombe d'aria improvvise, rumori animali di ogni tipo, canti femminili (incantevoli, a dire la verità), cieli infiniti e orizzonti lontanissimi, facce che sembrano caricature, eppure piene d'umanità.

Eppure, nonostante la fotografia nitidissima, la camera a mano, i racconti strampalati dell'ex marinaio Asa e le iperboliche orecchie a sventola (Tulpan ha ragione!), le foto delle ragazze tettone di Boni, i trattori che sembrano dragster, il veterinario sul sidecar col cammello bendato al posto del passeggero, la storia è esilissima, i tempi estenuanti, e, tanto per fare un esempio, non si riesce a raggiungere risultati come quelli con il fascino (seppur estenuante anche quello) dei film di Davaa (La storia del cammello che piange, diretto insieme a Luigi Falorni, o Il cane giallo della Mongolia) o de Il matrimonio di Tuya, senza scomodare capolavori come Lunapapa, straordinario masterpiece grottesco e post-sovietico del 1999 del tagiko Khudojnazarov.

Nonostante la vittoria nella sezione Un certain regard a Cannes nel 2008, c'è da migliorare. Vedremo in seguito.

20090520

notizia di servizio

estere
annullato il concerto di sabato 23 all'outback cafè di milano 
ci scusiamo per il disagio

vi aspetto comunque
giovedì 4 giugno al babau di paderno 
e
venerdì 5 giugno all'area 51 di rozzano
olè!

la teta asustada


Il canto di Paloma - di Claudia Llosa 2009


Giudizio sintetico: culto


Fausta vive nella desolata periferia di Lima, in Perù, insieme alla famiglia. La madre, che ha vissuto i tempi del terrorismo, ed è stata stuprata a quei tempi, muore, e Fausta vuole riportare il corpo al suo paese di origine. Si cerca quindi un altro lavoro, oltre a quello che svolge normalmente con la famiglia, organizzando matrimoni. Oltre alla tradizione del canto quechua, la madre di Fausta le ha tramandato un segreto inconcepibile per gli altri, e, nella credenza popolare, la malattia chiamata la teta asustada (qualcosa come "il seno impaurito"), così chiamato perchè, sempre secondo quel che si crede, si trasmette con il latte materno dopo che una donna è stata violata.


Secondo film della regista peruviana, dopo l'interessante debutto con Madeinusa, secondo film con Magaly Solier, che nel frattempo però ha girato con un altro regista, scoperta dalla Llosa come attrice, ma in verità cantante (anche nel film; sta per uscire il suo primo album, Warmi).

Vincitore dell'Orso d'Oro all'ultima Berlinale, Il canto di Paloma è un film meraviglioso, sconsigliato a chi ama il cinema d'azione ma raccomandato caldamente a chi cerca storie particolari, coinvolgenti, ironiche, drammatiche, commoventi e buffe allo stesso tempo. Dialoghi rarefatti, inquadrature fisse, attori con facce indimenticabili, ma non solo. Fotografia splendida, con i colori vivaci del Perù, una storia perennemente a cavallo tra grottesco e dramma sociale, un'usanza difficile da credere, ma questa volta, a differenza di quel che fece con Madeinusa, acclarata perfino da studi antropologici (leggere qui), almeno in parte. Il canto di Paloma ricorda filmografie lontane ma molto più imparentate di quanto si creda (Kaurismaki, Lunapapa di Bakhtyar Khudojnazarov, molti film provenienti dall'Asia più povera, penso a registi come Tran Anh Hung - Il profumo della papaya verde, Cyclo -, ma sicuramente anche a Kim Ki Duk), ed è uno di quei film che ti lasciano un segno indelebile, emozioni che cominciano con l'incredulità e terminano con una sorta di amore incondizionato. Ogni fotogramma è significativo ed evocativo insieme, la mano della regista è straordinaria, la prova della protagonista indimenticabile.

