The Conspirator - di Robert Redford (2011)
Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: boia, se ci 'apitava sirvio 'n que' tempi lì l'aveva bell'e scampata la forca
Mentre la Guerra di secessione americana stava terminando, la sera del 14 aprile 1865, a Washington, un gruppo di Confederati tentò di assassinare il Presidente Abramo Lincoln e altri componenti del governo: solo il Presidente, dopo alcune ore di coma, morì. John Wilkes Booth, attore di teatro piuttosto famoso, che sparò a Lincoln, fu scovato ed ucciso. Altri sette cospiratori furono catturati e processati. Uno di loro, John Surratt, riusci a fuggire, e rimase per molto tempo latitante. Ma sua madre, Mary Surratt, fu catturata ed accusata di aver partecipato attivamente al complotto, in quanto proprietaria della pensione dove si erano riuniti i cospiratori.
Il processo fu pilotato, soprattutto per volere del Segretario di guerra Edwin Stanton; la Surratt fu difesa dal senatore nonché avvocato Reverdy Johnson, che delegò la difesa ad un suo associato, Frederik Aiken, un giovane avvocato che aveva servito come colonnello, fino a pochi giorni prima, nell'esercito unionista. Aiken, naturalmente riluttante in principio, a difendere la Surratt, convinto della sua colpevolezza e visto come un traditore dall'opinione pubblica nordista, si convinse pian piano della necessità di difendere la donna, e si rese conto che il processo era pesantemente falsato. Questo gli causò ancor più problemi, anche con i suoi affetti più cari. Alla fine, però...
Il grande Redford torna alla regia, e naturalmente prende a pretesto una storia del passato per accendere un dibattito sul presente. Curiosamente, ho visto questo film in ritardo, poco prima di vedere J. Edgar di Eastwood, sulla figura di John Edgar Hoover, e pur svolgendosi a 100 anni circa di distanza l'una dall'altra le storie, convergono su una specie di strategia della paura, attuata dai governanti degli Stati Uniti d'America nei confronti dei loro cittadini.
Il film di Redford, che difetta forse un poco nell'eccessiva lunghezza, e soprattutto nell'uso di una fotografia esageratamente "smarmellata" (vedi Boris e il direttore della fotografia Duccio Patané), è invece ottimo sia nella ricostruzione storica (guardatevi, per dirne una, la fotografia della pensione della Surratt, e confrontatela con quella del film), sia nell'atmosfera, nella scelta del cast, e come detto, nell'instillare una profonda riflessione sulla giustizia, in generale e statunitense, e sulla gestione del potere in ogni epoca storica. Ottima la scelta della figura del protagonista Aiken, eroe nordista che si trova a dover (dapprima) difendere una sudista; inizialmente viene forzato da Reverdy Johnson, perché ognuno dovrebbe avere un processo giusto, poi, col passare del tempo e degli eventi, Aiken si convince della giustezza dell'incarico che Johnson gli ha affidato, a dispetto dei suoi sospetti sul coinvolgimento della Surratt, e di tutti quelli che lo vedono come un traditore, o anche solo in una posizione sconveniente. Dilemma etico, umano, quindi, oltre che "nazionale".
Bravi McAvoy (Aiken) e la Wright (Mary Surratt), un grande cast di contorno, sia di stelline (Evan Rachel Wood, Alexis Bledel, Johnny Simmons, Justin Long), sia di ottimi caratteristi vecchi e giovani (Tom Wilkinson, Danny Huston, Colm Meaney, James Badge Dale). Ottimo pure Kevin Kline nei panni di Edwin Stanton.
PS allego la locandina statunitense, molto più bella di quella italiana.
2 commenti:
Anch'io, vedendo l'ultimo film di Eastwood, non ho potuto fare a meno di pensare a questo bel film di Redford e, dovessi scegliere tra i due, sceglierei senz'altro "The cospirator".
Due particolari di questo film mi sono rimasti impressi:
1) l'uso molto singolare della luce. I visi dei protagonisti, soprattutto durante le varie fasi del processo, risultano quasi sfocati tanta è la luce che li colpisce (da dietro, se non ricordo male, ma dovrei rivederlo) e mi sfugge il senso di questa luce violenta ma mi rendo conto che è voluta e finalizzata a qualcosa
2) I cappucci. Non so se hai notato quanto si insiste sulle immagini di personaggi incappucciati. Anche al processo gli imputati arrivano a viso coperto. Non so se storicamente questo corrisponda al vero, non c'è dubbio però che il riferimento - chiarissimo - è ai prigionieri di Gunatanamo.
Infine trovo che, nel ruolo di Mary Surrat, Robin Wright sia eccezionale nel rendere la sincerità e al tempo stesso l'ambiguità del personaggio.
d'accordo. anch'io alla seconda volta dei cappucci (alla prima ho pensato alla colazione) ho pensato a guantanamo e ai rage against the machine (nel tour di reunion arrivano sul palco incappucciati, incatenati, tuta arancione al suono della sirena del coprifuoco).
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