E ora dove andiamo? - di Nadine Labaki (2012)
Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)
Giudizio vernacolare: ganzetto ma non solo
Siamo in Libano, in un villaggio senza nome, sperduto nell'entroterra, isolato dal crollo del ponte che lo collegava ad una strada che porta alla città più vicina. Dallo stretto passaggio rimasto in piedi, passano solo due giovani, Roukoz e Nassim, con una motoretta e un piccolo rimorchio. C'è da fare attenzione, perché le mine sono dappertutto. La vita scorre lenta e tutto sommato pacata, ma il cimitero è pieno di uomini che hanno reso vedove molte donne del villaggio. Il cimitero è il simbolo di quella parte di Medio Oriente: diviso a metà da un camminamento, da una parte i morti musulmani, dall'altra quelli cristiani. La chiesa e la moschea sono praticamente di fronte; il prete e l'imam, insieme alle donne del villaggio, tutti stanchi della guerra perenne, che divide ormai da tempo immemorabile l'intera nazione, sono sempre all'erta per dissuadere gli uomini, attacabrighe per ragioni futili e tutto sommato ridicole, dall'imbracciare ancora una volta le armi. La religione non riesce a dividerle, loro: ogni volta, ad ogni minimo accenno di litigio, se ne inventano una nuova. Se il villaggio si riunisce per guardare l'unica televisione funzionante, in un unico punto dove si riesce a captare il segnale, ed il telegiornale annuncia scontri, loro si mettono a fare confusione apposta, e potrebbero perfino arrivare a sabotare l'apparecchio. Perfino quando muore loro qualche familiare, o qualcun'altra è innamorata di un uomo di religione "opposta", non perdono la lucidità e la voglia di inventarsi un mondo migliore. Costi quel che costi.
Nadine Labaki, che già mi aveva fatto impazzire con il suo debutto nel lungometraggio, con lo splendido, abbagliante Caramel, non finisce di stupire. Con questo suo secondo lavoro cambia un po' registro, si addentra maggiormente nel cuore del problema medio-orientale, ma riesce magicamente a mantenere la tematica femminile al centro del soggetto, a fornire spunti di riflessione senza far mancare il sorriso, anzi, sono convinto che uno spettatore mediamente intelligente (come quelli che leggono questo blog) si farà grasse risate guardando E ora dove andiamo?, ma a disseminare pure il film di momenti forti, di quelli che rimangono impressi perché toccanti. A dire la verità, forse per i cambi di tono frequenti, il film è meno fluido di quanto lo fosse Caramel (un mezzo punto in meno, per intenderci); ci sono perfino un paio di "numeri" da musical (non dimentichiamoci che Labaki si è costruita una carriera con i videoclip), tanto per farvi capire che l'amalgama non era così semplice. Nonostante ciò, mi sento ugualmente di caldeggiarvene la visione, non fosse altro che per il messaggio di speranza; e poi, perché è divertente in maniera elegante ed "esotica", senza dubbio poco usuale per noi europei.
La regista, bella come sempre, si ritaglia il ruolo della proprietaria del bar Amale (e per la sorella Caroline, anch'essa regista di videoclip, quello di Aida, la moglie di Issam, fratello di Nassim), ma il cast è composto in larghissima parte da non professionisti (o debuttanti), che però non lasciano a desiderare. Annotazione noiosa, ma doverosa: avendo avuto la possibilità di vedere qualche spezzone del film in lingua originale (nello specifico, la "scenata" di Amale, quando butta fuori dal bar tutti gli uomini), devo dire tristemente (e ancora una volta), che come accade spesso per i film che non sono di lingua inglese, il doppiaggio è scadente, e fa scendere la qualità del prodotto.
Come detto, una mezza spanna sotto al debutto, ma una certezza: Nadine Labaki è una regista con personalità e idee.
Nessun commento:
Posta un commento