Memoria delle mie puttane tristi - di Gabriel Garcia Marquez (2005)
Barranquilla, Colombia. Durante, presumibilmente, gli anni '60, un vecchio giornalista colto, amante della buona lettura e della buona musica, ma reduce da una vita senza amore, puttaniere vecchio stampo, affezionato frequentatore di bordelli, uomo dal profilo bassissimo che non ha mai avuto un gatto in vita sua, il giorno del suo novantesimo compleanno decide di regalarsi una notte di sesso con una adolescente vergine. Telefona dunque alla sua tenutaria di bordello preferita, perché le combini la cosa. Cosa che viene prontamente combinata, ma, arrivata al dunque, diviene sfuggente e complessa, per una serie di motivi che si concatenano, e finiscono per scatenare nel vecchio protagonista un sentimento mai provato fino a quel giorno.
Non sono un grande conoscitore del premio Nobel colombiano: se non ricordo male, di lui ho letto solo Nessuno scrive al colonnello, diversi anni fa. Trovato questo libro, del quale avevo sentito parlare, in un cassetto di un'amica, come vi ho raccontato, ed essendo rimasto momentaneamente sprovvisto di libri miei, l'ho letto in un'ora e mezzo. Con una prosa che definirei vetusta, ma con preghiera di intendere la definizione con un'accezione positiva, classica ma elegante a dispetto del tema trattato (effettivamente, non ha tutti i torti chi liquida il libro definendolo come la storia di un pedofilo), pare leggero e sfrontato, ma in realtà si rivela una sorta di inno all'amore senza tempo, e nonostante la relativa brevità, sfoggia una trama ben congegnata, che non esiterei a chiamare "ad orologeria".
Magari non sarà propriamente un capolavoro, ma di sicuro è un racconto che mostra che il talento non è una cosa che possa essere inventata. Ispirato dichiaratamente a La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata, libriccino che, come detto, si legge velocemente, ma che può suggerire riflessioni interessanti, anche sulla vecchiaia.
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