No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20141130

Le mie preferite fantasie sbiadite

My Favourite Faded Fantasy - Damien Rice (2014)

Magari sarà pure facile, scrivere canzoni come quella che dà il titolo a questo terzo disco in dodici anni, dell'irlandese che risponde al nome di Damien Rice. Poi però arriva la seconda, It Takes a Lot To Know a Man, struggente soprattutto nella seconda parte "orchestrale", e poi The Greatest Bastard, e poi I Don't Want To Change You, e ti accorgi che anche con questo disco, Rice conferma semplicemente che Delicate, come recitava il titolo del primo pezzo del suo primo indimenticabile album O del 2002, è ancora l'aggettivo più adatto per descrivere la sua musica, e va inteso nella sua accezione più positiva possibile. Delicato, sognante, pieno d'amore e d'amarezza (perché, diciamocelo, spesso le due cose vanno purtroppo a braccetto), senza tamburi rullanti e senza troppo hype, il nuovo disco di Damien fa centro.

Funny thing, il disco è prodotto nientemeno che da Rick Rubin. Se non l'avessi letto, non ci avrei creduto, associandolo sempre, mentalmente, a cose più "dure".



"Delicate", was the title of the first song of the debut album by the irish songwriter Damien Rice. Delicate is still today, after three album, his music. So delicate. So beautiful. Damien Rice is one musician that keeps calm, he's not in a hurry. Indeed, this third album comes after eight years since "9", the previous. He talks about love, talks about women and men, talks about knowing the others, and, maybe, ourselves. A large use of horn section and archs, "My Favourite Faded Fantasy" goes from the intimacy of the acoustic (guitar) to the grandeur of a great orchestration, but keeps the force and, at the same time, its delicateness. 
Exactly.

20141127

Malta - Novembre 2014 (1)

Preparatevi perché stavolta ho fatto più di 100 fotografie. Come già potrete immaginare, non tutte sono belle. Forse nessuna. Come che sia, comincerò dalla ragione principale, dal luogo che ha fatto scaturire l'idea di questo viaggetto a Malta. Qualcuno di voi sa già di cosa si tratta. Altri lo scopriranno. Siamo sull'isola di Gozo, per cominciare.

20141126

1924

Downton Abbey - di Julian Fellowes - Stagione 5 (8 episodi) - ITV - 2014

1924. Alcuni abitanti di Downton sono letteralmente sconvolti dall'elezione del primo governo laburista; tra questi, Lord Robert e Carson soprattutto. Carson, tra l'altro, è imbarazzato dall'investitura che gli abitanti del villaggio gli donano. Si tratta della costruzione di un monumento ai caduti della guerra, e Carson è eletto a capo del comitato. Il capo maggiordomo accetta a patto che Lord Robert sia il presidente. La costruzione di questo monumento darà non pochi grattacapi.
Lady Edith non ha avuto ancora nessuna notizia dall'amato Gregson, e si è intrappolata da sola nella stranissima situazione di non poter fare da madre alla loro (di lei e di Gregson) figlia, "cedendola" ai Drewe, contadini affittuari, dopo un accordo con Tim, il capofamiglia.
Tom è sempre più vicino alla maestra del villaggio, la signorina Bunting, che non perde occasione per far imbestialire Lord Robert con le sue idee politiche; questo mette Tom in una situazione scomoda.
Daisy, da sempre convinta di essere stupida, si decide a migliorare, e comincia ad acquistare libri, e a prendere lezioni dalla stessa Miss Bunting, il tutto sotto la disapprovazione di Carson.
Jimmy continua ad essere "marcato stretto", sebbene a distanza, dalla sua antica datrice di lavoro, Lady Anstruther, e la cosa diventa pericolosa quando la Lady in questione "capita" a Downton.
Lord Merton insiste nel suo corteggiamento verso Isobel, e Violet sembra divertirsi a farli incontrare e poi a sottolineare la situazione sconveniente.
Molesley arriva a tingersi i capelli, nel tentativo di apparire più attraente a Miss Baxter, rendendosi ancora una volta ridicolo; Baxter che viene costretta a raccontare a Lady Cora del suo passato in prigione da uno spietato Thomas, che non riesce a mettere la Baxter contro Bates.
Lord Gillingham propone a Lady Mary una sorta di "prova matrimoniale", e Mary accetta.
Edith, sconvolta, provoca involontariamente un incendio, viene salvata da Thomas, mentre Robert, facendo il giro delle camere per evitare che qualcuno rimanga vittima dell'incendio, scopre Jimmy a letto con Lady Anstruther.

Approfittando della mia vacanziella a Malta sono riuscito a terminare quasi d'un fiato la quinta stagione di Downton Abbey, e ve ne voglio parlare prima che esca il Christmas Special (previsto proprio per il 25 dicembre 2014). La serie abbraccia tutto l'anno 1924, denota la flessione che avevamo già segnalato con la quarta stagione (la spada di damocle su Bates ci ha veramente fracassato i gioielli di famiglia, basta Fellowes!), ma rimane una irrinunciabile visione per chi, come noi, in fondo ama le telenovelas in salsa intellettualoide. Molto interessante il doppio link con il "concorrente" The Village: la costruzione del war memorial nel villaggio (la conseguente storyline di Ms. Patmore pare proprio quella dei Middleton), e le paure, o le grandi aspettative, generate dal primo governo laburista. Come vedete, siete condannati a vederveli entrambi.
Sempre spassose le freddure della contessa Violet, che però in questa quinta serie ci mostra anche un suo lato "umano". E' proprio una sua vecchia conoscenza, il principe Kuragin, che rappresenta una delle maggiori sorprese del cast di questa stagione: infatti, è interpretato magistralmente da una nostra vecchia conoscenza, il grande Rade Serbedzija (Prima della pioggia, che gli ha spalancato le porte di Hollywood).
Ascolti in lievissima flessione, ma non si scappa: ci sarà la sesta stagione.

