Smoke Ring For My Halo - Kurt Vile (2011)
Quarto disco per il cantautore e chitarrista di Philadelphia, ma devo confessarvi che è il primo che ascolto, incuriosito da molte citazioni, negli ultimi tempi, ma spinto soprattutto dall'apprezzamento che ha fatto di lui in una recente intervista Umberto Giardini (ex Moltheni, adesso Pineda).
Anche lui è stato "indirizzato" da una frase rilasciata in un'intervista da Kim Gordon, che citava l'ascolto di Childish Prodigy (il disco precedente) di Vile tra i suoi "piaceri colpevoli" (guilty pleasure). E insomma, eccoci all'ascolto.
Vile è paragonato, tanto per capire da che parte dell'indie rock siamo, e fatte le dovute differenze, a Springsteen, Mellencamp, Dylan. Quindi, innanzitutto c'è ovviamente del folk, in questo pseudo-indie. Ed è vero che questo suo cantare svogliato, diciamo così, può ricordare vagamente Dylan (prima che iniziasse a biascicare), ma pure un J Mascis con un effetto-ubriaco leggermente meno marcato. Dal punto di vista musicale c'è, nei suoi pezzi, al tempo stesso un'attitudine rock low-fi, nell'uso di una parte delle chitarre, ma è un'attitudine senza dubbio più rilassata, se me lo concedete, rispetto a quella springsteeniana e mellencampiana. Verrebbe quasi da dire che è più grunge, anche se oggi un'etichetta del genere sembra avere poco senso. Forse ha ragione chi lo colloca tra Vic Chesnutt, M Ward e Devendra Banhart.
Ma, dopo tutta questa girandola di nomi che non sono i suoi, veniamo al trentunenne di Philly. Anche se non sembra un capolavoro, questo disco riserva diverse canzoni davvero notevoli. Sto parlando del folk asimmetrico di Peeping Tomboy, delle velleità pop-rock quasi eighties di Society Is My Friend, dell'americana scarnificata della title-track, dell'apertura soffice di Baby's Arms, dei suoni profondi di On Tour, del giro di chitarra acustica che ti si pianta in testa di Jesus Fever, e della stupenda Puppet To The Man, i cui armonici e la cui linea di chitarra elettrica danno vero e proprio godimento.
Non è poco, nell'insieme.
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