Mercoledì 11 febbraio
La partenza è alle 3,30 del mattino. I partecipanti, variegati. Ce ne sono altri da caricare. Caricati tutti, si esce da Arequipa, e dopo poco si capisce che qualcosa non va. Il minibus si ferma, poi riparte, poi si riferma. Alla fine, la guida, una peruviana minuscola con una sorta di lisca (o zeppola, in alcune parti d'Italia) e, come molte guide, dotata di una strana enfasi negli spiegoni, ci informa che il mezzo ha un problema, e che ne stiamo aspettando un altro per proseguire. Potevamo dormire quasi un'ora in più. Vabbè. La strada è piuttosto lunga, sale tanto, ci vogliono quasi tre ore per arrivare a Chivay, il punto dove faremo colazione, in un luogo che potrebbe essere una sorta di osteria, ma che sembra più che altro il salone spoglio di una casa piuttosto povera. Donne e bambine affaccendate in quella che pare la cucina. Ecco, a posteriori, il mal d'altura a me inizia qui, o meglio, sulla strada per Chivay. La cittadina è situata a 3.635 metri sopra il livello del mare, ma, lo scopriremo al ritorno, per arrivarci abbiamo "scollinato" un passo a 4.900. Infatti, solo a pensare di mangiare qualcosa, mi sento male. E infatti chiedo solo un bicchier d'acqua. Scambio qualche parola con qualche compagno di viaggio. C'è una giovane peruviana che lavora per una compagnia aerea nazionale con la madre, due ragazzi australiani, una coppia indiana trapiantata negli USA, e altri.
Due "vedute" di Chivay al mattino (Dria) |
Tutte le foto sono di Dria |
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