20141125

in bolletta, ma con gusti costosi

Broke with Expensive Taste - Azealia Banks (2014)

So che mi ripeto, ma a volte bisogna osare. Naturalmente, non sto parlando di coraggio o di etica, solo di musica. Qualche giorno fa, mentre scrivevo dei Foo Fighters, su un sito di un giornale inglese, ho visto "passare" questa copertina, mi sono appuntato mentalmente il nome, e mi sono procurato il disco. Eccomi qui a parlarvene bene. Azealia Amanda Banks, 23 anni, nata a New York e cresciuta dalla madre insieme a due sorelle maggiori ad Harlem (il padre è morto di cancro quando lei era ancora molto piccola), si interessa al musical fin da giovane. Attorno al 2009 comincia a pubblicare musica su MySpace, firma per un'etichetta poi la lascia, prova con Youtube. Nel 2011 la notano BBC Media e Pitchfork. Nel 2012 pubblica un EP intitolato 1991. Quello di cui parliamo oggi, quindi, è il suo primo full lentgh. La signorina si definisce bisessuale, giusto per fare un po' di gossip. Quest'ultima cosa è poco importante, ma sicuramente a me la rende più simpatica.
Leggendo della sua musica, ho imparato una nuova etichetta: la musica di Azealia viene definita witch hop o anche witch house (in breve, hip hop orientato verso l'elettronica, e visivamente ammiccante all'occulto). Bene, anche se sono ormai anziano, devo dirvi che trovo il disco e la musica della signorina, piuttosto interessante, seppure ascoltandola mi è piuttosto chiaro quanto sia distante dalla musica con la quale sono cresciuto, o semplicemente mi sono avvicinato proprio alla musica in generale. Questo conta poco, ma è corretto sottolinearlo.
Azealia introduce tutte le sue influenze in un calderone superficialmente indefinibile ed imperscrutabile, ma se solo spenderete un poco di tempo a leggere quali sono (le sue influenze) e poi le "applicherete" all'ascolto di questo disco dal titolo già di per sé molto buffo, vi si aprirà un mondo. La new wave o la post new wave cucinata in salsa dance hip hop, ma influenzata pure dal bhangra o dal dub, è un qualcosa al quale non avevo mai pensato, eppure a questo mondo tutto è ormai possibile. Il risultato, come detto, è sorprendentemente piacevole; la ragazza ha talento, e potrebbe farci muovere il piedino per lungo tempo.



In these days, speaking of music (but not only), there are plenty of surprises, if only you have the time and the curiosity. Azealia Banks was one of them: I saw the cover of this "Broke with Expensive Taste" (great title by the way), searching around the web some material about the new Foo Fighters album. But, let me be absolutely clear: she has nothing to do with FF. Reading about her, I discovered a genre label that I had never heard before, I mean "witch hop". Anyway, her music is a cauldron of house, trip hop, hip hop, dance, electronic, bhangra, dub, new wave and r'n'b, and is surprisingly, for me, truly interesting.

20141124

workaholic

Secondo me sono al limite. Se leggete cosa dice Wikipedia della definizione workaholic, neologismo nato da qualche decennio a proposito delle persone troppo dedite al proprio lavoro al punto da non poterne fare a meno. Siamo nel campo dell'incertezza, infatti se leggete la versione italiana, catastrofica, dà per scontato che la "dipendenza dal lavoro" sia un disturbo ossessivo-compulsivo, quando in realtà non esiste una patologia del genere. Ad ogni modo, la situazione è questa: mentre scrivo queste righe di riflessione, alle quali pensavo già da un po', mi trovo sull'isola di Malta, in vacanza (da solo, rigorosamente) per qualche giorno, e sto scrivendo dal mio portatile di lavoro, portatile che mi sono portato (scusate la quasi ripetizione) appresso perché, e qui arriviamo alla svolta, ero cosciente che se avessi lasciato la mia casella di posta elettronica di lavoro non guardata per 5 giorni, al rientro avrei trovato un cumulo difficilmente affrontabile. Tra l'altro, rientrerò di sabato sera, e lunedì mattina (quando leggerete queste righe) ho già una serie di impegni, regolati dal calendar di gmail (posta adottata anche dalla società per cui lavoro), che mi renderebbero impossibile scremare centinaia di email. L'alternativa quindi, sarebbe stata scremarle la domenica, dopo 5 giorni di vacanza. In questo modo, invece, devo affrontarne "solo" un centinaio al giorno. Non oso pensare alle 2 settimane in cui voglio andare in Perù, il prossimo anno...
Detto questo, però, il sottile piacere di sentirsi collegato al proprio lavoro, vedere al tempo stesso che i miei colleghi se la stanno cavando egregiamente, ma che al tempo stesso alcuni miei interventi sono richiesti, questo sottile piacere c'è, è innegabile, e denota, se volete, un attaccamento estremo. Se ci unite il fatto che spesso il sabato vado in ufficio, e che mi porto dietro appunto il pc di lavoro per collegarmi anche in ferie, ecco perché vi dico che siamo al limite del workaholism.
Altri spiccioli di riflessione. E' passato quasi un anno da quando io e la mia squadra ci siamo accollati un cambiamento profondo nelle nostre responsabilità, e nonostante sono convinto che ci fossero dei gufi, io sono convinto che ce la siamo cavata egregiamente, ed ho avuto modo di avere, come si dice in ambito lavorativo, dei feedback estremamente positivi, di "sentire" che quelli che hanno a che fare con il nostro lavoro ci hanno in grande considerazione, e che ammettono che si trovano bene a lavorare con noi. Il merito va equamente distribuito, ovvio, ma visto che sono il responsabile/coordinatore di questa squadra (io e altre sei persone), è indubbio che devo prendermi le colpe quando qualcosa non funziona, ma posso pure prendermi parte del merito quando le cose vanno bene. Ecco, questo decisamente ha contribuito a rendermi parzialmente workaholic, estremamente responsabilizzato, molto preoccupato inizialmente, in seguito molto impegnato, spesso con la sensazione di affogare di lì a poco, e naturalmente sempre col pensiero al lavoro. Anche in ferie, quindi. Uniteci anche il fatto che non sono uno di quelli che riesce a spegnere il telefono, ed il gioco è fatto.
Qualche settimana fa, quasi all'unisono, un caro amico, lettore di questo blog, mi ha inviato il link ad un articolo su Il Fatto Quotidiano, dove nella rubrica "cervelli in fuga", si parlava della sua compagna, anche lei lettrice di questo blog. Visto che lei lavora per la NASA, mi sembrava il minimo. Dopo qualche giorno, sul giornale locale, è apparso un articolo sulla mia amica che lavora in Africa, con tanto di foto in prima pagina (sulla versione cronaca locale, ma tant'è). Credetemi se vi dico che nel leggere questi due articoli, in me c'è stata solo emozione e felicità, contentezza nel vedere riconosciuto un enorme sforzo di queste due donne capaci, meritevoli, coraggiose, e, chissà come, anche amiche mie. Solo dopo qualche giorno mi sono chiesto se quello che voglio è un articolo di giornale dedicato a me. La risposta è no. Mi accontento di qualche soldo in più, e magari, più avanti, di qualche benefit, se ci arriverò, giusto così, per divertimento. Sono già molto, molto felice con quello che ho, come vi ho detto in altre occasioni, molto contento del fatto che mi paghino per viaggiare ogni tanto, e spero vivamente che tra qualche anno la mia funzione si evolva in una che abbisogna di viaggiare ogni settimana, per essere svolta al meglio.
Non so se questo mio lieve (forse) workaholism mi porterà ad essere uno di quegli anziani che vanno in depressione al momento della pensione, accadimento ancora abbastanza lontano. Però una speranza c'è: anche durante questo mio viaggetto mi sono ritrovato a pensare come sarebbe abitare qui dopo la pensione... magari sono ancora salvabile.
Una novità nel mio ufficio (tra l'altro, non richiesta, ma ben accetta perché serve, ogni tanto): un piccolo tavolo per riunioni. Dopo una breve riflessione, l'ho sistemato in questo modo, dando sfogo al mio estro di arredatore frustrato.