E' davvero difficile aggiungere altro. Il canto di Paloma è l'ennesima dimostrazione che si può fare cinema con le idee, anzichè con i soldi. E i risultati, spesso, sono molto più memorabili.

Non fatevi scappare questo film.


Qui un'intervista a Magaly Solier.

le battute di Silvio


Grazie all'amico Renato che mi segnala questo interessante articolo.


Finlandia: Berruto, la "Chiesetta" e Berlusconi


Il tecnico di Torino, attuale CT della nazionale della Finlandia, interviene sulla stampa del Paese dei Grandi Laghi in merito alle dichiarazioni del Premier italiano sulla "Chiesetta finlandese...". "Suomen lentopallovalmentaja tyrmää Silvio Berlusconin" il titolo del servizio sul sito del quotidiano finlandese Ilta Sanomat che nella sua versione cartacea apre con due pagine


KUORTANE (Finlandia) - Devo essere onesto. Devo ringraziare Silvio Berlusconi. Ogni volta che apre bocca è capace di farmi pensare. È splendido, credetemi. E’ come un esercizio: lui parla, io penso.

Nelle ultime settimane ha costretto noi italiani a pensare molto spesso.

Voglio raccontarvi un segreto. Noi, italiani, abbiamo delle opinioni.. voglio dire: abbiamo delle opinioni individuali! E anche se il sig. Berlusconi (parlando di se stesso) dice che il 75% di noi è con lui, che pensa come la pensa lui, che lo ama, beh, magari questo non è esattamente vero e, in ogni caso, c’è ancora un 25% di speranza. Non è così male…

Comunque c’è un fatto: questa è la mia quinta estate finlandese come allenatore della nazionale maschile e ho scoperto un posto meraviglioso proprio grazie a Silvio Berlusconi! E’ in Finlandia, molto vicino a Jyvaskula.

Domenica io e il mio staff italiano siamo andati alla Vecchia Chiesa di Petäjävesi (clicca qui). Una meravigliosa vecchia chiesa di legno costruita fra il 1763 e il 1764. Pochi chilometri prima di arrivare ci siamo fermati per un caffè e il proprietario del “grilli” sentendoci parlare ci ha chiesto: "siete italiani? Sapete quello che Berlusconi ha detto della nostra chiesa?". (clicca qui)."Si, lo sappiamo - gli ho risposto - ed è esattamente per questo motivo che siamo qui!"E’ curioso che non si è ancora del tutto certi che la chiesa citata da Berlusconi fosse proprio quella, ma non importa: non possiamo chiedergli tutto! E’ molto impegnato, non può ricordarsi di tutto. Persino più divertente scoprire che Berlusconi non è mai stato in visita ufficiale in Finlandia. Ma anche se la chiesa che Berlusconi aveva in mente fosse stata in Islanda, in Norvegia o in Svizzera io ho trovato la vecchia chiesa di Petäjävesi, scelta dell’Unesco come Patrimonio mondiale dell’Umanità! (clicca qui) Credo di non dover neanche descrivere la vecchia chiesa di Petäjävesi. Una meravigliosa chiesa in un posto incantevole di questa incantevole nazione. E’ un capolavoro, tutto qui.

Naturalmente noi esseri umani abbiamo reazioni diverse di fronte ad un capolavoro. Va benissimo, nessun problema, fortunatamente siamo diversi! Davanti a un capolavoro ognuno può sentire o meno la forza dell’artista. E’ una specie di attrazione magnetica. Può scattare o no. Se scatta il capolavoro regala parte della sua forza a chi lo guarda. Se non scatta, il capolavoro non ci rimette niente.

Ho visto un sacco di capolavori in Italia. La mia nazione è meravigliosa, piena di storia, arte, monumenti, chiese. Sono molto orgoglioso della storia del mio paese. Sono molto orgoglioso di essere italiano.

