Nadar solo - di Ezequiel Acuna (2003)
Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)
Giudizio vernacolare: succede po'o
Martìn è un diciassettenne che è nato e cresciuto a Buenos Aires. Sta per terminare la scuola superiore, non ha idea sull'università che vuole frequentare e se la vuole davvero frequentare. Ha un rapporto distante con i genitori, appartengono a mondi completamente differenti. Ma Martìn si sta allontanando anche dai suoi amici storici, e la sua band, vagamente emo, non va come vorrebbe. Improvvisamente, Martìn riceve notizie di suo fratello più grande, Pablo, scomparso già da qualche anno. E, come se fosse l'unica cosa che gli interessa, dopo qualche titubanza, si mette sulle sue tracce, e si reca a Mar del Plata. E lì conosce Luciana, la sorella di Lucas, un amico di Pablo.
Ecco, in pratica vi ho raccontato l'intero film. Nadar solo è il primo lungometraggio dell'argentino Acuna, prodotto e sostenuto dall'inossidabile coppia Daniel Burman/Diego Dubcovsky (che, evidentemente, ci hanno visto qualcosa). Di lui vi ho già parlato in occasione di Como un aviòn estrellado, suo secondo film, che mi ha incuriosito tanto da guardare l'intera sua produzione (che, fortunatamente, al momento conta solo tre film). Questo suo debutto, con le ovvie ingenuità del caso, denota una ricerca poetica eseguita per sottrazione, che ha il suo fascino. Almeno, per noi cinefili dilettanti, o aspiranti tali; per tutti quelli che non si fanno completamente abbindolare dal fascino dell'americanata, intesa come spettacolarizzazione di qualunque storia.
Tra gli interpreti, Santiago Pedrero (Guille), che ritroveremo negli altri due film di Acuna, Mònica Gàlan (la madre di Martìn), attrice argentina di vasta esperienza, l'ottima Antonella Costa (Luciana), italiana di nascita ma emigrata in Argentina all'età di quattro anni, vista anche in Garage Olimpo e Figli/Hijos di Marco Bechis, ne La fuga e ne I diari della motocicletta, e Tomàs Fonzi (Tomàs), visto in Kamchatka, Nove regine e Una noche con Sabrina Love.
Un film delicato, che è al confine dell'impalpabilità.
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