20141123

Bruxelles (Belgio) - Novembre 2014 (2)

Il venerdì mattina me lo prendo di ferie. L'appuntamento con una collega che ormai è una cara amica, è alle 10 in Place du Grand Sablon, giusto accanto al museo che voglio visitare. Per arrivare in centro c'è un po' di traffico, ma nemmeno troppo. Attraverso la zona "monumentale" (il palazzo reale), ed arrivo nella piazza dell'appuntamento. Parcheggio, e cerco la colonnina per pagare. Si paga con carta di credito. Le meraviglie dei paesi evoluti. Già per una cosa del genere mi esalto. Il tempo è inclemente: pioviggina fastidiosamente. Ma ho l'ombrellino portatile verde pisello comprato solo qualche settimana prima a Xanten. Particolare curioso, ne ho un altro, amaranto, comprato a Berlino anni fa. Arriva la mia accompagnatrice, e ci prendiamo subito un caffé (non di quelli che piacciono a me) in un localino che dà sulla piazza, teatro di un mercatino dell'usato in determinati giorni. L'amica mi spiega che questo è un quartiere di fighetti, quello dove "vieni a far vedere la macchina nuova". Preso il caffè, giriamo l'angolo ed eccoci al museo reale delle belle arti del Belgio. In realtà sono quattro diversi musei collegati tra di loro, e ce ne sono altri due indipendenti ma lì di fianco. E' ribattezzato Bozar (Beaux Arts). Ci limitiamo a quello denominato Old Masters. Edificio freddo e maestoso, ci sono un sacco di bambini, con le loro maestre, seduti in terra di fronte ai dipinti, con le maestre che addirittura spiegano loro, oltre al significato delle opere, le tecniche di pittura. Ci facciamo un giro osservando i dipinti e disquisendo su quanto la religione cattolica ha influenzato la pittura europea fino almeno al 1800. I pezzi da novanta, quelli che interessano a me, sono i due Bosch, Crocifissione con donatore e il Trittico delle Tentazioni di Sant'Antonio (ma questo dev'essere una delle tante copie, pare che l'originale sia a Lisbona). Naturalmente anche tutti quelli dei vari Bruegel, influenzati moltissimo dal Bosch. Non ci attardiamo troppo, ha smesso di piovere, usciamo e ci facciamo un bel giro del centro, fino alla Grand-Place. L'amica mi spiega curiosità, origini, e altre cose interessanti. Ci fermiamo a mangiare un panino in un posto che lei conosce, ci beviamo un caffè e ci fumiamo una sigaretta, prima di tornare verso l'auto e salutarci, alla prossima.
Torno verso la sede per farmi una mezza giornata di lavoro. Arrivo nel solito ufficione dove tutti lavorano a testa bassa, saluto, scremo le email, rispondo a qualche domanda, c'è in arrivo un'emergenza che mi industrio ad affrontare per la prossima settimana. Salgo di un piano, per andare a salutare altre conoscenze. Rimango fino a tardi, l'ultimo ad andarsene è l'ultimo assunto, un ragazzo giovanissimo (25 anni, che bellezza) del quale abbiamo parlato col suo capo, scopro che parla un po' d'italiano perché la sua fidanzata è belga ma ha i genitori (o i nonni) sardi, ed ogni anno visitano l'isola. Lo lascio andare, mi trattengo fino oltre alle 19. Mi avvio verso l'uscita, riconsegno il pass. Decido di riprovare col ristorante spagnolo, La Hacienda, e stasera lo trovo aperto. Tutti parlano spagnolo, quindi sono a mio agio. Il proprietario, Angel, è un bel personaggino, il ristorante è di una certa classe (in bagno ci sono gli asciugamani veri, di quelli che ti asciughi e li butti nel cestino degli sporchi), e si, sono soddisfatto. Rientro contento, che pure con la mezza giornata (abbondante) di ferie, il lavoro è andato avanti come al solito, veloce come un treno, e stare a contatto con le persone con cui si lavora normalmente via email fa sempre bene. Non scendo in particolari, ma una persona in particolare si è profusa in complimenti imbarazzanti (vuole a tutti i costi che diventi il suo capo), e il mio impegno per il prossimo anno dovrà essere quello di riuscire a portare con me, un po' alla volta, i miei collaboratori in queste "incursioni" alla sede centrale, perché anche loro riescano a capire quello che intendo. La parte particolarmente soddisfacente è che la sensazione che porto a casa con me, è che il lavoro che abbiamo fatto, io e la mia squadra, in questo anno, è stata particolarmente apprezzato. Mi vedo un telefilm o due, e, come uso dire, dormo il sonno dei giusti. Quasi dimenticandomi la ragazza mulatta alla reception, che mi ricorda Zadie Smith.
Sabato mattina, ultima colazione al The Lodge. Trolley pronto. Via. Faccio rifornimento, non senza qualche difficoltà. Arrivo in aeroporto, lascio l'auto, non ho fatto il check in on line, cerco il banco, spiego alla ragazza del check in come si pronuncia, in Italia, la esse di Pisa (in due modi), su sua richiesta. Mi spavento di fronte ad una fila interminabile ai controlli, poi mi accorgo che non è il mio gruppo di gates. Vado oltre. Mi fermo a comprare i classici cioccolatini per i colleghi (la collega più anziana dice che è tradizione, e quindi ogni volta che vado a Bruxelles torno indietro con almeno un kg. di cioccolatini belgi). Passo i controlli. Rimetto la cintura. Arrivo al gate. Imbarco. Si vola verso casa. Si arriva a Roma, e si aspetta. Mi imbarco sul Roma-Pisa, che parte in ritardo as usual. Scatto qualche foto in volo. Arrivo e scopro che, per i lavori della metropolitana di superficie pisana, il Pisa Mover, hanno chiuso la scorciatoia per arrivare al solito parcheggio "tattico" dove lascio l'auto. Vabbè. Anche questa è andata. Alla prossima, of course.
Le Alpi sono sempre uno spettacolo
L'Isola del Giglio. Finalmente senza la Concordia.
Pianosa
Capraia
Gorgona

