Unlearned - Scott Matthew (2013)
Ecco di nuovo Scott Matthew, australiano ma poi newyorkese, del quale ci siamo innamorati con la colonna sonora di Shortbus, seguendolo poi con il suo secondo disco dal titolo chilometrico, e continuando col terzo Gallantry's Favorite Son. Voce profonda, canzoni scarnificate e ridotte all'osso, ma soprattutto la capacità di dare pathos probabilmente anche alla lettura delle normative che regolano i trasporti delle merci pericolose.
Un po' a sorpresa, dopo aver rilasciato pure una sorta di Greatest Hits (Best of Scott Matthew, sempre nel 2011 come Gallantry's), stavolta il barbuto e schivo artista si cimenta in un disco tutto fatto di cover, dove il titolo è una sorta di manifesto programmatico: spogliarsi delle conoscenze ed interpretare di getto, emozionalmente, i suoi pezzi preferiti di sempre, dall'infanzia all'età adulta. Il risultato, preparatevi, è, appunto, emozione allo stato puro e semplice. Si parte nientemeno che con To Love Somebody, il pezzo che i Bee Gees scrissero per Otis Redding ma che Otis non riuscì a cantare causa morte, e siamo già ad altissimi livelli. Sembra impossibile, ma immediatamente dopo, già al secondo pezzo, si arriva già ad un climax: Scott si cimenta con I Wanna Dance with Somebody di Whitney Houston, e trasforma il successo planetario della ormai defunta stella del pop in una tremenda ballata intimista che tocca e commuove. Si passa con disinvoltura a Darklands dei Jesus and Mary Chain, che conserva la sua bowietà, poi Jesse di Janis Ian, davvero intensa, Smile, di Charlie Chaplin, che la scrisse per Tempi Moderni, solo strumentale, e che fu composta a livello di testo molti anni dopo da John Turner e Geoffrey Parsons per farla cantare da Nat King Cole, lasciatemi dire un poco prevedibile, qui interpretata duettando con Neil Hannon dei Divine Comedy; segue la molto migliore Help Me Make It Through the Night, di Kris Kristofferson, impreziosita dalla presenza del padre di Matthew, Ian.
Ha gioco facile con No Surprises dei Radiohead, perché il pezzo è quel che è, bellezza cristallina, una versione quasi da marching band di L.O.V.E. di Gabler e Kaempfert (scritta, ancora una volta, per Nat King Cole), ed eccoci ad un altro picco di questo disco: la cover di Love Will Tear Us Apart dei Joy Division. Qua c'è da piangere. Il pezzo, lo sapete già, è di per sé meraviglioso, ma Matthew fa davvero di tutto per renderlo quantomeno una rivisitazione degnissima. Tra l'altro, c'è pure la migliore prova vocale di tutto il disco.
There's A Place in Hell for Me and My Friends, di Morrissey, è anch'essa molto bella, ma pure il completo stravolgimento di Harvest Moon di Neil Young, scelta curiosa tra tutto il di lui repertorio, fa la sua figura. Dopo di che, siamo di nuovo dinnanzi ad uno dei momenti più alti di questo disco, che potrebbe far innervosire come scelta (le cover), ma che si rivela una sorta di scrigno contenente diversi gioielli: I Don't Want to Talk About It, originariamente di Danny Whitten per i suoi Crazy Horse (pensate un po'), ma portata al successo dall'immarcescibile Rod Stewart, è un piccolo capolavoro intimista. Rimangono le delicatissime Total Control, dei The Motels, e Annie's Song di John Denver, ma sono sicuro che siete già soddisfatti. Pare che esista anche una versione deluxe che contiene altre quattro cover, Shipbuilding (Elvis Costello), Anarchy in the UK (Sex Pistols), Territorial Pissings (Nirvana), Walk On By (Bacharach).
2 commenti:
curioso sono
buz
è buono. è buono.
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