No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20120817

quello che abbiamo visto dai posti economici

What We Saw From the Cheap Seats - Regina Spektor (2012)

Regina Spektor, nata a Mosca (da una famiglia di origini ebraiche) ed emigrata negli USA a nove anni, giunta al sesto disco da studio, continua secondo me ad essere un "soggetto non identificato", nel senso buono del termine. Ve ne avevo parlato varie volte, e soprattutto la prima volta quando ancora non si conoscevano i suoi dischi, poi in occasione del suo Begin To Hope, e pure del suo penultimo Far. Il suo stile, e qui mi vado a ripetere (e purtroppo a ripetere quel che in molti scrivono su di lei, per inquadrarla), si può senza dubbio avvicinare a quello di due "regine" quali Tori Amos e Fiona Apple; la sua teatralità (ascoltatevi a questo proposito Oh Marcello o Ballad of a Politician), al pari dello stile, che predilige voce e piano, la colloca di diritto "su quella mensola". L'impressione, però, è che le manchi ancora qualcosa per passare da artista interessante a culto, come tutto sommato sono considerate le altre due. Eppure, di personalità ne ha da vendere, e quell'esperienza di supporto ai Kings of Leon nel 2003 linkata poc'anzi lo dimostrava già quasi 10 anni or sono. Non le manca niente, e pure il fatto di inanellare spesso canzoncine catchy [a questo giro Don't Leave Me (Ne me quitte pas) e All the Rowboats, per esempio, in passato furono Better, Eet, Laughing With, Fidelity] non significa che la signorina valga meno. Forse, penso, questo suo perenne rimanere in bilico tra la spensieratezza e la drammaticità, le ha fatto mancare la zampata decisiva, quella verso, appunto, quella sorta di mitizzazione che ti eleva ad, mi ripeto, artista di culto.
Ciò non toglie che pezzi quali Firewood, How, The Party o Patron Saint, siano al tempo stesso semplici, ma davvero molto belli da ascoltare.

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