No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20130816

The Diet of the Empress

La dieta dell'imperatrice - Umberto Maria Giardini (2012)

Il disco è dell'ottobre del 2012, ma sapete com'è, non è che mi pagano. Scherzi a parte, Umberto Giardini è tornato. Come Moltheni è stato in attività fin dal 1999 (ovviamente ha cominciato molti anni prima, ma quello è l'anno del debutto Natura in replay), su questo blog ne ho parlato moltissime volte (fate pure la ricerca, in alto a sinistra), e come tutti ricorderete ho avuto l'occasione di conoscerlo personalmente, per realizzare un'intervista in occasione dell'uscita del suo Splendore terrore (2005), disco che recensii in maniera entusiastica, sullo stesso magazine per cui realizzai l'intervista: tale recensione "obbligò" il caporedattore ad inserirlo nei dischi in evidenza. Questo per dire semplicemente che a me la musica di Umberto piace, ed è sempre piaciuta. Nel 2010 abbandona il nome Moltheni, ma non la musica, e si dedica al progetto Pineda, una band post-rock nella quale suona la batteria, suo primo strumento. Ma l'anno scorso, assunto il nome d'arte, appunto, di Umberto Maria Giardini, rieccolo con un progetto suo. E lasciatemi dire, seppure penserete che sia un giudizio falsato da tutte le cose che vi ho raccontato prima, che questo disco è un gran disco, e che Umberto mancava davvero alla musica italiana, anche se in pochi si accorgeranno di lui, a parte quelli che lo seguivano già, e che non sono mai troppi. 
Con un suono bello pieno, il cantautore marchigiano sforna l'ennesimo disco intenso, mantenendo il suo marchio di fabbrica nei vari pezzi, ma spingendo sulle dilatazioni, dando libero sfogo al suo amore per un certo tipo di progressive rock, fino alla sua accezione moderna, il post-rock. E si capisce fin dall'iniziale strumentale L'imperatrice, che chiarisce a chi non sapesse cosa attendersi, la gamma di suoni alla quale si va incontro. Seguono Anni luce, che potremmo definire un classico pezzo alla Moltheni, con un testo anch'esso classicamente Giardini (Latte giovane/coperto dalla panna/la tua bocca inganna/ma nella mia verità/avrei dovuto guardare agli anni tuoi/ci avrei trovato dubbi/quelli miei), Il trionfo dei tuoi occhi, la bellissima Quasi nirvana (e dopo questo trittico ci si rende conto che, anche a livello vocale, Umberto è in gran forma), che recita "amore antibiotico/antiaderente al mio cuore" e che stupisce per il ventaglio sonoro complessivo. I quasi quattro minuti di Il desiderio preso per la coda sono esaltanti: un ulteriore pezzo strumentale che gira intorno ad un riff semplice ma molto bello, che si arricchisce di strumenti e di suoni, che si stratifica formando una spirale di godimento musicale puro, soprattutto in cuffia. Si riprende con le canzoni cantate, Discographia ("colpa del fato se sono malato/ma tu meravigliosamente ammetti/che virale un po' mi infetti"), Fortuna ora, che si dilata per oltre due minuti nel finale (doppio), la parte sorprendentemente migliore del pezzo, Saga, con riferimenti alla mitologia nordica ma senza prenderla apparentemente troppo sul serio. Ecco, Saga è il classico esempio dello stile di Umberto Giardini, quei pezzi che alla fine si somigliano sempre un po', ma che sono sempre e comunque di grandissimo effetto. Genesi e mail ha probabilmente il testo migliore, il più divertente del disco. Divertente ma mai stupido: "ridi civetta/che quaggiù in città/dove peno io/l'uomo ha fretta/dice sempre no/a meno che non ci sia una vagina". E ancora: "femmina è l'amore/maschio il dolore/giungimi in ritardo/ma nel farlo lascia almeno la tua mail". Applausi. Archi a profusione e armonici mirati fanno di Genesi e mail uno dei punti più alti del disco. Il sentimento del tempo è l'ennesimo, piccolo capolavoro. Partenza sparata costruita su un assolo vorticoso ma semplice, un'introduzione prog da quasi due minuti, poi uno stop, un tempo sincopato, due strofe cantate, ermetiche e no, e poi si riprende dall'introduzione. Tutto molto bello. Gran finale con i nove minuti abbondanti de L'ultimo venerdì dell'umanità ("Magma/scendi/bruciaci/fallo/se ti va/di venerdì. Fiori/apritemi/il garage/quando/uscirò/con la mia roulotte"), altro gran pezzo, altra lavatrice al cervello, altro vorticoso giro di giostra progressive. Le chitarre, sia di Umberto che di Marco Maracas, svolgono un lavoro enorme per quantità e qualità, la batteria e le percussioni di Cristian Franchi è al tempo stesso prepotente e tecnica, le tastiere (su tutti il piano Rhodes) di Giovanni Parmeggiani punteggiano, diversificano, creano mood differenti, esaltano le emozioni che scaturiscono dall'ascolto. Disco di straordinario spessore, generatore di sensazioni profonde, ennesima dimostrazione della passione incondizionata di un musicista che possiamo definire artista senza troppi timori, che ci ricorda due cose fondamentali: si possono fondere insieme influenze diverse, generando ibridi meravigliosi, e che per fare grande musica bisogna amarla davvero, la musica. E, credetemi, Umberto Giardini è sicuramente un grande amante della musica.

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