Lezioni d'amore - di Isabel Coixet 2009
Giudizio sintetico: si può vedere
David Kepesh è un intellettuale ultra-sessantenne, insegnante di Practical Criticism, definizione da lui coniata, una sorta di corso per aspiranti critici letterari, teorico del proseguimento della liberazione sessuale, che dopo aver divorziato in giovane età ed aver abbandonato il figlio Kenny, tiene fede ad un suo personale dogma: non avere mai una relazione stabile con una donna.
I punti fermi della vita di David sono Carolyn, una bella donna matura con la quale ha un rapporto soprattutto sessuale, e George, poeta premio Pulitzer, amico di lunga data, confidente e compagno di attività sportive.
La tattica di David, per evitare complicazioni, è di non corteggiare le studentesse che seguono il suo corso, ma alla fine del corso dare un cocktail a casa sua. E' così che riesce ad affascinare Consuela, una bella e giovane studentessa proveniente da una famiglia di origine cubana, che lo colpisce durante le lezioni. Non sarà, però, come con le altre. David diverrà improvvisamente possessivo e geloso, cosa mai accaduta, e comincerà a porsi delle domande sul senso degli anni che gli restano da vivere, come mai aveva fatto fino ad allora.
Adattamento cinematografico della novella L'animale morente di Philip Roth, con la sceneggiatura scritta curiosamente da Nicholas Meyer, che aveva sceneggiato il deludente La macchia umana, altra trasposizione di un libro di Roth, l'ultimo lavoro della Coixet, per la quale ho un debole (come regista), non è così brutto come hanno tentato di farci credere praticamente tutti i critici italiani più importanti.
E' vero che Lezioni d'amore risulta stilisticamente troppo preciso, pensate un po' che paradosso, fotografia straordinaria e macchina fissa, con belle inquadrature (scelte in maniera ineccepibile), due cose che risultano appunto un po' troppo "perfette" per lo stile della Coixet, ma il film, nonostante abbia quindi il difetto di risultare un po' "freddo", commuove e tocca, ovviamente per la storia in sé, oltre a costringere lo spettatore non giovanissimo a porsi le stesse identiche domande che si pone il protagonista.
Continuando con pregi e difetti, potremmo ascrivere alla regista (e allo sceneggiatore) il difetto di seguire un po' troppo pedissequamente il libro da cui è tratta la storia (anche se forse la parte socio-etico-politica viene lasciata sottotraccia, ma sta allo spettatore farla "venire a galla"), ma ha il pregio di mettere in scena una serie di splendide interpretazioni, aiutate certamente dalla scelta di un cast davvero di altissimo livello, ma specchio anche di una buonissima mano della regista, che come sempre ben dirige tutti gli attori ai suoi ordini, anche quelli che recitano in parti minori.
Non solo rivediamo a grandi livelli Ben Kingsley nei panni del professor Kepesh, e ammiriamo Penélope Cruz nella parte di Consuela (una prova che ci ricorda quella fornita in Non ti muovere, meno sopra le righe), prestazione che ci dice chiaramente che la spagnola è arrivata ad alti livelli, ma questo film ci regala pure un Dennis Hopper (George O'Hearn) splendido in un ruolo che non ci aspettavamo da lui (la forza dello stereotipo), Patricia Clarkson (Carolyn) sempre bravissima (qui anche sexy, a suo modo), Peter Sarsgaard (Kenny Kepesh) intenso anche se si vede poco, e infine, ancora una volta con la Coixet, Deborah "Debbie" Harry, nei panni di Amy, la moglie di George, invecchiata e quasi irriconoscibile, visibile in sole due-tre scene, ma ugualmente apprezzabile.
A mio giudizio, un altro tassello imperfetto ma non meno importante, nella progressione dei lavori di questa regista ancora giovane, che probabilmente ci deve ancora regalare il suo capolavoro.
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