20141121

Legato a una stella

Tied To a Star - J Mascis (2014)

Credo non ci sia bisogno di ribadire quanto si rispetti ogni cosa che fa ed ha fatto J Mascis (per chi fosse nato ieri, voce e chitarra dei Dinosaur Jr). Lo si ama, questo cucciolone di cinquant'anni con lunghi capelli grigi, con un gusto straordinario per le distorsioni di chitarra, i grandi assoli, il figlio illegittimo di Neil Young, sia per gli assoli, sia perché quando canta sembra spesso una versione ubriaca del Nello canadese. Quindi, accogliamo questo disco acustico, successore di Several Shades Of Why del 2011, con gioia, seppure, c'è da dirlo piuttosto onestamente, il disco in sé non sia niente di trascendentale (a parte la solita eccezionale copertina). Partecipazioni di Pall Jenkins (Black Heart Procession), Ken Maiuri (Young@Heart chorus), Mark Mulcahy (Miracle Legion) e Chan Marshall (Cat Power, su Wide Awake), Tied To a Star è il solito "lamento" di classe di J, che non dirà niente di nuovo, ma che è sempre splendido negli arpeggi di acustica e maledettamente ficcante negli assoli elettrici. E, cribbio, se sa scrivere canzoni.



Who read these pages knows that here we have maximum respect for J Mascis. So, even if this new acoustic album "Tied To a Star", successor of "Several Shades Of Why" (2011) isn't the end of the world, I like it. Period. This man has a unique taste, in playing guitar: one of the best.

20141120

Bruxelles (Belgio) - Novembre 2014 (1)

Eh si, spero che dovrete farci l'abitudine, ai miei viaggi a Bruxelles. Stavolta l'occasione era una riunione di lavoro fissata per un giovedì, non c'era nessuna impellenza alla base, per cui mi sono organizzato con una partenza nel primo pomeriggio del mercoledì, una mezza giornata "off" il venerdì mattina per visitare il centro e in particolare il museo Bozar (delle Belle Arti), lavorare dalla sede centrale il venerdì pomeriggio, e tornare con tutta calma il sabato mattina.
Stavolta però, voglio arrivare all'aeroporto "centrale" di Bruxelles, il Bruxelles-National, o semplicemente Zaventem, molto più vicino alla sede e al sobborgo dove voglio soggiornare, a dieci minuti d'auto dalla sede e senza il traffico del centro. Quindi, la scelta cade su Alitalia, Pisa-Roma-Bruxelles.
Arrivo con congruo anticipo a Pisa, per evitare la ressa all'imbarco (Alitalia imbarca sempre dal gate 1, e nonostante l'anticipo devo fare lo slalom tra due code - ai gates 4 e 5 - Ryanair), e purtroppo la nuvolosità non mi fa godere la bellezza del Pisa-Roma, rotta che vola esattamente sopra la costa tirrenica fino a Fiumicino. La sosta a Roma mi permette il pranzo, e il tempo di fumarmi una sigaretta dopo il caffé: è la prima volta a Roma e posso testimoniarvi che le sale fumo di Fiumicino sono da aeroporto del Terzo Mondo. Vergogna. Lunga coda all'imbarco per Bruxelles, ritardo ormai cronico per Alitalia e da Fiumicino, arrivo quasi un'ora dopo. Mi ero fatto una strana idea di Zaventem, forse perché mai considerato, invece è un grande aeroporto. Molta strada per arrivare al noleggio auto, ma alla fine la scelta "preferred" (una carta di fidelizzazione dell'autonoleggio che ormai ho scelto come preferito) paga: nessuna coda, solo una firma, dritto verso il ritiro. Installo il GPS e via verso l'hotel. Quando arrivo in zona, ci metto un poco a trovarlo, nonostante gli stia girando intorno (in realtà gli passo proprio davanti, me ne accorgerò dopo), le indicazioni non sono chiarissime, la zona è piuttosto deserta nonostante ci siano anche due grossi palazzi residenziali. Però sono troppo contento di aver scelto questo hotel, ricavato in un'antica casa di correzione.
Mi sistemo e s'è fatta l'ora di cena. Controllo gli indirizzi di ristoranti nella zona che mi parevano interessanti, e mi pare che uno di questi sia proprio lì accanto, quindi visto che il cielo non promette nulla di buono, esco, attraverso un pratino, e cerco l'entrata del Canal (è giusto in riva al canale che divide Vilvoorde), mi sembra a posto, mi siedo e ordino. Rimango soddisfatto, rientro e approfitto del wifi per lavorare un po', mentre alla tele danno Ajax - Barcellona.
In volo verso BXL
Il ponte sulla Vuurkruisenlaan, giusto davanti all'hotel e al Canal.
Uno scorcio del canale Willebroek, giusto di fronte al ristorante Canal (e dove sennò!)

