Lo hanno già detto in molti, forse in troppi: il viaggio, la sua essenza, spesso non è rappresentato da dove si va, ma come ci si arriva. O forse non lo ha detto nessuno, lo dico io. Quindi, anche se quattro giorni, di cui uno passato su aerei e in aeroporti, possono da qualcuno non essere considerati un viaggio, per me lo sono eccome. Quindi, per me è sempre molto bello anche l'andare via da un luogo, il tornare a casa, dove volente o nolente sono le mie radici.
Mi sveglio di buon ora, apprezzo la ricca colazione, scendo a sbirciare internet, saldo i conti che c'è ancora il turno di notte alla reception, risalgo in camera, metto le mie poche cose dentro lo zaino, leggo un poco, scendo di nuovo, segnalo alla tipa del turno del mattino appena entrata a lavoro che somiglia a Rebecca Hall, al che il suo collega prontamente va a cercarla su google immagini dicendo che beh, in effetti qualcosa c'è, attendo il bus per l'aeroporto.
Sono io e tre coppie di spagnoli, già ciarlieri e rumorosi; mi ricordo che più di un portoghese mi hanno in qualche modo fatto intendere di provare una certa insofferenza per i cugini iberici, per il semplicissimo motivo che con loro, si comportano un po' come i turisti di lingua inglese, incapaci anche solo di sforzarsi di parlare qualche parola della lingua del paese che li ospita. Lo spagnolo (castigliano) e il portoghese si somigliano, anch'io ho usato il castigliano per farmi capire, ma ho capito quasi subito che dovevo come scusarmi, chiedendo se potevo provare ad esprimermi con quella lingua, e magari metter dentro qualche abbozzo di portoghese, per non risultare antipatico. Come spesso dico, usando una perla di saggezza che mi rivelò una vecchia amica che lavora da sempre nel turismo, gli spagnoli sono spesso dei pain in the ass quando viaggiano, perché sono abituati a standard turistici piuttosto alti nel loro paese, e li esigono anche quando ne sono fuori. Ma quello delle lingue è sempre un viaggio nel viaggio, occorrono attenzione e impegno, e, convinzione personale che ripeto perennemente, cercare di imparare almeno un saluto e un ringraziamento nella lingua del paese che ti ospita.
Lisbona scorre sonnacchiosa dietro il finestrino, è domenica ed è presto; oltre ai segni di crisi e decadenza segnalati in precedenza, devo segnalare molti palazzi disabitati, con finestre murate, anche in luoghi piuttosto centrali. Non è un bell'effetto, e significativa, su uno di essi, una scritta che recitava pressappoco così: "alguém poderia viver aqui". Ripensandoci, anche qui un certo senso di rabbia conto la Germania/locomotiva d'Europa, che obbliga tutti a standard economici ma soprattutto di tasse elevate e di sacrifici sociali importanti, esiste ed è tangibile, così come ovviamente il malcontento diffuso verso una classe politica bugiarda e ladrona (un manifesto elettorale della sinistra recita "tudo o que foi roubado deve ser devolvido").
