Andiamo a cena in uno dei ristoranti dell'hotel Radisson, in mani italiane, visto che il maitre e lo chef sono italiani (scoprirò poi che anche il manager della ristorazione di tutto l'hotel è italiano; tra l'altro, tutti e tre simpaticissimi). Sul menù, per la cronaca, c'è pure il cacciucco alla livornese. Ci sono anche due colleghi italiani di Chiko, che abbiamo incontrato nel pomeriggio. Tutto ok, non voglio farvi il resoconto o la recensione del ristorante, ma raccontarvi un aneddoto che ho trovato gustoso, accaduto proprio nel ristorante. Avevo addosso la t-shirt comprata in Kenya, con il simbolo e la scritta (Kenya, appunto). Noto nella brigata di sala (ho scoperto qualche minuto fa che si chiama così l'insieme dei camerieri) un ragazzo e una ragazza di colore. Il ragazzo, appena mi vede, mi sorride e mi fa festa, poi si avvicina e solo a quel punto realizzo che ho indosso quella maglia e lui è kenyota. Mi chiede velocemente se sto tornando o se sto andando, e poi torna al suo lavoro. A fine cena, con meno persone da servire, si avvicina di nuovo, inizia a farmi domande sul mio soggiorno in Kenya, e chiama a gran voce la ragazza di colore, anche lei kenyota, che mentre si avvicina mi dice "this is MY shirt!". Mi sono sentito una specie di ambasciatore.
Il giorno seguente, Chiko mi porta nella parte "vecchia" della città. Ale e le ragazze vanno in piscina, il caldo è abbastanza opprimente, e fino all'ultimo prova a dissuaderci. Ma tiriamo dritto. Cerchiamo parcheggio nei pressi del mercato del pesce, un luogo che a Chiko, mi spiega, piace molto. Anche il resto, è un po' diverso dalla Dubai spettacolare e mastodontica: sembra una città "normale". Molti negozi che vendono oro e gioielli, molti indiani. Come saprete se avete letto qualcosa, solo il 20% della popolazione di Dubai è locale. Adesso c'è da attraversare il Dubai Creek, per arrivare a Bur Dubai. Attraversiamo con la abra, classica imbarcazione locale, e siamo dritti in una specie di mercato permanente. Indiani, pakistani, e via discorrendo, cercano di accalappiare orde di turisti in visita. C'è un po' di tutto: gioielli, tessuti, spezie, elettronica. Andiamo però al Museo di Dubai, anche Chiko non c'è mai stato, ed è curioso. Il museo, seppur non molto grande, si rivela interessante e ben fatto. Situato in un fortino, in una struttura sotterranea offre ricostruzioni di vita locale prima dell'avvento del petrolio, storia illustrata da un documentario degli ultimi 100 anni di Dubai, curiosità. Per la cronaca, il petrolio qui è stato scoperto nel 1966; sempre per la cronaca, Chiko mi spiega che la benzina qua viene venduta praticamente sottocosto. Ci immergiamo dentro Al Bastakiya, un vecchio agglomerato urbano completamente restaurato, con le tipiche case d'epoca e le loro torri del vento (antico sistema di condizionamento aria). Pranziamo, entriamo dentro qualche piccolo museo poco interessante, poi seguiamo il creek verso Al Shindagha, dove si trova la casa dello sceicco Saeed Al Maktoum, padre dell'attuale ruler of Dubai Mohammed. Saeed era una sorta di padre della patria, vista la storia degli Emirati Arabi. Sette (inizialmente sei) emirati che si riunirono, il 2 dicembre 1971, in un unico stato: Saeed era in quel momento l'emiro di Dubai, e promosse l'unione. Caratteristica e piena di foto d'epoca, la visita è soddisfacente, nonostante il caldo e la camminata mi stiano sfiancando. Ci avviamo lentamente verso il tunnel che ci riporterà dall'altra parte del creek, e quindi ad una meritata bottiglia d'acqua, e all'aria condizionata dell'auto. Si torna verso casa, e siccome non ve l'ho detto prima, noto per l'ennesima volta che la metropolitana di Dubai, per gran parte esterna e sopraelevata, assieme alle sue stazioni e ai palazzi tutti vetro e acciaio, danno l'idea di stare nel futuro.
C'è la festicciola di fine corso di golf di Sara. Che, qui, una "festicciola" è una roba abbastanza chic, intendiamoci. Non c'entra niente, ma immaginatevi che a Dubai, le pensiline dell'autobus sono chiuse, con le porte automatiche con fotocellula, e dentro l'aria condizionata. Prima, una piccola esibizione di tutti i partecipanti al corso. Dopo di che, si va a cena, in un posto vicino a casa, adiacente al centro commerciale più vicino (a casa). Insieme al cibo e alle bevande, si può ordinare la shisha, una sorta di narghilé, come documentato dalla foto.
Il giorno seguente, domenica, è giorno di lavoro. Ci svegliamo presto, e usciamo mentre le ragazze si preparano per la scuola. Chiko mi accompagna all'aeroporto, lui prosegue per il lavoro. Ci vediamo presto.
Il check in, i controlli, sono rapidissimi. L'addetto ai passaporti, come mi aveva preannunciato Chiko, sono tutti fissati col calcio, quindi ci scappa qualche battuta sul calcio italiano. Volo per Roma con un A380, quelli a due piani. Mi guardo quasi tre film. Quando atterro, mi chiama mia sorella per dirmi che mentre non c'ero, dei ladri sono entrati in casa e hanno rubato.
Welcome back to Italy.
3 commenti:
Ale, la chiamano shisha perché la cariano a HAshisha?
No perché dar viso mi pareva.......
;-)
Ciao
Luca
:)
effettivamente la ghigna è quella che passa 'r convento....
Ciao Ale... ganzo, ti ho trovato!!!!..beato te vagabondo.. sempre in giro per il mondo!!!!! A.
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