La mattina seguente mi preparo, scendo per la colazione in una sala non enorme ma molto carina, poi esco con "la cartella" (pc e varie stampe di lavoro, alcune delle quali mi sono "studiato" nelle attese agli aeroporti), metto in moto e vado. Identificazione all'ingresso, pass ed eccomi nel grande ufficio del Front Office prima delle 8,00, dove conosco già quasi tutte e tutti. Saluti, conosco facce nuove ma con le quali ormai c'è una scambio di email e chat lavorativo praticamente ogni giorno, si parla di lavoro. Alle 10,30 ho questa riunione, passo nell'ufficio di uno dei convocati e insieme andiamo in un altro ufficio, dove la riunione si tiene. Due li conosco già, il terzo lo incontro oggi per la prima volta. Si comincia, si va avanti fino all'ora di pranzo, scendiamo al ristorante aziendale, incontro altre facce conosciute. Rientriamo per terminare i lavori e tirare le prime somme. L'incontro si conclude anche prima del previsto. Come avrò modo di dire ad una collega il giorno seguente, sono ancora un novellino quindi ogni volta che sono invitato a riunioni di un certo livello sono sempre convinto che sarò il più scemo della stanza, e invece la mia parte la faccio, non devo giudicare me stesso ma c'è di che essere soddisfatti. Scremo un po' di email, e affronto un paio di situazioni che alcune ragazze del Front mi sottopongono. Rimango da solo, dopo che tutti se ne sono andati, faccio le 19, esco pure io. Vado in cerca di un altro ristorante che mi ero segnato, un ristorante spagnolo, vicino all'hotel ma dalla parte opposta del canale. E' chiuso, stranamente. Giro un po' nel centro di Vilvoorde, ci sarebbe un egiziano che potrei anche provare, ma alla fine si è fatta una certa e ripiego sul Canal, del resto mi son trovato molto bene la sera prima. Stasera le mie scelte di menù sono un poco più arrischiate, ma mi accontento. Rientro abbastanza presto, non c'è lavoro arretrato, quindi mi concedo un paio di telefilm (il televisore ha l'ingresso USB).

La mia stanza al The Lodge. La finestra con le sbarre è, come potete facilmente intuire, finta, così come la crepa nel muro.
La sala colazione, "allungata" ad arte da un'altro trompe l'oeil raffigurante gli antichi corridoi della casa di correzione.

20141119

Semi

Seeds - TV on the Radio (2014)

Non riesco a spiegare bene i miei preconcetti verso la band di Brooklyn, New York. Ma posso provare a sintetizzarli: non sopporto quando arriva una nuova band, e gli appassionati di musica gridano al miracolo perché fa figo. I TV on the Radio hanno raffigurato per diversi anni il detonatore per fenomeni di questo genere: vengono da New York, amano Bowie, sono rock ma anche elettronici, sono in gran parte di colore, vestono casual, finto trasandato, insomma, sono fighi. Probabilmente mi sono sbagliato, ma mi pareva che non si riuscissero a giudicare effettivamente per quello che facevano in musica.

Ora, una regola che provo a darmi quando parlo di dischi, è essere obiettivo. Certo, spesso per giudicare le band si pensa anche a quello che hanno fatto in passato, ma a volte bisogna dare alla cosa il giusto peso. Non è che i TVOTR siano stati delle schiappe, anzi, che sapessero scrivere canzoni era innegabile (che abbiano inventato qualcosa, quello è un altro discorso), ma c'era sempre troppo hype e poca (appunto) obiettività verso di loro (ho l'impressione che all'estero fossero più equilibrati, ma è solo un'impressione la mia). Tutti questi discorsi vengono a mancare davanti a questo disco, che è uno dei loro migliori secondo me. Sono molto d'accordo con la recensione di Dave Simpson su The Guardian, già dal titolo ("Pop emerges from darkness"). Appare evidente che la morte del bassista Gerard Smith (avvenuta nel 2011, per un cancro al fegato) ha inciso sugli umori dei restanti componenti. E, paradossalmente, appare a me molto più evidente cosa mettono in musica i TVOTR. Semplicemente una modernizzazione del mood delle grandi band della new wave, soprattutto inglese, con tocchi di classe, coretti black, elettronica dosata, buon songwriting, emozioni e una bella strizzata d'occhio al pop, alla musica popolare, ai ritornelli catchy, ora più che mai, voglio dire, su questo disco. Test Pilot (che, sempre Simpson definisce, insieme alla seguente Love Stained, "almost-adult oriented rock", favoloso), ma pure il singolo Happy Idiot, ne sono la scintillante testimonianza. Meglio di Bowie no, ma sulla buona strada. Alternative non troppo, forse prima, ma adesso sono decisamente più piacevoli da ascoltare. Sulla loro scheda Wikipedia c'è scritto indie rock: a me verrebbe da rispondere in due maniere, entrambe in inglese. La prima è "really?". La seconda è "I don't think so". Ma, in definitiva, gran bel disco. Chi se ne frega del genere.



I always hated all the hype on TVOTR. It seemed to me that there wasn't the right objectivity on judging their works. But, maybe, it was my impression, maybe it was my fault. The fact is, that this new album is a beauty. It's undeniable that the death of the bassist Gerard Smith (2011, lung cancer) had an impact on life and music of TVOTR. Paradoxically, was positive. And now, I'm able to see what they really want to do. A sort of pop prosecution of the big bands of the eighties new wave (especially english).

I totally agree with Dave Simpson that, on The Guardian, wrote "Pop emerges from darkness", and defines two songs of this "Seeds", "Test Pilot" and "Love Stained", with a wonderful neologism, "almost-adult oriented rock". But, believe me, all the album is good. As I told you: is a beauty. Finally.