Voglio solo sognare di poter essere rappresentato in tutta Europa dai nostri capolavori. Berlusconi non è esattamente uno di questi. Non sono affatto orgoglioso di lui. Lui non mi rappresenta.

Sono anche molto orgoglioso di amare la Finlandia così tanto. Ho scoperto un paese meraviglioso nell’estate del 2005 e sto ancora scoprendo persone meravigliose, posti indimenticabili, una natura da togliere il fiato. Domenica ho scoperto un capolavoro dell’umanità da togliere il fiato.

Quella chiesa in legno non è finlandese. E’ proprietà del genere umano. Esattamente come la Cappella Sistina a Roma, un quadro di Van Gogh, un libro di Hemingway, un goal di Maradona. Capolavori del genere umano.

Qui in Finlandia voi realizzate un sacco di cose con il legno. In Italia abbiamo un famoso burattino di legno, con una testa di legno bella dura e con un naso che si allunga sempre di più quando il burattino non dice la verità.

Io mi scuso per una dichiarazione stupida.

Sono italiano. Sono un cittadino d’Europa. Ma oggi lasciatemi essere anche finlandese e orgoglioso cittadino di Petäjävesi.

Per vostra informazione il nome del burattino...non è Silvio, ma Pinocchio. Qualche volta gli umani hanno la testa più dura dei burattini di legno.


Mauro Berruto

Head Coach of Finnish Men’s National Team


L'articolo pubblicato sul quotidiano finlandese Ilta Sanomat clicca qui

20090519

ops


La Pravda dà ragione a Repubblica nell'affaire Noemi e per quanto riguarda le "10 domande al premier" e la nota di risposta.

Leggete qui.

Ah no, scusate, è il Times...

love her or leave her


Amatemi – di Renato De Maria 2005

Giudizio sintetico: si può vedere


Nina e’ una bella quarantenne, lavora come speaker in un enorme centro commerciale, e’ sposata senza figli. Una sera torna a casa con il vassoio dei dolcetti per il dopo cena, ma trova il marito gia’ pronto per andarsene. E’ finita, dice, non ci amiamo piu’. Smarrimento, depressione, Nina inizialmente si lascia andare, poi rinasce, si reinventa, prende gli uomini, e il sesso, a cuor leggero; e, alla fine, vince.

Un classico piccolo film italiano delizioso, sintetizzato dalla protagonista, Isabella Ferrari, capace di reinventarsi (come Nina, appunto), da attricetta da sapori di mare a interprete deliziosa di film, come questo, con retrogusto insieme da commedia francese, film indipendente americano, ma con un tocco tutto italiano.

Viaggio al centro dell’universo femminile, curiosamente da parte di un regista maschio, delicato e spensierato al tempo stesso, che rischia di eccedere solo qualche volta, snocciolando il campionario degli uomini di Nina, ma riesce a fermarsi prima di farli diventare ridicole macchiette.

Sara’ distribuito malissimo, quindi ripescatelo anche in dvd, e’ una piacevole visione.
La Ferrari che canta Sinigallia mentre guida e’ da amare. Appunto.

20090518

madeinusa


L'altra locandina di Madeinusa.

made in Perù


Madeinusa - di Claudia Llosa 2006


Giudizio sintetico: da vedere


Manayaycuna (in quechua "il villaggio dove nessuno può entrare"), villaggio sulle Ande peruviane, a tre giorni di viaggio dal più vicino telefono. Sta arrivando la Pasqua, e con lei, il tiempo santo: distorcendo il dogma del cattolicesimo, gli indigeni credono che tra il Venerdì Santo (alle 15,00) e la domenica di Pasqua, essendo Gesù, e con lui Dio, morto, ogni peccato possa essere commesso senza paura di essere visti, e quindi, puniti. Cayo, sindaco del villaggio, padre di due ragazze adolescenti, Madeinusa e Chale, la cui moglie è fuggita a Lima, non vede l'ora che il tiempo santo arrivi, per deflorare Madeinusa, ovviamente ancora vergine. Lei, e la sorella, lo sanno benissimo.

