Post Mortem – Black Tide (2011)
Oggi parliamo di una band di Miami, con un paio di membri di chiare origini latine (Gabriel Garcia, voce e chitarra, Austin Diaz, chitarra e backing vocals), come del resto una buona parte della suddetta città della Florida. I Black Tide mi ispirano simpatia a pelle, soprattutto perché, se ho fatto bene i conti, Gabriel, fondatore e leader, ha, oggi, circa 18 anni, e la band è attiva dal 2004: questo Post Mortem, infatti, è il loro secondo disco, dopo il debutto del 2008 Light From Above.
Disco leggermente più commerciale ed orecchiabile del precedente, in Post Mortem i ragazzi mettono in fila una manciata di pezzi che, se da un lato rivelano tutte le loro influenze, provenienti dall’heavy metal classico (Iron Maiden, Metallica – nel disco di debutto c’era una cover ben fatta di Hit The Lights, pezzo che si dilettano ad eseguire, bene, anche dal vivo -, Megadeth – nei ricercati assoli di chitarra -, fino ai Pantera), dall’altro dimostrano di essere attenti alle nuove tendenze, sempre in ambito hard rock/heavy metal. Ecco, se c’è una cosa che può prestare il fianco a critiche, è proprio questa: sentire, all’interno dello stesso disco, una ballad come Into The Sky e un pezzo come Walking Dead Man, che potrebbe essere partorito dagli Underoath (a parte i troppi – per gli standard Underoath, non perché siano brutti - armonici di chitarra), ai puristi non piacerà.
Invece, a me non dispiace affatto, e, ogni volta che la ascolto, un brivido mi corre lungo la schiena, sentendo il ritornello di Let It Out. Questi ragazzini sono davvero bravi, e un po’ per la musica, un po’ per la giovane età, un po’ per le origini, mi hanno ricordato i mitici Death Angel.
Oggi parliamo di una band di Miami, con un paio di membri di chiare origini latine (Gabriel Garcia, voce e chitarra, Austin Diaz, chitarra e backing vocals), come del resto una buona parte della suddetta città della Florida. I Black Tide mi ispirano simpatia a pelle, soprattutto perché, se ho fatto bene i conti, Gabriel, fondatore e leader, ha, oggi, circa 18 anni, e la band è attiva dal 2004: questo Post Mortem, infatti, è il loro secondo disco, dopo il debutto del 2008 Light From Above.
Disco leggermente più commerciale ed orecchiabile del precedente, in Post Mortem i ragazzi mettono in fila una manciata di pezzi che, se da un lato rivelano tutte le loro influenze, provenienti dall’heavy metal classico (Iron Maiden, Metallica – nel disco di debutto c’era una cover ben fatta di Hit The Lights, pezzo che si dilettano ad eseguire, bene, anche dal vivo -, Megadeth – nei ricercati assoli di chitarra -, fino ai Pantera), dall’altro dimostrano di essere attenti alle nuove tendenze, sempre in ambito hard rock/heavy metal. Ecco, se c’è una cosa che può prestare il fianco a critiche, è proprio questa: sentire, all’interno dello stesso disco, una ballad come Into The Sky e un pezzo come Walking Dead Man, che potrebbe essere partorito dagli Underoath (a parte i troppi – per gli standard Underoath, non perché siano brutti - armonici di chitarra), ai puristi non piacerà.
Invece, a me non dispiace affatto, e, ogni volta che la ascolto, un brivido mi corre lungo la schiena, sentendo il ritornello di Let It Out. Questi ragazzini sono davvero bravi, e un po’ per la musica, un po’ per la giovane età, un po’ per le origini, mi hanno ricordato i mitici Death Angel.
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