20141118

Guerra eterna

War Eternal - Arch Enemy (2014)

Gli svedesi Arch Enemy, creatura melodic death metal pensata da Michael Amott, figura prominente nel campo del metal estremo, chitarrista dotato e instancabile lavoratore, già nei Carnage, poi con i Carcass (anche in Heartwork) e con gli Spiritual Beggars, mi hanno sempre incuriosito, soprattutto perché, da dopo l'abbandono (voluto soprattutto da Amott Michael, precisazione dovuta perché nella band ha militato per anni anche il fratello Christopher) del cantante Johan Liiva, avvenuta tra il 2000 ed il 2001, fu sostituito da una donna, la giornalista (e cantante) tedesca Angela Gossow, piacente e soprattutto, dotata di un growling impressionante. Ma, per dirvi proprio tutta la verità, così come per altre band, li ho ascoltati senza particolare attenzione.
Stavolta, con l'uscita del nuovo War Eternal, ho deciso di approfondire: è piuttosto superfluo spiegarvi che la decisione è stata indotta dall'avvenenza particolare della nuova cantante, la canadese Alissa White-Gluz, anche lei dotata di un impressionante growling, già negli Agonist, dove alternava la tecnica del growling alle clean vocals.
Bene, devo dire che il disco è piacevole, perfino "leggero" sotto alcuni punti di vista. Le chitarre sono ovviamente graffianti, le ritmiche, gli assoli, l'uso degli armonici molto ricercati, la durezza complessiva è naturalmente un punto di forza, il cantato di Alissa potente e paradossalmente, melodico, ma nel complesso l'aggettivo melodic è più che giustificato. Importanti pure certe influenze sinfoniche, ben presenti, ma mai esagerate e stucchevoli come spesso accade con alcune band scandinave. Una serie di elementi ben bilanciati, per un risultato, come detto, piacevole, e sorprendentemente "vendibile". E' scontato dirvi che se non siete abituati al cantato in growling, avrete bisogno di un po' di tempo per digerirlo, soprattutto sapendo che proviene da un'ugola femminile, e particolarmente piacevole agli occhi (testimone né è il fatto che gli Arch Enemy fanno un uso intensivo di videoclip...).
Nelle bonus tracks, nelle varie versioni dell'album, potrete trovare due cover quantomeno curiose: Shadow on the Wall di Mike Oldfield e la mitologica Breaking the Law degli immarcescibili Judas Priest.
Altra curiosità da sottolineare, è che la Gossow è rimasta nella band con la funzione di business manager, approvando la scelta della White-Gluz come sua succeditrice.



It's undeniable that my interest for the swedish band Arch Enemy, founded by Michael Amott (Carnage, Carcass, Spiritual Beggars), depends on the good looking of the two female singers, first the german Angela Gossow, now the canadian Alissa White-Gluz. Anyway, the label "melodic death metal" is guessed about the style of Arch Enemy. Very good use of the guitars, in rythmic, solos and harmonic, impressive growling voice (especially if you think that is coming from a feminine ugola), and a dosed use of symphonic mood (read: string section). It's almost a paradox, but this kind of music is, today, enough commercial. But there's a pleasure in the listening.

20141117

Canzoni notturne / Lungo e freddo inverno

Night Songs - Cinderella (1986)
Long Cold Winter - Cinderella (1988)

Sempre stuzzicato dall'uomo che ascolta musica di merda (a parte quando ascolta quello che piace anche a me), ma ci crede terribilmente, mi sono convinto a riascoltare i primi due dischi della band statunitense che tutt'ora risponde al nome di Cinderella. Ve ne ho parlato sommariamente qua, descrivendovi l'unica volta che li ho visti in concerto, e dopo tanti anni l'impressione è sempre la stessa: ascoltare la band di Tom Kiefer è come ascoltare gli AC/DC che decidono di fare le cose un po' più complicate, o semplicemente dei loro inediti. Certo, un giudizio di questo tipo è un po' sommario; però c'è da dire che il suono è leggermente differente (i Cinderella erano un po' glam, un po' street, e quindi il suono andava di conseguenza), ma le radici sono assolutamente le stesse: hard blues, col cantato perennemente in falsetto. Ci sono poi le differenze di, chiamiamole così, direzione, gli statunitensi indulgevano spesso in ballads [Nobody's Fool, Don't Know What You Got (Till It's Gone), Long Cold Winter - che però è un bluesone coi controcazzi -, Coming Home], e quelle anagrafiche, gli statunitensi sono venuti molto dopo, ma, se li conoscete o se li ascolterete per curiosità, dovrete ammettere che l'accostamento non è certo campato per aria.

I Cinderella nascono nei sobborghi di Philadelphia, Pennsylvania, per mano di Tom Keifer, chitarra e voce, e del bassista Eric Brittingham, attorno al 1983, ed includono nella formazione originale l'altro chitarrista Michael Smerick ed il batterista Tony Destra (morto pochi anni dopo in un incidente automobilistico); questi ultimi due musicisti, poco prima del debut album, lasciano la band per formarne un'altra, i Britny Fox. Giusto per curiosità, i Britny Fox sono stati una di quelle band che mi ha sempre inviato materiale promozionale, demo ed aggiornamenti fin dalla loro formazione (dovrei avere ancora, qui da qualche parte, la musicassetta del loro debutto In America, del 1987). Ma torniamo ai nostri: notati da Gene Simmons (non mi dite che non sapete chi è), li propone alla Polygram, che rifiuta. Poi vengono notati da Jon Bon Jovi (potrete notare che la band gli è riconoscente nel video allegato), che li propone alla A&R, ed il contratto arriva.
I primi due dischi, dei quali vi parlo in questa occasione, sono, a riascoltarli oggi, non interamente validi, ma dimostrano la grande capacità di songwriting di Keifer, rivelano molte killer songs, e risultano tutt'ora validi. Night Songs, Shake Me, Nobody's Fool, Somebody Save Me e Push Push dal primo disco, e Gypsy Road, Don't Know What You Got (Till It's Gone), Long Cold Winter, If You Don't Like It, Coming Home dal secondo, sono grandi pezzi, degni di essere riascoltati a distanza di quasi trent'anni; aggiungo una nota personale, se da una parte è molto bello accorgersi che, appunto, quasi trent'anni fa si stava "ascoltando le cose giuste", dall'altra è molto buffo ricordarsi (come scrissi tra le righe qui) che, in quel periodo, qualsiasi cosa richiamasse il glam rock era malvisto dai puristi heavy metal, ed in seguito l'ascolto di band come queste mal si conciliava con quello della sacra triade del thrash metal (Metallica/Exodus/Slayer). Alla fine, tutto serve per prendersi meno sul serio.
Per la cronaca spicciola, i Cinderella hanno inciso altri due dischi in studio, Heartbreak Hotel nel 1990 e Still Climbing nel 1994, ma dopo Heartbreak Station sono cominciati i problemi alle corde vocali per Keifer. Scopro adesso, facendo "ricerche" per scrivervi queste righe, che lo stesso Tom ha fatto uscire anche un disco solista nel 2013, The Way Life Goes, che naturalmente mi accingo ad ascoltare.