Nel frattempo, arriva per caso in paese Salvador, un peruviano bianco, un geologo proveniente da Lima, che rimane bloccato a Manayaycuna contro la sua volontà. Cayo gli spiega che gli abitanti non desiderano avere forestieri tra i piedi, soprattutto durante il tiempo santo, quindi "rinchiude" Salvador in una stanza di casa sua, accanto alla stalla. Ma i tre giorni del tiempo santo sono lunghi...


Debutto piuttosto impressionante della 33enne peruviana Claudia Llosa, nipote d'arte e non solo, come potete evincere dalla scheda Wikipedia. Sicuramente provocatorio, a causa della descrizione degli indios fatta in questo film, descritti come incestuosi, ignoranti, razzisti e fondamentalmente cattivi, il film ha decisamente il suo fascino (malefico). I protagonisti sono convincenti, il lavoro della telecamera è decisamente ben strutturato (inquadrature sempre suggestive, sia che riprendano un ratto in fin di vita, una processione peruviana o uno scorcio andino), la fotografia è splendida. Nonostante la spietatezza di fondo, il film è addirittura divertente, con retrogusto amarognolo. Le processioni sono sensazionali, così come i costumi e il Cristo-marionetta in formato 1 a 1. Qualche forzatura nella sceneggiatura (sempre della Llosa) c'è, ma del resto è un debutto; il talento però si vede ugualmente.

Carlos J. de la Torre (Salvador) è belloccio e grunge quanto basta per essere una specie di Ethan Hawke o addirittura un Johnny Depp sudamericano, Yiliana Chong (Chale) è una co-protagonista esperta a dispetto delle sembianze adolescenziali, Magaly Solier, cantante quechua piuttosto stimata in patria, è sicuramente una scoperta destinata a fare strada anche nel campo del cinema.

Il film è girato in castigliano e in quechua, le canzoni cantate dalla Solier sono sue: la sua voce è straordinariamente angelica. Perfino le locandine sono quantomeno morbose.

old and wise

No, dico, sabato mi è arrivata a casa la comunicazione che, tramite il gruppo aziendale al quale sono automaticamente iscritto per aver "compiuto" 20 anni di lavoro continuativo in azienda, sono iscritto all'A.N.L.A. (qui il sito), Associazione Nazionale Lavoratori Anziani. Capito? Anziani!!

cammelli


La storia del cammello che piange – di Byambasuren Davaa e Luigi Falorni 2005

Giudizio sintetico: imperdibile per amanti del cinema orientale


Mongolia, deserto del Gobi. Una famiglia che vive del proprio gregge di cammelli e capre, e’ preoccupata per la stagione delle nascite da parte delle cammelle. Va tutto bene fino all’ultimo nato: nasce un piccolo albino, che viene rifiutato dalla madre. La famiglia le prova tutte, fino a mandare i figli giovani ‘’in citta’’’ (un accampamento con elettricita’ e una scuola vicina) a precettare un musicista che suonera’ perche’ la madre riconosca il piccolo.


Co-diretto dall’italiano Luigi Falorni, autore di una tesi di laurea sull’argomento, insieme alla mongola Byambasuren Davaa, largo uso di camera fissa, sottotitolato solo per tradurre i dialoghi e le frasi salienti, il film ha il suo fascino, e piacera’ agli amanti di un certo cinema, quello che fa dei silenzi, dei paesaggi mozzafiato, e delle metafore la sua forza.

Piu’ che il tema principale del piccolo ‘’escluso’’ per la sua diversita’, colpisce lo spaccato quotidiano dei mongoli, la loro semplicita’ e l’impatto con uno spicchio di modernita’ da parte dei giovanissimi; ma soprattutto, come, nello specifico, viene liquidata la richiesta della televisione dall’anziano capofamiglia.

