sabato scorso ho rivisto i vecchi amici di sambo, tutti tranne massimo.
abbiamo visto good bye lenin!, io per la seconda volta. la prima forse ero a berlino.
(Alex vive nella Berlino est di fine anni sessanta. La sua è una famiglia come tante altre, una coppia di genitori che si amano, una sorella. Suo padre un giorno però non fa ritorno da un viaggio all’ovest. Christiane, sua madre, abbandonata dal marito, supera il dolore dedicandosi alla causa del socialismo. Fermamente convinta dei valori del partito, che sembrano limitare la libertà del singolo ma offrono in cambio sicurezza e definizione del senso della vita, Christiane crede che il socialismo possa rendere migliore il mondo. Nell’ottobre del 1989, proprio alla vigilia dell’evento che cambiò indelebilmente la Germania e l’Europa, Christiane a causa di un infarto, entra in coma. Nei mesi successivi il muro di Berlino e con esso il socialismo cadono bruscamente, cedendo il passo all’avvento del capitalismo. Quando Christiane si risveglia miracolosamente dal coma, suo figlio Alex, per evitarle lo shock del cambiamento, decide di nasconderle i fatti accaduti. Nella stanza della sua casa Alex ricostruisce un microcosmo irreale ed ideale, dove rivive il socialismo. Un’isola felice rimanda l’immagine di un socialismo glorioso e idealizzato, che nella realtà non è mai esistito, se non nelle intenzioni e nelle speranze di coloro che credettero nei suoi valori.
Fuori le insegne della Coca Cola invadono gli spazi, una miriade di cibi provenienti dall’estero saturano i supermercati, la gente dell’ovest viene a cercare una casa a basso costo, e i simboli del potere decaduto vagano (letteralmente) nell’aria.
"Good Bye, Lenin!”, che in Germania ha riscosso un successo di pubblico senza precedenti, ha vinto come miglior film europeo al Festival di Berlino. Diretta da Wolfgang Becker, già regista di “Life is all you get”, questa pellicola è un piccolo gioiello. Non solo perché affronta un tema che da tempo si aspettava sul grande schermo, soprattutto da parte di un tedesco che ha vissuto in prima persona il disgregamento di una realtà politica e il difficile momento di passaggio a quella successiva, ma anche perché a questo piano narrativo si aggiunge quello umano della storia familiare. La grazia e la tenerezza del rapporto tra Christiane e Alex, che si affanna con tenacia a proteggere e a salvaguardare sua madre finendo con il ricreare e quindi salvare gli ideali con cui ella stessa l’ha cresciuto, avvolgono con sfumature malinconiche tutta la vicenda.
Becker si muove tra le strade di Berlino e i suoi luoghi del passato a volte spettrali e decadenti, altre volte proiettati verso un futuro ancora da venire (il Palais de la Republique, simbolo della DDR, i Platten Bau, il quartiere della Friederichsheim). La storia di una realtà mimata, spassosa nelle soluzioni (si pensi all’amico con il sogno della regia, che ricrea i telegiornali e manipola le notizie), cela un significato metaforico chiaro. Lo straniamento di un popolo investito da un cambiamento subitaneo e catapultato verso un futuro difficile da gestire si ritrova tutto fra le quattro mura della stanza di Cristiane. Alla sceneggiatura si aggiunga la bravura degli attori, credibili ma non dimessi, nonché un vezzo divertente dell’autore che cita apertamente, e non, Stanley Kubrick (il nome del protagonista, la scena citata di “2001 Odissea nello spazio”, l’urlo di Alex sul balcone del palazzo, la scena in cui Alex e Denis rimettono i mobili al loro posto).)
ci fosse ancora il socialismo nei paesei dell'est, come sarebbe la situazione politica adesso?
ci sarebbe ancora posto per mastella?
ma mastella farà mai all'ammmmore con sua moglie?
ho voglia di socialismo, come alex e sua madre, voglio una sinistra più a sinistra di quanto sia adesso.
au revoir lenin!
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