Cinderella were a band that I loved in the final eighties, and in the early nineties, but without shout it out loud, because of my "commitment" with thrash metal. Fortunately, today I'm a grown up man, and I can joke about that. Anyway, the first two records of the Philadelphia suburbs' band Cinderella, are still good and listenable with pleasure. Tom Keifer, founder, leader, main songwriter, lead singer and guitarist, had a magic touch and a fine taste for hard blues. There are many wonderful songs in these two albums, so if you are curious, please listen to them. And, remember, as they sings in their second album, "If you don't like it, I don't care".

20141116

svolta

Turning - Antony and The Johnsons (2014)

L'amico Monty, che insieme all'amico Filo si prodigano costantemente segnalandomi le nuove uscite discografiche (che corroboro poi con letture varie), qualche giorno fa mi segnalava l'uscita di un "nuovo" disco di Antony. Me lo sono procurato ed ho proceduto all'ascolto, scoprendo "solo" un disco live con una scaletta che definirei datata se non fosse che, spesso, questo aggettivo viene letto con un'accezione negativa.
Naturalmente, mi sono prontamente domandato "a che pro". La risposta c'è, e sta nel fatto che questo cd esce con un cofanetto che contiene l'omonimo film-documentario diretto da Charles Atlas, video-artista particolarmente attento alla danza (il tour in questione vedeva le performance di un gruppo di transgender accompagnare i concerti di Antony).
Rimanendo focalizzati strettamente sulla musica, la performance, datata 2006 e registrata al Barbican di Londra, è, lasciatemelo dire, straordinaria. Accompagnato da musicisti di livello altissimo (Maxim Moston, Thomas Bartlett, Rob Moose, Jeff Langston, Julia Kent e Parker Kindred - già batterista per Joan Wasser), il disco racchiude 17 pezzi, le cui versioni originali si trovano nei primi tre dischi di Antony, il debutto omonimo, I Am a Bird Now e The Crying Light (che è uscito dopo tre anni da questa performance), e le versioni sono talmente belle che ti fanno dimenticare quante volte hai già ascoltato quei pezzi, e ti fanno dimenticare pure la domanda iniziale (a che pro).
Vi ho già parlato molto di Antony, basta che digitiate antony and the johnsons nell'apposito spazio bianco in alto a sinistra per le ricerche, quindi non aggiungo molto altro, se non che, appunto, dinnanzi a cotanta bellezza, ci si dimentica che ormai l'ultima uscita fatta di pezzi originali risale al 2010 (Swanlights), e che questo è il terzo disco live di seguito, dopo Cut the World (2012) e Del suo veloce volo (2013), quest'ultimo con Franco Battiato.
I Fell in Love With A Dead Boy, Hope There's Someone e, naturalmente, You Are My Sister, sono pezzi che rimarranno nel tempo, e che dovrebbero rappresentarci in un eventuale contatto con gli alieni, se volessimo fare bella figura.



Even though this is the third album live in the last three years, and the last original Antony's album was "Swanslight" in 2010, it's not possible get bored listening Antony's voice and songs. This concert was recorded in 2006 at Barbican, London, and it's out now with a box containing a docu-film omonimous shooted by Charles Atlas; the film is about 13 transgender and their lives. These transgender have accompanied Antony on stage during that tour, with their performances. But here we talk about music, and as I told you, the versions of these "old" Antony's songs are wonderful.

20141114

No One Goes Quietly

Boardwalk Empire - di Terence Winter - Stagione 5 (8 episodi; HBO) - 2014

1931. Nucky si è autoesiliato a Cuba, insieme a Sally, e sta cercando di concludere un affare con la Bacardi Rum: vuole l'esclusiva per la distribuzione negli Stati Uniti, è certo che il Volstead Act sarà abolito di lì a poco. Ma un bel giorno, mentre pranza, Nucky si imbatte in Meyer Lansky, e lui preso alla sprovvista gli dice che è lì in vacanza con la moglie. Nucky non gli crede nemmeno un po', tanto è vero che la sera stessa viene salvato dal fido bodyguard cubano Arquimedes da un attentato alla sua vita.
A New York, Luciano organizza un incontro con Joe Masseria a proposito del gangster rivale, Salvatore Maranzano, e verso la fine dell'incontro lascia Masseria da solo con la scusa di andare al bagno. Masseria viene massacrato da Bugsy Siegel e Tonino Sandrelli. La scalata al potere da parte di Lucky Luciano ha appena avuto inizio. Il gangster dall'occhio socchiuso si presenta quindi al cospetto di Maranzano, e giura fedeltà.
Chalky, intanto, è costretto ai lavori forzati, ma durante una rivolta riesce a fuggire, purtroppo per lui in compagnia di Milton, un tipetto instabile e decisamente poco raccomandabile.
Margaret sta facendo carriera nel suo lavoro, ma il suo impiego diviene a rischio quando il suo capo si suicida improvvisamente davanti a tutto l'ufficio.
Tra una scena e l'altra, attraverso numerosi flashback, finalmente scopriamo l'infanzia di Enoch ed Eli, il loro rapporto conflittuale con il padre, e la conoscenza di Enoch con un giovane Commodoro.

