Il lunedì mattina passa svogliatamente, e con un po' di preoccupazione. L'auto è in officina per riparare la gomma bucata ieri, ed altri controlli sul motore, e appare subito chiaro che ci rimarrà per qualche giorno. Ecco allora che il programma alternativo proposto dai miei amici diventa l'unico praticabile. Susy uscirà prima da lavorare, e tutti insieme prenderemo un
matatu per arrivare prima a Nakuru, poi fino a Marigat, dove ci sarà da fare un ultimo passaggio per arrivare al
Lake Bogoria Spa Resort (non fatevi ingannare dall'immagine lussuosa, bisogna farci un po' "la tara"), dove dormiremo, per poi, il giorno seguente, visitare il
Lake Bogoria National Reserve. Ora, se è vero che spesso è più importante il viaggio del luogo dove vai, qua di sicuro non ti annoi. I
matatu sono un'esperienza, un po' come tutti i mezzi di trasporto nei paesi in via di sviluppo, o in quelli che stanno "retrocedendo" (pensate ad un viaggio in treno in Italia, che non sia in prima classe sul Freccia Rossa). Secondo su quale linea stanno viaggiando, il massimo numero di passeggeri viene sistematicamente ignorato, per cui ti ritrovi a volte in condizioni di soffocamento, e non è detto naturalmente che i passeggeri siano umani: le galline ti fanno spesso compagnia. A Nakuru, il punto di smistamento dei matatu è una bolgia: persone che camminano dappertutto e matatu che passano più che vicino alle persone stesse. E poi, una marea di persone che cercano di venderti di tutto, ovviamente ancora di più se sei bianco. Non so se corrompendo l'autista o meno, Ismail mi fa avere, sulla tratta Nakuru-Marigat, uno dei due posti davanti, accanto all'autista stesso. Nell'altro c'è una giovane locale, carina, con bambina di circa 3 anni. E' lei che attacca bottone, domandandomi dove sono diretto e chiedendo se poteva dare un'occhiata alla brochure del resort, e insomma, il viaggio passa più veloce. Si chiama Jane ("Like Tarzan's fiancee! Oh no, forget it, bad joke". Poi ho scoperto che Tarzan mica lo conoscono in Kenya), fa l'insegnante, era in viaggio dalla mattina alle 6, e la bambina si chiama Prudence. Mi racconta del suo lavoro, mi domanda quanto ho pagato il biglietto aereo (Susy mi dice che è una domanda che viene fatta molto spesso), mi dice che lì gli stipendi sono miseri, mi chiede quali sono le differenze tra l'Italia e il Kenya. Evito di farle domande troppo personali, tipo dov'è il padre di Prudence, ma la sensazione è che non si sarebbe fatta troppi problemi a rispondere. Quando ne parlerò con Ismail, gli dirò che non sono andato oltre perché ho ancora una mentalità da "come sarebbe potuto essere", e lui si metterà a ridere parecchio. Arriviamo che è buio, e dopo contrattazione troviamo un taxi (non ufficiale) che ci porta al resort. Ci teniamo il numero dell'autista, dicendogli che probabilmente lo chiameremo per l'indomani. Scopriamo, infatti, che non c'è niente di "acquistabile" dal resort, per fare un'escursione nella riserva. Le tariffe dei resort, così come quelle degli ingressi nei parchi, sono profondamente diverse, se sei residente o se sei un turista, ma visto che prendiamo una tripla e gli altri due sono residenti, riusciamo a strappare il prezzo più basso. Ceniamo a buffet in loco, e dopo cena io e Ismail, che però non è un appassionato di calcio, ci vediamo la prima mezz'ora di Manchester City - Manchester United (per la cronaca, scoprirò qui in Kenya che lo
sponsor dello United è una compagnia di assicurazioni inglese, molto presente anche in Kenya), dopo aver telefonato all'autista. La mattina dopo partiamo di buon'ora per il parco, la giornata è splendente. Il territorio intorno al lago è caratterizzato dalla presenza di biogas sotterraneo, dentro il parco vediamo al solito un sacco di animali, tra cui diverse manguste. Ci sono pochi visitatori, e nonostante alcuni di loro si siano portati l'occorrente per un picnic, non mi viene da pensare neppure per un momento che è il Primo Maggio, e che molti, in Italia stanno facendo un picnic. Lo scenario è abbastanza mozzafiato, anche per uno scafato come me. Torniamo verso Marigat, e decidiamo di non pranzare, di saltare sul primo matatu, e di arrivare a Nakuru, e lì di pranzare. Sempre grazie alla diplomazia kenyota (Ismail), salgo davanti. C'è, tra i passeggeri, un personaggio che sembra ubriaco, ma non troppo molesto. Dice di essere un poliziotto, e io rispondo che quindi possiamo stare tranquilli, lui ride e il tormentone del viaggio (anche se mi ascolto un po' di musica in cuffia) diventa il suo "feel at home", per dire che sono benvenuto. Mentre arriviamo a Nakuru, si avvicina la pioggia, andiamo a mangiare in un ristorante che ha una terrazza, dalla quale si vede la città (e anche i suoi lati peggiori, o quantomeno non troppo belli), ma anche il lago Nakuru. Una delle riflessioni, che condivido con Ismail, è che se è vero che le guerre del futuro si combatteranno per l'acqua, anziché per il petrolio, il Kenya dovrà stare attento a non farsi soffiare le sue cospicue riserve d'acqua. Soprattutto questa regione è costellata di laghi piuttosto grandi, infatti. Mentre mangiamo si scatena l'acquazzone. Decidiamo di provare la soluzione "comoda": Susy chiama gli autisti della sua società, per sentire se ce n'è qualcuno in giro, magari verso Nakuru. La cosa funziona: finiamo di mangiare, prendiamo un
tuk-tuk fino al vicino Nakumatt, facciamo spesa e aspettiamo uno degli autisti che ci viene a prendere lì. Mi prendo una mappa del Kenya, e una maglietta, che in pratica le mie 4 sono tutte ormai sporche. La prendo con lo stemma del Kenya (e ricordatevi questo particolare). Ne prendo una per mio nipote, con i numeri da uno a cinque (accompagnati dall'equivalente numero di animali, i
Big Five) in
swahili: non me lo aspettavo, ma sarà la prima volta che mio nipote si entusiasmerà per una maglia-regalo (o magari è diventato grande abbastanza per entusiasmarsi per finta per un regalo del quale non gli frega niente, vedrò di capirlo).