Finale amaro, quasi sussurrato. Quando il cinema e’ conoscenza.

20090517

nella galassia del vino


Mondovino – di Jonathan Nossiter 2005


Giudizio sintetico: si può vedere


Un altro documentario, questa volta a cura di un ex sommelier diventato regista. Questa volta si parla di vino, e il regista ce ne parla facendo parlare soprattutto i produttori, dai piu’ piccoli a quelli enormi, in ogni angolo di questa terra. Parlano, intervistati cordialmente da Nossiter (che, anche se si fa aiutare da alcuni traduttori, parla molto bene italiano, francese, spagnolo e inglese), anche altri interessanti personaggi che gravitano intorno alle grandi produzioni di vino buono, come Robert Parker, critico del Wine Spectator, che fa aumentare i prezzi con i suoi giudizi, o come Michel Rolland, wine consultant richiestissimo, che lavora per decine di aziende vinicole sparse su tutto il planisfero (amico di Parker…). Qui mi fermo, e lascio a voi il piacere di scoprire gli altri personaggi intervistati nel documentario.

Certo, c’e’ una teoria complottistica di fondo, come sembra essere inevitabile di questi tempi nei docu-film, una sorta di meccanismo tendente alla globalizzazione, anzi alla ‘’napalizzazione’’ come si dice in Mondovino, neologismo che capirete poi. La teoria pero’ ha basi solide, e in effetti, il momento piu’ interessante del film sara’ quando vi renderete conto che sia Michael Broadbent, responsabile delle aste dei vini alla Christie’s di Londra che il proprietario di un enoteca a Volterra la pensano allo stesso modo.

Dal punto di vista tecnico, girato in digitale con macchina perennemente a mano, risulta un po’ pesante (e’ stato tagliato di circa 30 minuti rispetto alla presentazione a Cannes, e nonostante cio’ dura oltre due ore) soprattutto nella prima parte, oltre ad essere quasi fastidioso a causa della camera a mano, ma ha il pregio di non essere troppo tecnico anche se va piuttosto in profondita’ sia nelle strategie economiche, sia nelle tecniche di preparazione e di invecchiamento dei vini.
Molto belli i momenti con Battista Colombu, produttore sardo di Malvasia, e quelli finali in Argentina.

Consigliato, ma andateci riposati.

20090516

luttazzi

Il papa in visita al muro del pianto.
Piange il muro!

pugni chiusi


Quo vadis, baby? – di Gabriele Salvatores 2005


Giudizio sintetico: da vedere


Giorgia e’ una quarantenne trasandata (ma non brutta), ferita dal passato della sua famiglia (morte della madre, suicidio della sorella); e’ scorbutica con gli uomini, le piace bere, lavora nell’agenzia di investigazioni del padre e si lascia scorrere addosso le implicazioni umane che il suo lavoro, spesso, comporta. Un cliente la molesta in seguito alla scoperta, da lei fatta, che sua moglie lo tradisce ripetutamente, due uomini improvvisamente manifestano interesse per lei, mentre Giorgia e’ sempre piu’ decisa a fare chiarezza sul suicidio della sorella, sempre amata e mai dimenticata, in seguito al ritrovamento di alcune videocassette nelle quali la sorella si confessa, inviatele dall’ex fidanzato di Ada (la sorella, appunto). La attendono sorprese.

