Almanya - La mia famiglia va in Germania - di Yasemin Samdereli (2011)
Giudizio sintetico: da vedere (3,5/5)
Giudizio vernacolare: vando gireranno un firme 'osì sull'immigrazzione in Italia, sarà sempre troppo tardi
Monaco, Germania. Dopo 45 anni, molti dei quali passati a lavorare, Huseyin, turco della regione dell'Anatolia, sta per diventare cittadino tedesco a tutti gli effetti, e con lui la moglie Fatma. Huseyin, ormai in pensione, ha avuto con Fatma quattro figli: Veli, Muhamed e Leyla, nati in Turchia, e Ali, il più giovane, nato quando la famiglia si era già trasferita in Germania. Tutti si sono fatti una vita "tedesca", al punto che il nipotino Cenk, figlio di Ali e della moglie (tedesca) Gabi, è talmente confuso sulle sue origini che non sa se, con i compagni di scuola che giocano a pallone, deve schierarsi tra i turchi o tra i tedeschi; confusione che aumenta quando, sollecitato dalla maestra a parlare delle origini della propria famiglia, quando lui risponde "Anatolia", la maestra è costretta a porre la bandierina di provenienza fuori dalla mappa, visto che è una mappa europea.
Huseyin, nonostante il passaporto (e la cittadinanza) tedesco nuovo di pacca, non ne vuol sapere di sentirsi tedesco, tanto è che comunica alla famiglia radunata per un pranzo, che ha appena acquistato una casa in Anatolia, e vuole che per le vacanze estive tutta la famiglia vada con lui a vederla, e a dargli una mano per i lavori di ristrutturazione. Tra quelli che non sono troppo convinti di questa gita di famiglia, la nipote Canan, figlia all'incirca diciottenne di Leyla, che scopre di essere incinta del fidanzato inglese David, e che non sa come dirlo alla madre, e al resto della famiglia. Sarà però proprio Canan, attenta "tesoriera" della storia della famiglia Yilmaz, che aiuterà Cenk a schiarirsi le idee sulle sue origini, raccontandogli la storia di Huseyin, Fatma, e della relazione "privilegiata" tra la Germania e la Turchia, e di come, dal dopoguerra ad oggi, le cose siano cambiate.
Non so com'è, ma le delizie della stagione cinematografica arrivano quasi sempre tra dicembre e gennaio. Fateci caso. Certo è che, quando arrivano, quando vi stai assistendo, te ne rendi conto. Io personalmente vivo uno strano stato di eccitazione e commozione singhiozzante, naturalmente unita a pianti a dirotto, che a stento riesco a trattenere, cercando invano di non rendermi ridicolo al cospetto degli altri spettatori che, non so come facciano, si commuovono sempre molto meno di me. E quando scorrono i titoli di coda, mi sento meglio, soddisfatto come se avessi guadagnato mille euro in un'ora e mezzo. E invece, ho solo pagato il biglietto di una sala cinematografica.
Scuserete la pallosa introduzione, ma sono certo che la confronterete con le vostre sensazioni, dopo che avrete visto Almanya (per chi proprio non ci arrivasse, Germania in turco). E' uno di quei film "piccoli", delicati, deliziosi, soddisfacenti appunto, che uno si aspetta sempre di "scoprire" dentro ad un cinema che magari è sempre sul punto di chiudere (poi, magari lo proietteranno anche dentro ai multisala, ma non sono sicuro che risulterebbe avere lo stesso gusto). Purtroppo, come ho già espresso sia nella top ten, sia nel giudizio vernacolare, questo tocco levigato e dal tono riconoscente (verso la Germania, paese che ha "richiesto" e accolto centinaia di migliaia di gastarbeiter, cambiando le loro vite, quelle delle loro famiglie, quelle dei loro paesi di origine e, ovviamente, quelle della stessa Germania), non mi risulta che sia mai stato usato da un qualsiasi figlio, nipote, discendente di lavoratore immigrato, nei confronti dell'Italia: quando accadrà, a parte che sarà sempre troppo tardi, potremo ritenerci soddisfatti, non più razzisti, e sicuramente saremo un popolo migliore.
Ma mi rendo conto che sto perdendo di vista il punto: tutto merito di Almanya, e di queste due stupende persone, Yasemin Samdereli, regista, e della sorella Nesrin, co-sceneggiatrice (insieme a Yasemin), perché per fare un film così bello bisogna essere per forza anche belle persone, turco-tedesche di ennesima generazione, che si sono impegnate (da sempre) nel de-drammatizzare la visione che i tedeschi avevano della famiglia tradizionale turca. E ci sono riuscite perfettamente, miscelando con sapienza commedia e dramma, storia ed attualità, road-movie e sit-com, con una visione che dovrebbe essere quella europea, per un'Europa migliore.
Fotografia brillante, ritmo fresco senza un cedimento, interpreti stupendi ed ottimamente diretti, sceneggiatura all'apparenza semplice ma invece ben strutturata, le due sorelle ci regalano un gioiellino che sarà difficile dimenticare, per chiunque lo vedrà.
Il tutto si chiude sulla citazione dello svizzero Max Frisch, proprio sull'immigrazione (lui pare si riferisse a quella italiana in Svizzera): "Wir reifen arbeitskrafte und es kamen menschen", se ho ben capito più o meno "Cercavamo lavoratori e sono arrivate persone".
Ce ne fossero, di film così.
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