L'arte di vincere - di Bennett Miller (2012)
Giudizio sintetico: si può vedere (2,5/5)
Giudizio vernacolare: e io che penzavo ci volesse la larea solo per capillo 'r besbol... invece ci vole anco per fa 'r dirigente!
USA, 2001. Billy Beane è il General Manager degli Oakland Athletics, squadra di baseball, e sta cercando di fare buon viso a cattivo gioco. Gli Athletics hanno perso contro i New York Yankees nella postseason (i play off nel baseball statunitense si chiamano così, la finale viene chiamata World Series), sono in procinto di iniziare la nuova stagione senza le loro tre stelle, Jason Giambi, Johnny Damon e Jason Isringhausen, e il budget non permette alla squadra di rimpiazzare questi giocatori, o di pagarne comunque di nuovi che abbiano un certo nome. In un incontro con i dirigenti di una squadra avversaria per trattative su alcuni giocatori, rimane colpito da un giovane consulente di tali dirigenti. Scambia due chiacchiere con lui, si chiama Peter Brand, è laureato a Yale in economia, ed ha un approccio sabermetrico al baseball: una serie di statistiche possono, secondo questa teoria, stabilire quali giocatori sono sia più utili ad una squadra, sia più economici e maggiormente redditizi. Billy torna ad Oakland ed assume Peter come suo assistente personale. Qui comincia la prima battaglia: Billy sposa completamente l'approccio sabermetrico di Peter, e così facendo taglia fuori l'intera "corte" di consulenti della squadra. Vengono selezionati i giocatori da comprare, con un budget ridicolo se confrontato con quello delle altre squadre; alcuni di questi giocatori non riescono neppure a credere di essere contattati da una squadra della Major League. Cominciano gli allenamenti, poi la stagione. I risultati sono deludenti, perfino Casey, la figlia di Billy, è preoccupata del fatto che il padre possa perdere il lavoro. Billy la tranquillizza, ma effettivamente la situazione è tesa. Billy e Peter cercano alacremente di capire cosa non funziona: alcuni giocatori non occupano il ruolo che, secondo loro, dovrebbero. Ma è l'allenatore, Art Howe, è quello che decide le posizioni in campo e i cambi; Billy e Art hanno già delle frizioni a causa del contratto dell'allenatore, Billy "suggerisce" queste modifiche ad Art, ma Art rimane sulle proprie posizioni. Beane, per tutta risposta, scambia tre giocatori con altri, pur di mettere in crisi Art, e costringerlo a fare le modifiche che lui e Peter vorrebbero. La situazione ancora non migliora, finché...
Grande dispiego di mezzi, puntando naturalmente agli Oscar, per questo Moneyball, che in Italia si intitolerà L'arte di vincere. La storia si basa su fatti e persone vere (come potete verificare dalle schede Wikipedia linkate), e soprattutto sul libro Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game di Michael Lewis, autore tra l'altro anche di The Blind Side: Evolution of a Game, libro dal quale John Lee Hancock ha sceneggiato e diretto, appunto, The Blind Side, film che ricorderete per aver permesso di vincere l'Oscar a Sandra Bullock. Fotografia pulita e luminosa, ampio uso delle panoramiche aeree che spesso fanno da contrappunto o da introduzione ai numerosi eventi della storia, il regista di Truman Capote - A sangue freddo (e ci risiamo, film che fece vincere l'Oscar a Philip Seymour Hoffman, qui nei panni dimessi di Art Howe, in una prestazione tutto sommato incolore) dimostra di essere un bravo mestierante, ma niente di più. Il film, sceneggiato dalla coppia formata da Steven Zaillian (autore di grandi sceneggiature per grandi registi, Schindler's List, Gangs of New York, American Gangster, Il gioco del falco, e che ha diretto pure qualche film, come ad esempio Tutti gli uomini del re) e dal famoso Aaron Sorkin (come vi ho detto altre volte, un maniaco dei dialoghi, esempi classici la sua serie Studio 60 ed il recente The Social Network), va pure contro una delle leggende statunitensi, quella che chi fa un film sul baseball va incontro alla rovina. Il film non è una rovina, anzi, la storia è pure molto interessante ed ideologicamente ammirevole (la morale è "mai prendere decisioni dettate dai soldi"), forse eccessivamente tecnica, e sicuramente di difficile comprensione per un italiano medio, che di baseball non ne capisce un acca, ma alla fine non troppo entusiasmante. Anche le prove del cast, relativamente importante (Brad Pitt - Billy Beane -, il già citato Philip Seymour Hoffman - Art Howe -, Jonah Hill - Peter Brand -, Robin Wright - Sharon, la ex moglie di Billy -) , non sono particolarmente da sottolineare. Ci fa un figurone Kerris Dorsey, qui nei panni di Casey, la figlia di Billy, già Paige in Brothers & Sisters, con apparizioni in Sons of Anarchy e in Walk the Line, qui perfino alle prese con una cover di The Show di Lenka (due curiosità: la prima, il pezzo è del 2008 e il film si svolge nel 2001, sui goofs di imdb.com sono impazziti; la seconda, gustatevi - sperando che non doppino pure questo - il testo della strofa finale aggiunto dal personaggio di Casey nella registrazione, sui titoli di coda del film): la ormai tredicenne non è neppure bellissima, ma mi pare avviata verso una carriera quantomeno solida. Altre curiosità: Joe Satriani si intravede in un cameo nei panni di se stesso, e Spike Jonze interpreta, in una scena, il "nuovo" marito di Sharon, con indosso un paio di ciabatte assolutamente inguardabili.
Ve lo dico fin da adesso: se l'Academy assegnasse a questo film qualche Oscar, mi troverebbe in disaccordo. Soprattutto per le ciabatte di Jonze.
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