Partiamo di buon mattino, dopo la colazione. Il tempo è buono. Usciamo dalla città e naturalmente, per arrivare all'Ol Pejeta è tutta strada sterrata. Piena di buche. Non so dirvi con precisione, ma mettiamo che siano una ventina di chilometri. All'ingresso, paghiamo, e ci vengono offerte due possibilità: pagare una guida o comprare una mappa. Anche se costa un poco di più, conveniamo che è meglio pagare una guida. Ci spiegano che la incontreremo al centro informazioni, poco distante. Quindi ci dirigiamo lì. Arrivati dopo pochi minuti, ci sono altri
rangers, ma nessuno sa niente. Dopo qualche minuto, decidiamo di tornare all'ingresso, optare per la mappa e farci rendere la differenza. Cerchiamo di decifrare la mappa, che soprattutto mostra l'esistenza di diversi livelli di strade sterrate: all-weather, trunk, bush. Iniziamo a percorrerne alcune, alla ricerca degli animali che non ho ancora visto, leoni ed elefanti. Ci fermiamo, come prima cosa, allo Sweetwaters Chimpanzee Sanctuary. Qui, da un gruppo di guide, ce ne viene incontro una, che ci spiega di cosa si tratta. Un lungo recinto elettrificato, delimita un ampio spazio, dove sono ospitati al momento 41 scimpanzé. Provengono da altre nazioni africane, o addirittura sono reduci da circhi, comunque da brutte situazioni. La guida ci accompagna anche lungo un breve percorso all'interno del recinto. Alcuni scimpanzé sono lungo la rete, si riposano, si grattano. Osservando questo tipo di animale, è davvero difficile sostenere che l'uomo non è l'evoluzione della scimmia: sono così simili a noi. Proseguiamo, e cominciamo ad esplorare il parco. Andiamo e andiamo, per quasi un'ora (anche questo parco pare essere pressoché sterminato) finché arriviamo ad un cancello, dove chiediamo alla ranger che lo presidia, dove siamo. Kamok Gate. Abbiamo attraversato praticamente tutto il parco. Torniamo indietro. Zebre, gazzelle, giraffe, bufali, facoceri, le solite cose. Ci fermiamo in un altro luogo segnalato dalla mappa come punto di osservazione degli ippopotami; c'è una guida, ci accompagna per un percorso lungo il fiume che taglia il parco, ci spiega un po' di cose, mi chiede da dove vengo, dice qualcosa sull'Italia. Di ippopotami, però, nemmeno l'ombra. Ci dirigiamo verso un recinto presso il centro informazioni dove abbiamo atteso la "nostra"guida prima. Dentro questo recinto si trovano due specie a rischio di estinzione: il rinoceronte nero (molto meno comune di quello bianco; come forse saprete, la differenza tra le due specie non è in realtà il colore, ma alcuni tratti della schiena e del muso) e la
zebra di Grévy. Un recinto a parte è dedicato a Baraka, un rinoceronte nero cieco. Anche qui, un
ranger si incarica di spiegarci alcune cose al riguardo, e ci porta al recinto di Baraka, un recinto molto grande. Ci fa salire su una sorta di palco, si fa portare da un addetto del fieno (credo) misto ad erba, il cibo di Baraka, poi lo va a "chiamare", lo fa avvicinare, in modo che venga a mangiare proprio da questo palco, dove ci troviamo, in modo da poterlo vedere da molto vicino. Fa tenerezza. Al centro informazioni ci sono teschi di vari animali, diversi pannelli informativi, tra cui quello che spiega la differenza tra rinoceronte bianco e nero, ed altre amenità. Riprendiamo a girare in auto, ci avviciniamo ad un gregge di
Ankole, una specie di bue dalle corna davvero enormi e spettacolari. Nel frattempo, l'ora di pranzo è passata anche oggi. Sono quasi le tre del pomeriggio, e ci mettiamo a girare le strade non lontane dalla porta dove siamo entrati, alla ricerca di leoni e/o elefanti. Troviamo i soliti e comuni animali. Intanto, si rannuvola. E, in poco tempo, inizia a piovere. Viviamo una decina di minuti di terrore, perché ci troviamo in una strada di quelle definite
trunk, per dire che quando piove può diventare pericolosa. La pioggia diventa battente, ma alla fine, fortunatamente, riusciamo (riesce, Ismail) ad arrivare al reticolo di strade
all-weather. Ci eravamo "persi", nel senso che non riuscivamo a capire dove fossimo esattamente, in modo da dirigerci, appunto, verso una di queste strade "salvifiche". Mi viene in mente adesso che,
nel racconto della visita al Parco del lago Nakuru, mi sono dimenticato di raccontarvi che, proprio mentre ci stavamo recando all'uscita (il parco stava chiudendo), abbiamo notato un
matatu che sembrava bloccato nel fango; ci siamo avvicinati, e Ismail è riuscito, con un cavo e con diversi tentativi, a salvare la giornata dell'autista di quel
matatu (si erano spinti in un percorso davvero troppo fangoso). E insomma, riusciamo a non impantanarci, facciamo un ultimo "disperato" giro di ricognizione vicino al fiume, dove potrebbe trovarsi almeno un elefante, senza alcun risultato. Adesso possiamo ridere e scherzare. Usciamo dal parco mentre io ormai maledico le zebre, che sono troppe, e ripercorriamo la strada per tornare a Nanyuki. Siamo davvero stanchi, e non abbiamo pranzato. Ma quando arriviamo all'hotel sono ormai le sei del pomeriggio, quindi, dopo una lunga doccia, è l'ora di cena. Ceniamo, mentre la pioggia non cessa, e Ismail prova in tutte le maniere a combinare qualcosa tra me e la cameriera che stasera è addetta al nostro tavolo. In camera, termino il secondo libro dei due che mi ero portato in viaggio (quindi adesso sono senza letture), e mi addormento.
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Non ricordo i loro nomi, ma la guida ci ha detto che sono arrivati insieme, anni fa, e sono amici inseparabili |
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Lui non sono riuscito a farlo mettere in posa |
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Rinoceronti bianchi |
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