Il ministro - L'esercizio dello Stato - di Pierre Scholler (2013)
Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Bertrand Saint-Jean è il ministro dei trasporti del governo francese. Immediatamente dopo un terribile incidente, nel quale un pullman che trasportava giovani studenti in gita scolastica è uscito di strada sulle Ardenne, viene svegliato nel cuore della notte dal suo segretario Gilles. Il ministro deve recarsi immediatamente sul posto, "presidiare" i mezzi d'informazione, coordinare i soccorsi. Ma più che questo, la politica impone di fronteggiare le polemiche, prevenirle, pensare ad annunci ad effetto, escogitare la strategia giusta. La politica, però, è anche fronteggiare attacchi che provengono dall'interno, dal tuo stesso partito o, addirittura, dal tuo stesso governo. Parte, già dal giorno seguente, una polemica feroce, una lotta intestina; in seguito alle dichiarazioni rilasciate dal ministro del bilancio immediatamente dopo quelle, opposte, dallo stesso Saint-Jean durante una intervista radiofonica piuttosto incalzante, si scontrano due filoni di pensiero in seno al governo sulla possibile privatizzazione delle ferrovie francesi. La crisi è stringente, la disoccupazione galoppa. Con negli occhi ancora i giovani morti, Saint-Jean è costretto presto a dimenticare. Non riesce a trovare tempo per la moglie, non ha amici, non ha una vita. Si affeziona in modo strano ad un disoccupato, Martin Kuypers, che, nell'ambito di un programma "di facciata" del governo, assume temporaneamente dei disoccupati in posti statali. Martin viene scelto per sostituire l'autista personale di Saint-Jean, la cui moglie sta per partorire il loro primo figlio; Saint-Jean lo "obbliga" a prendersi un mese di congedo di paternità, e così gli subentra Kuypers. Una sorte più che ironica è in agguato.
Arrivato in punta di piedi, Il ministro è un film francese di due anni fa, che risulta un oggetto di difficile interpretazione. Dipinge la politica, e gli uomini che la fanno, come persone interessate più al potere che al denaro, ma gli concede diverse attenuanti. E' un film che ci tiene a rimanere "freddo", controllato, nonostante sia impregnato, proprio a causa degli eventi che descrive, soprattutto in apertura e in chiusura, di una drammaticità estrema. La mano del regista, anche sceneggiatore, al suo terzo film da regista ma autore di diverse sceneggiature televisive (in pratica, però, questo è il primo suo lavoro che arriva da noi), è sicura, la scrittura è lineare, ma punteggia il film con alcuni simbolismi che francamente non viene voglia di interpretare: c'è abbastanza repulsione per la politica autoreferenziale, in fin dei conti descritta anche da questo film, per lanciarsi pure nelle supposizioni.
Interpretazioni misuratissime da parte dell'intero cast, nel quale naturalmente spiccano l'intramontabile faccia di cazzo di Olivier Gourmet (Bertrand Saint-Jean), Michel Blanc (Gilles, era Paride Taccone ne Il mostro di Benigni) e Sylvain Deblé (Martin Kuypers, debuttante).
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