Dos hermanos - di Daniel Burman (2010)
Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: e si fa anco noi vella fine lì
Buenos Aires, Argentina. Marcos e Susana sono due fratelli anziani. La madre è morta da poco. Sono entrambi soli. Marcos è gentile, amabile, probabilmente omosessuale. Susana è una donna vanitosa, flirta in continuazione, vive di espedienti, vorrebbe essere ricca ma in realtà non lo è. Lavora nel campo delle agenzie immobiliari. Vende la casa della madre, dove Marcos aveva accudito per anni la vecchia madre, e convince il fratello ad andare a vivere in Uruguay, dall'altra parte del Rio de la Plata. Marcos non è contento, ma si adegua, e pian piano si fa nuovi amici, si trova nuovi interessi, riesce ad esprimere la sua sensibilità frequentando un corso di teatro. Susana continua a tiranneggiarlo, complice il suo carattere invadente. Sono opposti, si odiano quasi. Ma non possono vivere senza l'altro.
Daniel Burman è un regista ebreo argentino molto interessante, abbastanza conosciuto in patria, ma praticamente sconosciuto da noi. L'unico film, se non sbaglio, che ha ottenuto una distribuzione italiana, fu El abrazo partido - L'abbraccio perduto. Questo è il penultimo suo lavoro, e come praticamente tutti i suoi film, si occupa di famiglia; in questo caso particolare, di persone anziane, che hanno già vissuto una buona parte della loro vita. Burman (del quale ho recensito diversi film, e di altri ancora devo parlarvi) ha un bel tocco, delicato ma buffo, sempre in bilico tra commedia e dramma. Si appoggia a due attori argentini super esperti (e settantenni), che danno vita ad un "balletto" che risponde esattamente al volere del regista: amore e odio, commedia e dramma, alto e basso profilo, gentilezza e prepotenza. Il film ha alti e bassi, ma è delizioso, così come lo sono le prove dei due protagonisti: Graciela Borges (Susana) e Antonio Gasalla (Marcos), davvero due grandi attori, che confermano la grande scuola argentina. Girato tra Buenos Aires e Carmelo, vicino a Colonia del Sacramento, in Uruguay, il lavoro, che non è pirotecnico ma un piccolo film interessante, conferma Burman come un regista attento all'essere umano, da seguire.
Tratto dal libro Villa Laura, di Diego Dubcovsky, partner nelle produzioni di Burman, sia dei suoi film che di altri film argentini, di giovani registi emergenti.
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