Paradiso amaro - di Alexander Payne (2012)
Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Giudizio vernacolare: ci si sta gobbi all'auai
E' vero: siamo tutti convinti che le Hawaii siano un paradiso. Eppure, le persone che vivono lì, seppur abbigliate con camicie che ormai noi non indosseremmo più neppure per una festa di carnevale, conducono un'esistenza (quasi) normale, su uno sfondo paradisiaco, sia chiaro. Matt King è un avvocato importante, gran lavoratore nonostante sia ricco sfondato di famiglia: è infatti discendente di un missionario e di una principessa hawaiana, e, anche se la famiglia ha proliferato (e sperperato, a parte lui) sulle varie isole dell'arcipelago, possiedono ancora una spiaggia mozzafiato, con annesso entroterra, sull'isola di Kauai; terra però che sono obbligati, da una legge, a vendere entro pochi anni. Il fatto che tutti i cugini siano pressoché in bancarotta, ma che Matt, oculato per non dire tirchio, e quindi senza troppi problemi, sia però l'unico con diritto decisionale, complica non di poco le cose. Ora, non è che Matt stia passando un bel periodo. E' sempre stato talmente immerso nel lavoro, che non si è reso conto che la sua famiglia si stava disgregando completamente. La bella e adrenalinica moglie Elizabeth, dopo un incidente occorsole mentre praticava uno degli innumerevoli sport estremi da lei prediletti, è in coma, e il dottor Johnston, anche amico di famiglia, ha appena comunicato a Matt che è irreversibile; dato che Elizabeth ha lasciato un testamento biologico, la staccheranno dalle macchine, per cui al massimo entro un paio di settimane morirà. Le due figlie sembrano ingestibili, e soprattutto, lui non lo ha mai fatto. Alexandra, 17 anni, flirta con alcol e droghe, e da qualche mese non parla(va) più con la madre; si è allontanata anche fisicamente, dato che studia a Big Island, ed è convinta che il padre non ricordi nemmeno il suo nome. Scottie, 10 anni, è bisognosa di attenzione costante, molto sveglia, e piuttosto bizzosa. L'insopportabile suocero Scott lo tratta come se l'incidente della figlia fosse colpa sua. Come se non bastasse, mentre Matt comunica ad Alexandra per prima, l'imminente morte della moglie, lei gli rivela che la madre lo tradiva. Appurato che Elizabeth gli avrebbe chiesto il divorzio, destabilizzato ma sempre assolutamente ragionevole, Matt inizia una sorta di road trip in compagnia di Alexandra, Scottie e Sid, un caro amico di Alexandra, durante il quale non solo comunicherà a familiari ed amici stretti che Elizabeth morirà, ma, appurata l'identità dell'uomo con cui la moglie lo tradiva, lo rintraccerà e si confronterà con lui, scoprendo in qualche maniera che questi è in qualche modo legato anche al tema della vendita della terra di famiglia.
Non è che sia un brutto film, The Descendants (orribile, davvero orribile il titolo italiano, mi rifiuto di scriverlo ancora). Affronta un tema tutto sommato semplice, già affrontato, con estrema franchezza, probabilmente nel modo più reale possibile: alla fine, che devi fare, quando ti muore la moglie, scopri che ti tradiva, e che le persone, anche i parenti, da te vogliono solo un modo per far soldi? Ti attacchi a quel che rimane, in questo caso, in quello di Matt King, le figlie. Certo, di temi ne lascia per strada diversi, come per esempio il testamento biologico, ma perché dovrei accanirmi su un film, quando neppure Elizabeth voleva che i macchinari si accanissero su di lei?
The Descendants ha pure ricevuto un bel po' di nominations agli Oscar: sceneggiatura non originale (è tratto dal romanzo omonimo di Kaui Hart Hemmings, che recita in un cameo, nella parte della segretaria di Matt), montaggio, regia, attore protagonista (George Clooney, che è naturalmente Matt King; bravo, innegabilmente, misurato, pure troppo a mio avviso, meno faccine del solito e più fisicità impacciata - la scena della corsa verso la casa degli amici per domandare con chi lo tradiva la moglie, inserità anche nel trailer, è davvero divertente, anche se poi, a ripensarci, è uno dei momenti più tristi -), miglior film. La storia è commovente, ti tocca, il protagonista si comporta esattamente come uno si immagina: qui, forse, sta il limite, anche del lavoro complessivo, di Payne come regista, almeno ai miei occhi. Dopo qualche minuto, qualche secondo del film, si sa esattamente cosa succederà. Fin nei minimi particolari. Magari è "colpa" del romanzo, ok. Di certo Payne, col suo stile diligente, rallentato, dilatato, rilassato, che lo sfondo meraviglioso delle isole Hawaii esaltano a dismisura, non fa niente per sorprendere lo spettatore. Magari non c'è bisogno di soprenderlo. Però, così come non riuscii a giustificare, dopo averlo visto, le lodi sperticate lette ed ascoltate prima di vedere Sideways, anche in questo caso sono certo che ricorderò questo film più per le orribili camicie hawaiane (ma le ho portate anch'io, lo confesso, come tutti quelli della mia età, ad un certo punto della vita) o per gli splendidi panorami, che per l'interezza del film.
Di sicuro Payne è un bravo direttore di attori. Detto di Clooney (candidatura/prova superiore a quella del Pitt di Moneyball, ma inferiore a quelle di Oldman e Dujardin, ancora da verificare com'è messo rispetto a quella di Bichir), sottolineerei le prove dell'anziano Robert Forster nei panni dell'antipaticissimo suocero Scott, e della giovane ma promettente Shailene Woodley nei panni della figlia maggiore di Matt, Alexandra, uno dei fulcri del film. Beau Bridges (che, come il fratello, ha ancora un sacco di capelli, almeno così pare) è il cugino Hugh, e nei panni del pilota del motoscafo dell'incidente di Elizabeth, Troy, c'è il mitico Laird Hamilton.
Non so, forse è un problema mio nei confronti di Alexander Payne, ma anche stavolta non mi ha convinto fino in fondo.
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