Il nuovo film di Salvatores e’ un passo avanti ulteriore, nella sua filmografia di tutto rispetto. Non si ferma davanti ai generi, ed e’ capace di tutto, almeno cosi’ pare. Il film e’ godibile, intrigante, ha un ritmo mai blando ma neppure troppo veloce, dipinge una Bologna cupa e marginale, ambientando le scene con piu’ pathos sotto i portici che, per noi italiani, dopo l’omicidio Biagi hanno acquistato un sapore amaro (forse l’unico limite ‘’internazionale’’ del film in questione; chi, all’estero, capira’ questo rimando?), usa gli attori (tutti ottimi) in maniera giusta (la Baraldi e’ una grande scoperta, davvero affascinante), rende bellissimi omaggi al cinema e ad alcuni film basilari (non solo Ultimo tango a Parigi come il titolo indica), riesce a dare uno spessore al finale, apparentemente didascalico, mentre invece apre inquietanti riflessioni sulla verita’, e, come sempre, piazza una colonna sonora davvero rilevante (Pugni chiusi dei Ribelli ti prende alla gola).
Un’ottima prova.

20090515

sull'uso delle patate


Appena ho un momento, vi parlerò di questo film che ho appena visto. Si tratta de Il canto di Paloma, del quale vi allego la locandina in originale. Non vi svelo ancora niente, se non ne avete sentito parlare, sappiate solo che l'ho trovato magnifico. Il sottotitolo in castigliano recita "un viaggio dalla paura alla libertà", e lo trovo piuttosto centrato. Mi ero già dimenticato che questo film ha vinto l'Orso d'Oro a Berlino. Avendolo visto, dico che l'ha vinto a ragione.

La regista, così come l'ambientazione del film, è peruviana, e si chiama Claudia Llosa. La protagonista, fantastica, prendendo in prestito le parole dell'amica che era con me a vedere il film, che sembra una versione india di Carla Bruni, si chiama Magaly Solier, ed è anche cantante. Canta e recita in castigliano e in quechua, e in quechua pare abbia anche parlato durante la premiazione di Berlino.

fuera de carta


Fuori menù - di Nacho García Velilla 2009


Giudizio sintetico: si può vedere


Maxi è uno chef in gamba, creativo e raffinato, proprietario di Xantarella, un ristorante nel quartiere di Cheuca, a Madrid. Il ristorante non va benissimo a livello economico, ma Maxi, e con lui tutto il personale, spera di ricevere la visita di un ispettore della guida Michelin, per avere almeno una delle loro stelle, in modo da innalzare il prestigio del locale e migliorare così la situazione economica di conseguenza.

Maxi è omosessuale dichiarato, e vive la cosa con una certa soddisfazione; l'ambiente di lavoro è familiare, il personale giovane e affiatato. La sua sicurezza verrà compromessa da due fattori destabilizzanti: l'ingresso nella vita di Maxi e Alex (maitre femminile di Xantarella, grande amica, oltre che collega, di Alex, una donna costantemente alla ricerca dell'anima gemella ma piuttosto sfortunata) del nuovo vicino di Maxi, Horacio Peretti, un ex calciatore argentino che ha smesso di giocare per un grave infortunio e si è riciclato come allenatore giovanile ma soprattutto come commentatore sportivo televisivo, e del ritorno nella vita di Maxi dei due figli, Edu (15 anni) e Alba (6 anni). Ebbene si, Maxi era sposato, ed ha avuto due figli, che ha abbandonato molti anni prima. La morte della ex moglie costringe Maxi a farsi carico dei due giovani, con i quali, soprattutto con Edu, il rapporto è quasi inesistente e, per quel poco che c'è, tesissimo.


Film spagnolo, debutto alla regia cinematografica di Velilla, esperto regista e sceneggiatore televisivo, Fuori menù è una commedia piacevole e divertente, senza grandi pretese (non tenete conto di quel che c'è scritto sulla locandina, per carità: Almodóvar è un'altra cosa), paragonabile a Reinas, non raffinata (diverse battute sono piuttosto grette, ma descrivono l'atteggiamento machista e omofobo che, nonostante la Spagna a qualcuno sembri il Bengodi da quando c'è Zapatero, sopravvive nei confronti degli omosessuali e, purtroppo, è duro a morire), ma neppure volgare come una buona parte, tanto per fare un esempio, di quella italiana; inoltre, ha il pregio di abbracciare una buona serie di argomenti più che attuali, senza dare risposte certe, ma almeno sollevando i temi.

