The Cherry Thing - Neneh Cherry and The Thing (2012)
Ed eccone un altro, di dischi che squarciano l'indifferenza, in questo 2012. Manco a farlo apposta, ancora una volta frutto di una mente femminile, anche se, ad onor del vero, la signora in questione è qui accompagnata, anche nel
monicker, dai tre ragazzoni scandinavi (
Mats Gustafsson, sax, svedese,
Ingebrigt Haker Flaten, basso, norvegese, così come
Paal Nilssen-Love, batteria); i tre, noti come
The Thing, sono una band di
free jazz che prende il nome da un pezzo di
Don Cherry, e debutta proprio rifacendo pezzi suoi, proseguendo con un saccheggio da vari repertori musicali, virandoli nella loro chiave. Riallacciamoci, qui, alla storia della signora in questione:
Neneh Mariann Cherry nata
Karlsson, venuta alla luce a Stoccolma 48 anni fa, figlia di un percussionista della Sierra Leone e di una pittrice svedese, quest'ultima poi risposata con
Don Cherry (eccoci al primo link con i
The Thing), quindi suo patrigno. Anche chi fosse stato in ibernazione tra il 1989 e il 2000, conoscerebbe o almeno avrebbe sentito, almeno una volta,
7 Seconds. Ecco, il pezzo è scritto, e cantato, da
Youssou N'Dour e dalla signora in questione, ed era incluso nel suo terzo disco,
Man, del 1996.
Neneh Cherry, dopo aver militato in alcune
punk band inglesi, e nei
Rip Rig + Panic, debutta come solista nel 1989 con
Raw Like Sushi, un disco che, nonostante nasca grazie anche allo stretto legame che la
Cherry ha con la scena di Bristol ed i
Massive Attack, è distante dal suono
trip-hop, personale e decisamente innovativo, partendo dall'
hip-hop. Ho spesso pensato che artiste come
M.I.A. e
Santigold non esisterebbero, se non fosse per
Neneh Cherry; ma forse è solo una mia idea. I due dischi seguenti,
Homebrew del 1992 e
Man del 1996, segnano una direzione meno sfacciata ma elevano la qualità del
songwriting e contengono grandi canzoni; per la cronaca, sono stato un grande fan della
Cherry. Sparisce dalla circolazione fino al 2006, anno in cui esce
Laylow sotto il
monicker CirKus, band formata da lei, dal suo secondo marito, produttore e musicista
Cameron McVey, la loro figlia e il di lei fidanzato; con il nome
CirKus uscirà poi nel 2009 un altro album,
Medicine.
Un minimo di storia era necessaria, perché
Neneh Cherry rischia di essere sconosciuta dai più giovani, e questo non è bello; è un'artista che ha fatto bei dischi, e che evidentemente non si fa condizionare dai tempi dell'industria musicale, ricercando un percorso personale. Tanto è vero che questo nuovo disco riesce a stupire anche chi, come me, si considera un suo vecchio ammiratore. La voce di
Neneh, ben conservata,
rappa meno ma rimane un marchio di fabbrica; le cadenze
hip-hop, del resto, nel corso già del secondo e del terzo disco avevano lasciato il posto ad un cantato che accompagnava una forma-canzone raffinata. Qua, insieme ad una band che ha tecnica
jazzistica superlativa, ma anche un tiro decisamente
rock, la forma-canzone viene spesso destrutturata, fino a cose come
Dream Baby Dream,
cover dei
Suicide che molti conoscono perché "usata" spesso
live da
Bruce Springsteen, che qui diventa una curiosa espansione jazz-psichedelica.
Cover, si, perché il disco è infatti composto da sei canzoni di altri musicisti, più un pezzo composto dalla
Cherry (
Cashback, il cui giro di contrabbasso vi si stamperà dritto nel cervello; è il pezzo di apertura, e la scelta è decisamente azzeccata, è un pezzo che vi travolgerà) ed un altro scritto da
Gustafsson (
Sudden Movement). Il risultato è a tratti sconvolgente. Si riconosce la voce di
Neneh, come detto, ma ci si cala in un altro mondo, fatto di tecnica, di strappi, di scatti e di rilassamenti, si apprezza il
jazz come forse mai lo si era fatto prima (parlo del mio punto di vista). Questo disco è un viaggio, ed è definitivamente un viaggio da intraprendere, perché vi ripagherà ampiamente.
La lista dei pezzi, con le relative "origini", comprende, a parte quelli già citati,
Too Tough To Die di
Martina Topley-Bird (come dire, il cerchio con Bristol si chiude; il pezzo è sinuoso, sincopato, e la voce della
Cherry lo interpreta alla perfezione),
Accordion del
rapper MF Doom (davvero un gran pezzo, forse il più bello del disco; i
The Thing saranno portentosi, ma
Neneh Cherry canta da dea - beccatevi pure il
rap verso la metà del pezzo, micidiale),
Golden Heart di
Don Cherry (un po' troppo
jam-session a mio giudizio, ma ipnotica, quello si), come detto patrigno di
Neneh e ispiratore della carriera dei
The Thing,
Dirt degli
Stooges (spiazzante),
What Reason Could I Give di
Ornette Coleman (contorta ed intrigante), che collaborò a lungo con
Don Cherry.
Neneh Cherry è tornata. Personalmente, l'ho attesa a lungo.
Abbiate coraggio, e per una volta mettete da parte i quattro quarti. Uno dei dischi dell'anno,
absolutely.