L'aeroporto è, come sempre, un mondo a parte, un ventre caldo che ti accoglie e ti coccola. Me la sono presa comoda, come piace a me, ho tempo di leggere, di avviarmi ai controlli con tutta calma, di cercare il gate di partenza, di mangiare qualcosa, di scambiare battute con una simpaticissima cameriera brasiliana che capisce al volo la mia italianità (e inciampa cercando di pronunciare la marca del caffé Segafredo), di provare quella sorta di gabbia che sono i "recinti" per fumatori negli aeroporti (a tutt'oggi sempre imbattute quelle dell'aeroporto di Nairobi), di imbarcarmi. Il volo verso Parigi non è completamente pieno, i panini Air France non male (quello al tonno dell'andata era pure meglio, ma non poteva mancare il formaggio). A differenza dell'andata, dove ho dovuto effettuare il trasferimento dal terminal 2G al 2F a tempo di record, riuscendo comunque a scambiare due parole con un piemontese che mi domandava (in francese) se il bus era quello giusto, dopo di che capivamo di essere entrambi italiani, e in due minuti ce la faceva pure a dirmi che stava andando a Cuba da un amico che vive là, e che era reduce da una delusione amorosa, adesso ho tutto il tempo di guardarmi intorno, passeggiare piacevolmente in questo immenso spazio tutto metallo e vetri (quanto mi piacciono), arrivare alla fermata dell'autobus (non senza sbagliare strada almeno una volta), sentirmi molto più rilassato vedendo altri passeggeri che vanno di fretta per coincidenze che scappano. Fa un certo effetto, sempre, spostarsi all'interno di una cosa che dovrebbe essere una struttura unica, ma che invece non lo è affatto, soprattutto a bordo di un bus, anche se per 5 minuti. Il terminal 2G, se capisco bene, è quello dei voli a corto raggio, Europa in generale, Italia ma anche Germania, nord Europa. Il francese scolastico, ripassato per motivi di lavoro qualche anno fa e tenuto in moto da corrispondenze sempre di lavoro, basta e avanza per non risultare snob, e pure se non c'entra niente la signora che mi serve una bottiglia d'acqua era la stessa che ha preso il bus 2F verso 2G poco prima. Un battaglione di ragazzini e ragazzine messicane, hanno tutti una divisa sportiva con su scritto Mexico e Dolphins, si aggirano tra le file delle poltroncine in cerca di colonnine con prese elettriche per ricaricare cellulari e iPad. Un giapponese parla per oltre mezz'ora al cellulare a voce altissima e un anziano signore, probabilmente francese, gli si avvicina chiedendo a gesti di abbassare la voce e ottiene giustizia. Come sapete, mi piace leggere, mi piace ascoltare musica, ma mi piace tantissimo guardare la gente, le persone. Ci passerei le giornate, se non dovessi lavorare. Pian piano arriva il nostro turno, ci si imbarca ma non si parte subito, e pazienza, che ci vogliamo fare. Il volo è bellissimo perché è una bella giornata e visto che non avevo segnalato preferenze, il check in on line "proattivo" di Air France mi ha assegnato per quattro volte il posto al finestrino (anche se la mia dirimpettaia, una bassa ma ingombrante signora di lingua spagnola prova a dirmi che "la ventanilla es mia"): posso vedere tutto, senza nuvole, e l'ho già detto una volta o due, ma sorvolare le Alpi fa sempre un certo effetto. Ultimamente mi diverto a tirare a indovinare cosa stiamo sorvolando, e quando siamo abbastanza vicini perché sbuchiamo sul mare, vedo una città col porto e scommetto su La Spezia, Genova la riconoscerei soprattutto dall'aeroporto sul mare, e ci prendo. Intravedo la Versilia, dopo di che entriamo dentro una cappa d'afa e umidità densa come un nuvolone. Virata, e sbuchiamo fuori dalla cappa esattamente sopra la Meloria, già praticamente in direzione della pista d'atterraggio, o quasi. Un gruppo di toscani zona fiorentina, nei posti vicini al mio, si dimostrano poco esperti nell'orientamento dall'alto, e sono costretto a riprenderli quando scambiano il porto di Livorno con Marina di Pisa. Ricolloco tutto al suo posto, di là Livorno, qui sotto Calambrone, Tirrenia, Camp Darby, il centro CONI, laggiù Bocca d'Arno e Marina di Pisa, ora la vecchia Aurelia, ora l'autostrada, Mortellini e si atterra. Scendo e saluto un compaesano giovane che lavora all'aeroporto, e che mi vede talmente spesso che secondo me ogni tanto si domanda che lavoro faccio. Son le otto passate e domattina c'è da andare a lavorare. Boa noite.
6 commenti:
Non hai idea di quanto io mi immedesimi in te
nel leggere post così.
Bella Ale :)
mi fa piacere
Senti...ma per un futuro progetto Iran...tu cosa ne pensi...io non trovo nessuno che condivida!Te lo chiedo qui perché ho smarrito la tua mail!perdonami anche se non c'entra nulla...ma infondo sempre viaggio è!
la mail la (ri)trovi nella colonna a sinistra, ma è jumbolo@gmail.com, ad ogni modo mi interessa si!
od ogni modo ci piace il tuo essere sempre il più sborone della cumpa :)
Mazza meno male che ogni tanto lasci un commento e mi fai sentire in colpa per non venire mai a trovarti. Ma lo sai che ti penso.
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