Il giorno seguente siamo ancora senza macchina, e non è così soleggiato come la mattina precedente. Io e Ismail ci facciamo dare un passaggio da un altro degli autisti della tenuta, per andare nella vicina Naivasha per qualche commissione. Naivasha è una cittadina con meno di 20mila abitanti, che davvero non ha niente di interessante. E' situata sull'autostrada Nairobi-Nakuru, autostrada che prosegue fino al confine con l'Uganda, per cui molto trafficata da mezzi pesanti. Ismail mi rammenta che l'Uganda, e adesso pure il Sudan del Sud, non hanno sbocchi al mare e sono confinanti col Kenya, per cui il traffico merci passa tutto da qui. Parallela a questa autostrada, c'è pure l'
Uganda Railway, usata soprattutto per le merci (la ferrovia passa anche immediatamente fuori dal cancello vicino a casa di Susy, la notte si possono ascoltare i treni merci che passano). Con un
moto taxi andiamo dove dobbiamo rinnovare l'abbonamento alla tv: con altre attività, l'ingresso è sorvegliato dentro una sorta di fortino, e l'impiegata è ulteriormente dietro a delle sbarre. Poi torniamo "in centro", e facciamo un po' di fila agli sportelli bancomat. In realtà, noto insieme a Ismail che, ad esempio, a quello della
Equity Bank c'è una fila micidiale, mentre a quello della
Barclays no. Ismail mi spiega che per avere il conto alla Barclays si paga, poniamo, un euro ogni tre mesi, e la maggior parte delle persone non se lo può permettere. Guardie armate dappertutto, tanto per capirci, anche se con facce per niente cattive. L'esperienza più pregnante della giornata, però, è andare a farsi i capelli con Ismail. Ovviamente non per me, ma per il "negozio" dove andiamo, e lo potete apprezzare nella prima foto allegata. Lato sinistro, due poltrone e un ragazzino che taglia i capelli. Lato destro, un bancone, dei cataloghi, una televisione LCD che mostra film e serie, prevalentemente statunitensi. Il tipo che "vende" film e telefilm, in pratica, li scarica dalla rete, e te li masterizza in tempo reale. Dopo che il giorno precedente avevamo capito che entrambi amiamo le serie tv, ci eravamo accordati per prendere un paio di serie, genere commmedia, che nessuno dei due aveva già visto. Andiamo con
Friends with Benefits e
No Ordinary Family. Poi, un po' di spesa al supermercato locale, naturalmente più "povero" dei Nakumatt, dove mi esibisco in una caduta (a Livorno lo si sarebbe definito "pattone", anche) sulle scale già bagnate, per evitare una signora (e si, stava cominciando a piovere, tanto per cambiare), per fortuna senza conseguenze gravi. Pranziamo in un posto carino, lungo l'autostrada però, e poi prendiamo un matatu per tornare a casa.
Il giorno seguente lo passiamo aspettando l'auto che è ancora in riparazione. Quando ce la consegnano, Ismail mi fa fare un giro, non completo (la tenuta è, ripeto, enorme; ci sono, come detto, serre per la coltivazione delle rose, una scuola, diverse abitazioni per i dipendenti, alcuni cottages per turisti, molta terra destinata a coltivazioni varie, con grandiosi impianti di irrigazione), della tenuta. Passiamo diversi cancelli, che suddividono i settori, e vediamo, al solito, zebre, gnu, gazzelle, dik dik, facoceri, faraone, varie specie di uccelli, orici, e, mentre sta calando il sole, un ippopotamo che è già uscito dall'acqua. E' imponente anche da lontano, non ci avviciniamo troppo, e quindi non sono in grado di documentarlo con una foto.
Una delle sere passate alla tenuta, dopo il termine dell'orario di lavoro di Susy, andiamo in palestra. Sempre all'interno della tenuta ci sono delle strutture tipo resort, in una di queste c'è una palestra attrezzata, con piscina all'aperto. Mi faccio un po' di vasche, anche se i primi 5 minuti sono in apnea dal freddo.
Riparata l'auto, viene il giorno del monte
Longonot. Nella foto, una vista dal bordo del cratere.
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