Annibale - Un viaggio - di Paolo Rumiz (2008)
"Secondo te siamo pazzi?"
"Tutto questo è magnifico. Se si insegue un mito è normale smarrirsi."
"Ma oggi, il mito non c'è più. Nessuno lo cerca."
"La morte del mito è la cosa più oscena dell'oggi. E' la fine dell'incantamento, dell'immaginazione, del desiderio. Senza quella cosa l'uomo si perde, diventa un grande invalido. Perciò andiamo, siamo sulla strada giusta."
Mi trovo sovente a pensare che ho delle letture troppo "ristrette", nel senso che leggo spesso i soliti autori. Ma non ci posso fare niente, e mi fido del mio istinto: di sicuro, non smetterò mai di leggere le cose che Paolo Rumiz scrive. Resoconto dell'ormai classico viaggio agostano che il giornalista/scrittore/viaggiatore compie per Repubblica dal 2001, questo libro pubblicato nel 2008 (il viaggio era dell'agosto 2007) narra della ricerca, da parte di Rumiz, delle tracce lasciate, in Italia ma anche in Spagna, in Francia, e perfino in Turchia e in Armenia, dal condottiero che ebbe il coraggio di affrontare la Roma Avanti Cristo, mettendole si paura, ma anche, in un certo qual modo, rafforzandola e dandole gloria imperitura perenne.
"Seguimi," gli dice Maharbal, "io ti precederò con la cavalleria, perché i Romani sappiano che sei arrivato prima di sapere che stai per arrivare." Ma Annibale esita, chiede tempo per riflettere sul da farsi. Al che Maharbal gli risponde con una frase immortale: "E' chiaro che gli dèi non danno tutti gli doni a uno stesso uomo. E tu sai vincere, Annibale, ma non sai approfittare della vittoria". Vincere scis, Hannibal, victoria uti nescis.
C'è ben poco da descrivere, se un minimo conoscete Rumiz, questo giornalista triestino che, negli ultimi anni, ci ha insegnato una corretta maniera di viaggiare, sulle tracce di qualcosa di storico o sociale, cercando, con al fianco la storia, recente o antichissima, di trovare qualcosa di noi stessi. Un personaggio in grado di insegnarci, o di re-insegnarci la storia che a scuola non ci appassionava poi così tanto, e nel contempo di citare gli Almamegretta (pagina 119) e Neil Young (pagina 184); senza dimenticare brevi ma illuminanti riflessioni sul presente socio-politico.
Radici cristiane dell'Occidente? Prima delle radici cristiane ci furono le radici grache e romane, fondamento di un concetto di governo basato sul concetto di ius e sulla responsabilità che parte dal basso. Un'idea che fu semmai scardinata dal Cristianesimo, portatore di un'idea teocratica orientale che smantellava i legami trasversali fra élite e gettava i presupposti del culto della personalità, trasformando i capi supremi in "unti del Signore".
Un reporter con uno stile invidiabile e coinvolgente, ruspante ma al tempo stesso coltissimo, che riesce perfino, in un contesto principalmente storico, a farci riflettere perfino sulle differenze tra le guerre di pochi decenni or sono, rispetto a quelle odierne:
Qui (in riferimento ad Anogeia, Creta) nell'aprile del 1944 avvenne uno degli episodi più romanzeschi della Seconda guerra mondiale. Il futuro scrittore di viaggi inglese sir Patrick Leigh Fermor, allora trentenne, venne paracadutato in zona per coordinare la resistenza antinazista e decise una mossa inaudita: la cattura del generale Heinrich Kreipe, comandante della guarnigione a Creta. Un commando di partigiani greci travestiti da tedeschi mise a segno il colpo e nascose l'alto ufficiale in una grotta.
Un giorno Fermor vide che il tedesco, seduto all'ingresso della caverna, guardava incantato il Monte Ida ancora coperto di neve e mormorava in latino versi di Orazio: "Vides ut alta stet nive candidum Soracte", guarda il monte Soratte candido di neve alta. L'inglese, che conosceva bene il greco e il latino, proseguì il verso: "Nec jam sustineant onus silvae laborantes geluque flumina constisterint acuto".
Il tedesco si voltò, stupefatto. "Ach so, herr Major," disse. E Fermor, emozionato: "Jawohl, herr General". Significava: vedi, qualcosa ci accomuna, vecchio mio, anche se siamo nemici. Al che Kreipe, con un sorriso; "Vedo che abbiamo bevuto alle stesse fonti".
"Da quel momento in poi le cose furono diverse fra noi," mi raccontò Fermor sessant'anni dopo. "S'immagini," commentò pensando alla grossolana distruzione del patrimonio iracheno, "quant'erano preparati i militari una volta... Io ero stato mandato in Grecia perché avevo studiato Omero, e Kreipe aveva fatto otto anni di studi classici. Sono cose che non esistono più."
Uno scrittore, o come volete, giornalista oppure viaggiatore, che di sicuro ogni aspirante viaggiatore non deve lasciarsi scappare. Anche se, sono convinto, farebbe bene anche a chi non è così appassionato di viaggi.
2 commenti:
mi hai incuriosito. e mi ha incuriosito il fatto che entrambi oggi iniziamo parlando di miti...
già. anche se te sei più bravo a sintetizzare, e spesso ti invidio un po' per questo!
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