Finisce così una grande serie televisiva, forse passata in secondo piano per l'abbondanza degli ultimi anni, o forse, visto l'incedere decisamente cinematografico, inadatta a tutti i palati. Devo dire che ho apprezzato molto questa ultima stagione, forse ancor più lenta, ma decisamente grandiosa proprio perché finalizza praticamente tutte le storie, e quasi tutti i personaggi, introducendone di nuovi (uno su tutti, Joseph P. Kennedy, il padre di John Fitzgerald e Bob - tra gli altri -, interpretato devo dire degnamente da Matt Letscher). Ancora una volta da seguire con attenzione, un po' per i numerosi riferimenti storici (buona parte dei personaggi, come avrete notato dai link, sono realmente esistiti), un po' per i dialoghi epici, un po' per la tendenza a mettere in scena un susseguirsi di scene madri, con quel respiro tipico alla Scorsese (che, ricordiamolo ancora una volta, ha diretto il pilot della serie, e figura tra i produttori esecutivi), che ha fatto scuola, e che probabilmente viene direttamente da Sergio Leone (che forse si prendeva meno sul serio). La qualità complessiva di questa serie è stata eccellente, e ci ha ricordato, se ce ne fosse stato ancora bisogno, quanto è bravo Steve Buscemi (Enoch), senza parlare dell'immenso e meraviglioso cast, al punto che nominando qualcun altro faremmo un grave torto al resto.
Se non l'avete fatto, recuperatela, perché, fortunatamente, al giorno d'oggi le cose belle in tv si affastellano l'una sull'altra...

20141113

cassettina 13 - Let's Start Again

Rival Sons Electric Man
John Mayer Dear Marie
FKA twigs Two Weeks
Paolo Nutini Better Man
The Last Internationale Wanted Man
Taylor Swift Shake It Off
Lykke Li Never Gonna Love Again
Sammy Hagar Margaritaville
The Raveonettes Sisters
Zola Jesus Dangerous Days
Sharon Van Etten Every Time the Sun Comes Up
Bush Let Yourself Go
Phantogram Black Out Days
Interpol All the Rage Back Home
Jack White Lazaretto
Natalie Merchant Go Down Moses



Le cassettine precedenti.

20141112

mille forme di paura

1000 Forms of Fear - Sia (2014)

Qualcuno di voi sicuramente si ricorderà di Sia Furler, cantautrice australiana che ci fece piangere "a fontana" con la sua Breathe Me abbinata alla straziante scena conclusiva della serie tv Six Feet Under. Mi feci un'idea di lei e della sua musica con quel disco, Colour the Small One (2004), e con il seguente Some People Have Real Problems (2008), terzo e quarto, e rimasi completamente spiazzato dal quinto We Are Born, del 2010, un disco ballabile, tanto per piazzare un aggettivo comprensibile a tutti. Mi sbagliavo, naturalmente, visto che quel disco ha spaccato, l'ha fatta conoscere in tutto il mondo, e ha venduto una cifra. Disco che ha significato molto, sia nella carriera che nella vita dell'artista australiana di Adelaide. Infatti, se da una parte in molti indicano che l'essere molto più upbeat di We Are Born fosse dovuto alla relazione di Sia con JD Samson, musicista (lesbica) già con Le Tigre (le due hanno rotto, e adesso Sia si è sposata con il regista Erik Anders Lang), il grande successo derivato da quel disco porta Sia ad un periodo di depressione, dipendenze da alcol e droghe, fino a contemplare l'ipotesi del suicidio: il tutto, principalmente, per la paura di diventare famosa. Ritroveremo questa paura nella negazione di supportare questo nuovo disco (uscito nel luglio 2014) con tour, foto promozionali e perfino ad esibirsi spalle al pubblico durante apparizioni televisive [e ovviamente a non apparire nei video, e ad identificare la sua figura in un caschetto biondo, la sua pettinatura classica, quello che appare sulla copertina e quello che indossa la bambina del video di Chandelier, o che ha fatto indossare a Lena Dunham (Girls) per una performance di ballo durante un'altra apparizione tv, mentre Sia cantava a faccia in giù sdraiata su un letto]. Tornando invece all'attitudine dance pop di Sia, c'è da sottolineare, qualcuno se ne sarà accorto, che prima di tornare con questo 1000 Forms of Fear, Sia ha ricevuto un enorme successo collaborando con David Guetta per Titanium e She Wolf (Falling To Pieces), ma, e questo lo sanno meno persone, anche per aver co-scritto hit mondiali quali Wild Ones di Flo Rida, Diamonds di Rihanna, Perfume di Britney Spears, Pretty Hurts di Beyoncé. Nonostante le sue 1000 forme di paura, il primo singolo da questo suo sesto disco Chandelier è diventato un'altra hit (vincendo anche dei premi per il video, effettivamente molto molto bello, godetevelo se non vi è mai capitato di vederlo), e ancor prima Elastic Heart (scritta insieme a Diplo e The Weeknd), poi contenuto su questo disco, era uscito come singolo per la colonna sonora di The Hunger Games: Catching Fire.

Ora, capite che, per rubare una frase che usa sempre l'amico Monty, questo tipo di musica non sia esattamente la mia tazza di té, ma l'artista Sia mi ha sempre interessato, e quindi mi sono volentieri prestato al "gioco" di ascoltare anche questo suo ultimo disco. E devo dire che bisogna riconoscerle di saper scrivere ottime canzoni, sempre in bilico tra romanticismo cantautoriale e pop hit, e di avere intuizioni a volte sorprendenti come la collaborazione con Nick Valensi (The Strokes) su Hostage, pezzo che Sia fa suo senza troppi problemi. Insomma, un disco si, pop, ma di ottima fattura e di gran classe. Potrebbe sorprendervi.



I was struck by Sia years ago, when her Breathe Me was used for the final scene of the series Six Feet Under. I listened her albums "Colour the Small One" and "Some People Have Real Problems", and I liked them both. Then, with the following "We Are Born", she destabilized me. But I was wrong, because that album sold a lot, and Sia is a very good songwriter of pop music. This new album is the demonstration: she know how to write a big pop song, and she know how to sing on this music. So yes, it's pop, but it's classy. It might surprise you.