Giudizio sintetico:si può vedere (3/5)
In una zona erbosa, un bufalo indiano si libera da una corda che lo lega a un albero. Vaga in una foresta, dove viene avvistato da un uomo che impugna una falce. L'uomo comincia a condurlo da qualche parte, mentre una figura stagliata con gli occhi rossi osserva. Boonmee vive in una casa in una fattoria con sua cognata Jen e suo nipote Tong. Boonmee soffre di insufficienza renale; il suo assistente laotiano Jaai gli somministra trattamenti di dialisi. Una notte, mentre Boonmee, Jen e Tong stanno cenando insieme, appare il fantasma della moglie di Boonmee, Huay. Huay, morta più di dieci anni prima, dice di aver ascoltato le preghiere di Jen e Boonmee per lei ed è consapevole della cattiva salute di Boonmee. Una figura pelosa e dagli occhi rossi sale le scale vicino al tavolo da pranzo e si scopre essere il figlio perduto da tempo di Boonmee, Boonsong. Boonsong, che praticava la fotografia, era scomparso alcuni anni dopo la morte di Huay. Boonsong stava cercando una creatura, che lui chiama "Scimmia Fantasma", che aveva catturato in una delle sue foto. Dice di essersi accoppiato con una Scimmia Fantasma, facendogli crescere i capelli e dilatarsi le pupille, e che, dopo aver incontrato la sua compagna, ha dimenticato "il vecchio mondo".
Forse per la prima volta da quando sono appassionato di cinema (e non esperto, né recensore, come ci tengo a ribadire spesso), dopo un paio d'anni dalla (re)visione di questo film, mi accorgo, mentre mi accingo a scriverne (ancora), che lo avevo già visto nel 2010, e (ve) ne avevo parlato (malissimo). E' successo qui, e la cosa mi fa sorridere, perché, se da una parte, potrei essere "maturato" in 10/12 anni, dall'altra potrei semplicemente essere diventato meno cattivo, o forse più snob. Siccome voglio essere trasparente, e soprattutto voi che mi leggete siete pochissimi, posso farlo. La seconda visione di questo film del regista thailandese, che vinse la Palma d'Oro a Cannes nel 2010, non è stata così tragica come la prima. E' un film che, come gli altri film dello stesso regista, che ho recuperato per farmi un'idea più completa, unisce un certo tipo di spiritualità orientale ad una ingenuità assoluta, anch'essa, e questa è una mia impressione, tipica di alcuni popoli asiatici. Richiede una fortissima sospensione dell'incredulità, molta tolleranza alla lentezza e alle recitazioni approssimative, e si fa apprezzare appunto, soprattutto per una sorta di ottimismo ingenuo e cristallino.
Perhaps for the first time since I have been passionate about cinema (and not an expert, nor a reviewer, as I often want to reiterate), after a couple of years after (re)watching this film, I realize, as I prepare to write about it (again), that I had already seen it in 2010, and I had told you (very badly) about it. It happened here, and it makes me smile, because, if on the one hand, I could have "matured" in 10/12 years, on the other, I could simply have become less bad, or perhaps more snobbish. Since I want to be transparent, and above all you who read me are very few, I can do it. The second viewing of this film by the Thai director, which won the Palme d'Or at Cannes in 2010, was not as tragic as the first. It is a film which, like the other films by the same director, which I recovered to get a more complete idea, combines a certain type of oriental spirituality with an absolute naivety, which is also, and this is my impression, typical of some Asian peoples. It requires a very strong suspension of disbelief, a lot of tolerance for slowness and approximate acting, and is appreciated above all for a sort of naive and crystalline optimism.
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