No pain. The world is a wonderful whisper for those who can listen, if necessary in silence.

20120120

vergogna



Shame - di Steve McQueen (2012)


Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)
Giudizio vernacolare: popo' di nerchia ti cià lulì dé...


New York, oggi. Brandon Sullivan è un thirty-something di origini irlandesi, perfettamente integrato nell'ambiente statunitense e, nello specifico, in quello della Grande Mela. E' un dirigente d'azienda, ed è il pupillo del suo capo, David Fisher. Ha un appartamento minimal-chic, funzionale ed elegante, è lui stesso una persona elegante e di bell'aspetto: le donne vanno pazze per lui. Brandon, però, nasconde, almeno nel suo ambiente, un segreto, una malattia psicologica. E' una persona dipendente dall'attività sessuale. Il suo tempo libero, anzi, spesso perfino nell'orario di lavoro, si incontra con prostitute, si masturba, fa sesso on-line, possiede centinaia di riviste pornografiche e di video porno. Dal suo sguardo trasuda la difficoltà, l'impegno necessario per presentarsi come una persona normale, nel suo ambiente. Brandon ha una sorella, Sissy, disordinata (al contrario di lui), nomade in un certo senso (al contrario di lui), probabilmente con lo stesso problema riguardo all'attività sessuale. Fa la cantante jazz. Dopo una serie interminabile di telefonate, ignorate da Brandon, Sissy si presenta a casa sua, e per un periodo indefinito si stabilisce lì, intenerendo Brandon. La sua presenza lo destabilizza. Brandon non sembra più capace di gestire la sua dipendenza, prova perfino ad uscire due volte con la stessa donna, una collega, ma il suo tentativo fallisce miseramente. Esiste una via d'uscita?


Film di non facile fruizione, questo nuovo, e molto atteso, lavoro del regista che ci aveva stupito col suo debutto, l'impressionante Hunger, da me segnalato tempo fa, mai uscito in Italia (ma presentato al Torino film festival nel 2008). Stilisticamente addirittura superiore al precedente (unisce una fotografia vagamente dark a movimenti di macchina essenziali ma di grande qualità, riuscendo a risultare realista, e a disegnare l'ambiente newyorkese senza sfociare in un qualcosa di patinato), a mio modesto parere eccede nel minimalismo della sceneggiatura (scritta dallo stesso McQueen a quattro mani con Abi Morgan, curiosamente sugli schermi in contemporanea con una pellicola completamente differente, The Iron Lady) e dei dialoghi (spesso davvero urticanti da quanto sono prevedibili ed insensati, ma spero sia volutamente lo specchio di una vuotezza disarmante dei protagonisti), lasciando davvero troppo spazio al non detto. Così facendo, certo, carica di una enorme responsabilità Michael Fassbender, qui nei panni di Brandon Sullivan, ormai stella di prima grandezza nel firmamento cinematografico (potremmo sommariamente liquidare anche questo film come uno di quelli ritagliati appositamente su un attore, per farlo competere alla corsa agli Oscar, ma qui si vede che c'è qualcosa di più), che dopo la deludente prova nel cronenberghiano A Dangerous Method (a proposito, si conferma la mia teoria su di lui, espressa timidamente nella recensione di Eden Lake: è molto più a suo agio nelle parti che richiedano una notevole fisicità), ci regala una prestazione di straordinaria intensità, soprattutto nella seconda parte della pellicola (la scena finale, e pure la scena del threesome), riuscendo solo con le espressioni del viso, a spiegare allo spettatore quello che la sceneggiatura e i dialoghi (appunto), non mi sono sembrati in grado di fare: l'abisso di solitudine in cui viene precipitato un sessodipendente. Un clamoroso paradosso, al mondo d'oggi, dove la sessualità è diventata precoce, dove le immagini che sottintendono eccessi di sessualità sono ormai traboccanti, dalla televisione e dalla pubblicità perfino in strada; significativo lo sfondo di una grande città, dove una persona come Brandon Sullivan può, si, avere sesso in qualsiasi angolo e a qualsiasi ora del giorno o della notte, ma, alla fine, sentirsi più solo che mai. All'altezza le prove dei non protagonisti, Carey Mulligan (Sissy) e James Badge Dale (David; da dopo che l'ho visto in The Pacific si vede sempre più spesso. O ha svoltato, oppure ero io che non ci facevo caso). Per i maschietti, siate preparati: le scene in cui Fassbender si vede come mamma l'ha fatto (pisello compreso), vi faranno venire i complessi d'inferiorità (oppure vi faranno gridare alla protesi, a voi la scelta); vi riprenderete sicuramente quando vedrete (parzialmente) svestita Nicole Beharie (Marianne), la collega di colore alla quale Brandon "concederà" il secondo appuntamento: calze e scarpe, ma soprattutto fisico da urlo.


Sono ancora incerto: se avesse spiegato qualcosa in più, poteva essere un semi-capolavoro, oppure no? Non lo sapremo mai. Di certo, McQueen è un cineasta con una idea di cinema basata sulla fisicità (ricordate Hunger? Se non l'avete visto, fatelo. Molti critici più attenti di me hanno già sottolineato come i due film siano complementari, seppur diversi), ma di certo non un regista di film d'azione: per questo mi piace. Ed ha sicuramente una grande, grandissima personalità: traspare anche questo, da Shame.

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