The Walking Dead - di Frank Darabont - Stagione 3 (16 episodi; AMC) - 2012/2013
Sei mesi dopo la chiusura della seconda stagione. Come ricorderete, this ain't a democracy, anymore. Rick ed i suoi sono impegnati a "ripulire" il complesso carcerario incontrato nelle perlustrazioni, Lori è incinta e c'è bisogno di un posto relativamente sicuro. Il carcere sembra popolato solamente da walkers, e quasi (quasi) tutti carcerati. Ma ci saranno sorprese, naturalmente. Da tutta un'altra parte, Andrea viene salvata da Michonne, un personaggino che un qualsiasi essere pensante vorrebbe avere per amica: va in giro con una katana, e al guinzaglio (leggi: catene) ha due walkers senza mandibole. In uno slancio che sembra essere l'inizio di una love story, Michonne si prende cura amorevolmente di Andrea, e la fa sopravvivere al freddo inverno. Ma, là fuori, c'è anche altro. C'è Woodbury, una sorta di enclave umana. Chissà se quella è una democrazia.
Dopo l'intera visione della terza stagione di uno dei serial di maggior successo, almeno negli USA, composta questa volta da 16 episodi divisi in due blocchi da 8 (originalmente andati in onda i primi otto tra ottobre e dicembre 2012, i secondi tra febbraio e marzo 2013), possiamo tranquillamente dire che, nonostante il cambio di più showrunner, del team degli sceneggiatori, delle riduzioni di budget, delle litigate tra la rete e il creatore e tutto quello che volete voi, The Walking Dead non è cambiato di una virgola rispetto ai difetti che ha avuto nel passato: è una serie che rende ogni singolo episodio un lasso di tempo, solitamente di 43 minuti, decisamente estenuante, riempito di chiacchiere inutili mascherate da dialoghi epici, chiacchiere che spesso avvengono tra personaggi inutili, che, so che suona brutto, ma vengono lasciati sopravvivere troppo a lungo. E' giusto che voi mi chiediate quindi perché continuo a guardarla: non lo so.
Qualche nota positiva, alla fine di questa (ancora una volta) estenuante stagione, c'è, e va ricercata nell'evoluzione di alcuni personaggi, che non parevano inizialmente così importanti. In una situazione apocalittica, è chiaro che evoluzione non è forse il termine più adatto: a volte evolversi può voler dire diventate più spietati. E' quello (spoiler alert) che accade al personaggio di Carl (il sempre più convincente Chandler Riggs, attualmente quasi quattordicenne), il figlio adolescente del protagonista assoluto Rick Grimes (interpretato sempre in maniera accettabile dall'inglese Andrew Lincoln, che suppongo faticherà a scrollarsi di dosso questo personaggio in futuro, seppure sarà sempre quello che gli ha regalato la notorietà definitiva e universale), che soprattutto negli ultimi episodi di questa stagione diventa un po' la coscienza critica del padre, e lo sferza in maniera sorprendente. Ce ne sono altre (evoluzioni), magari meno clamorose, ma lascio a chi non ha ancora visto la stagione il piacere di scoprirsele da soli. Non che incoraggerei qualcuno a vedersi The Walking Dead da principio, se qualcuno fosse a "digiuno". Concludendo la parentesi evoluzioni/interpretazioni/personaggi, il mio preferito, se proprio ve lo devo dire, è quello di Daryl interpretato da Norman Reedus, soprattutto dopo averlo visto in questo commercial.
La cosa curiosa, è che a me pare che The Walking Dead sia ancora alla ricerca di una formula vincente, di un equilibrio che lo faccia funzionare meglio (vedi, per fare un esempio, l'inserimento di musica non originale, nell'ultima parte degli episodi, cosa che non accadeva in passato), ma al contrario, i dati di ascolto non confermano la mia impressione: l'ultimo episodio della stagione, Welcome to the Tombs, ha avuto oltre 12 milioni di spettatori negli USA, e la media della stagione si aggira sugli 11 milioni ad episodio. Pensate che la media della prima stagione fu di 5 milioni, mentre quella della seconda fu di sette. Quindi, my mistake.
2 commenti:
Mi limito ai complimenti per il
titolo, che nel merito ho già
dato di là...
Ecco, a questa invece stavo per approcciarmi ma così mi fai passare la voglia.
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