La provenienza televisiva si nota forse di più nella sceneggiatura (alla quale Velilla partecipa) che nella tecnica, tutto sommato buona, con alcune trovate carine nei "capoversi": alcuni passaggi dai disegni alle immagini reali danno il via alle scene. Il finale, però, non è sconvolgente, ma molto umano e non perfettamente quel che si dice un happy ending.

La direzione degli attori è discutibile. Javier Cámara (Maxi), che in Italia è conosciuto soprattutto per Parla con lei, ma è un attore molto esperto ed affermato in Spagna, mette in scena un gay molto stereotipato, un po' troppo macchiettistico, anche se strappa qualche sorriso; il cileno Benjamín Vicuña (Horacio), sconosciuto in Europa, interpreta un argentino. Visto in versione originale non se la cava male con l'accento, e l'interpretazione del gay che stenta a fare il coming out non è eccezionale, ma comunque apprezzabile. Molto meglio Lola Dueñas (Alex), vista anche in Mare dentro e Volver, e che vedremo tra poco nel nuovo Almodóvar Los abrazos rotos, a tratti irresistibile, e Fernando Tejero (Ramiro, uno dei cucinieri più anziani), visto in Crimen perfecto e, in una piccola parte, in I lunedi al sole.

Niente di eccezionale, ma neppure da buttare. Le critiche ottenute in patria mi sono sembrate eccessive.

sacchi e sacchetti


E' fantastica la capacità di quasi tutti i membri di questo governo Berlusconi di sentirsi sempre e comunque nel giusto e dalla parte della ragione. Nessun dubbio li sfiora, mai. E mi pare anche ovvio, con un "capo" del genere. Il Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali Maurizio Sacconi è uno dei più convinti, e la sua supponenza è seconda solo a quella di Brunetta.

Questo è il "teatrino" che è riuscito a inscenare in questi giorni, dopo quello vergognoso a proposito di Eluana Englaro di qualche mese fa. Da Repubblica.

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Il ministro del Welfare contestato durante un intervento alla Fiera di Roma

Stava criticando il Testo Unico sulla Sicurezza approvato dal governo Prodi
Sacconi fischiato replica ai contestatori

"Risparmiate ossigeno per il cervello"
E poi ha precisato: "Non ho diviso la platea. A fischiarmi è stata solo la Cgil"


ROMA - Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ha replicato stizzito oggi a chi lo ha fischiato durante gli 'Stati Generali delle Costruzioni' alla Fiera di Roma. Sacconi, nel suo intervento, stava criticando il Testo Unico sulla sicurezza scritto dal governo Prodi "a camere sciolte e in piena campagna elettorale senza - ha rimarcato il ministro di fronte alla platea di sindacati, costruttori e artigiani- nessun consenso di nessuna parte datoriale".

A quel punto sono partite le proteste di una parte della platea alle quali il ministro ha risposto secco: "Invito chi fischia a risparmiare ossigeno per il cervello. Noi abbiamo bisogno di tutta la nostra intelligenza per rendere effettiva le disposizioni di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro". Successivamente Sacconi ha affermato che a fischiarlo era stata esclusivamente la Cgil: "Non ho diviso la platea. Nella platea c'è la Cgil. Come al solito ho il consenso di tutti ma non quello della Cgil".

Modifiche al Testo Unico sulla sicurezza sono in corso da parte del ministro e sono nel mirino soprattutto della Cgil che infatti, anche oggi, le ha nuovamente criticate, invocando un ripensamento.
(14 maggio 2009)


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Faccio notare che qui, la CGIL è un po' come "la sinistra" nel caso Silvio/Veronica. C'è sempre "qualcuno" o "qualcosa" che funge da "colpevole". Come un disco rotto.

la città del peccato


Sin City – di Frank Miller e Robert Rodriguez 2005


Giudizio sintetico: da vedere


A Basin City regna la corruzione e il vizio. Marv vuole vendicare la prostituta Goldie, unica donna che gli ha fatto provare emozioni sconosciute, anche se solo per una notte, e scopre un intrigo insospettabile; Dwight si ritrova coinvolto nel mezzo di una battaglia tra prostitute e poliziotti per conservare territorio e privilegi, il poliziotto Hartigan si fa otto anni di carcere in isolamento per un crimine infamante che non ha commesso, e all’uscita si trova a dover ancora sbrogliare la matassa, che nel frattempo si e’ complicata ancor di piu’.

Tratto dalle bellissime tavole di Miller, che Rodriguez ha voluto di forza come co-regista (e che fa un cameo, il prete che ‘’confessa’’ Marv), il film riesce la’ dove molti hanno fallito, e ce la fa quasi completamente a ricreare il fascino e l’atmosfera del fumetto sullo schermo; frutto di un grande lavoro degli scenografi, dell’elaborazione al computer, e degli attori che hanno lavorato davanti a sfondi ‘’riempiti’’ in seguito.

Dei tre episodi, il primo risulta il migliore e piu’ coinvolgente, il secondo il piu’ debole e noioso, il terzo il piu’ morboso. Mirabile sintesi tra splatter e noir anni ’50, fra gli attori meglio gli uomini delle donne (grandiosi Rourke e Del Toro), ma impossibile non menzionare Rosario Dawson, spietata, bellissima e carismatica Gail, boss dell’esercito delle prostitute.
Non esente da pecche (come gia’ detto, il secondo episodio, che nemmeno la scena del dialogo surreale tra Dwight e Jackie Boy morto, diretta da Quentin Tarantino, riesce a sollevare), ma denso di fascino e scene da ricordare, rimane senz’altro un film da vedere, sempre che non vi disturbi troppo la violenza sullo schermo, o che magari qualche prelato non voglia interferire anche sui passatempi ludici.

20090514

estere strega mini tour 2009

venerdì 15 maggio 
dundee pub 
caleppio di settala (mi)
ore 22.00

ti aspetto numeroso!

la Rivoluzione Napoletana


Il resto di niente – di Antonietta De Lillo 2005


Giudizio sintetico: si può perdere


Eleonora Pimentel Fonseca, figlia di nobili portoghesi trasferitisi a Napoli quando lei era piccola, nel 1799 fu protagonista della Rivoluzione Napoletana. Il momento storico era di grande fermento, intellettuale e popolare al tempo stesso; i poveri stentano a vivere, i ricchi, o presunti tali, hanno problemi a conservare il loro stile di vita, Eleonora compresa. Vittima di un matrimonio sbagliato, ha il coraggio di ribellarsi. La sua passione per lo studio e la scrittura la porta a scrivere versi notevoli, mentre il suo amore per l’uguaglianza la conduce ad amicizie rivoluzionarie. Partecipa alla fondazione della Repubblica di Napoli, dirige il foglio dei repubblichini; ma non durera’ a lungo.

Film fortemente sostenuto dalla critica, girato con fondi scarsi, affronta una interessante pagina storica, mettendo in luce una figura dimenticata ma di grande carattere, femminista ante litteram, ma risulta completamente ingessato in una messa in scena di stampo teatrale, e molto duro da digerire per qualsiasi tipo di spettatore. A parte qualche eccezione, molti attori non all’altezza, una De Medeiros fin troppo nella parte (decisamente troppo addolorata), la scarsita’ di budget si nota nelle scene di battaglia e corali (le prime sostituite da schizzi, tutto meno che suggestivi, le seconde davvero poco ‘’corali’’), e anche se si apprezza lo sforzo, bisognerebbe riconoscere che il film ne esce ha davvero poco appeal. Se ne salvano poche cose, non abbastanza per consigliarlo.