Tutto tutto niente niente - di Giulio Manfredonia (2012)
Giudizio sintetico: si può vedere (3/5)
Italia. Il sindaco di un comune della Calabria, Cetto La Qualunque, viene arrestato per abusi vari assieme all'intero consiglio comunale. Quasi contemporaneamente, in Veneto viene arrestato Rodolfo "Olfo" Favaretto, razzista sfruttatore di immigrati, che sta mettendo in piedi un piccolo esercito per una secessione "leggera" a favore dell'Austria; credendo morto uno degli africani che lavorano al nero per lui, per un incidente su un cantiere, lo getta in un corso d'acqua senza rendersi conto che è ancora vivo. Ancora nello stesso periodo, Frengo Stoppato, da tempo emigrato in un imprecisato paese di lingua spagnola per vivere senza problemi sotto effetto della cannabis, viene arrestato per precedenti illeciti, attirato in Italia dalla madre, che lo vuole far beatificare (non si sa bene su quali basi). Ma, per chiudere, tre parlamentari, che si erano opposti a una nuova legge che il governo in carica voleva fortemente, vengono misteriosamente uccisi. Occorre rimpiazzarli: l'inquetante Sottosegretario si prende in carica il "lavoro", ed individua in Cetto, Olfo e Frengo, i tre rimpiazzi, facendoli uscire dal carcere tramite l'immunità, e sistemandoli a Roma, vicini al centro del potere, e pronti per votare qualsiasi decreto che il governo avrà in mente di far passare. Un po' per poca fedeltà, un po' perché troppo intenti a portare avanti i loro interessi personali, i tre combineranno un casino dietro l'altro, e il Sottosegretario deciderà di disfarsene, facendo votare al Parlamento l'autorizzazione ad un nuovo arresto nei loro confronti.
Come in un sequel di Qualunquemente, Albanese ed il fido Manfredonia premono sull'acceleratore della satira politica mascherata da fumetto, e c'è da dire che, seppur non risultando un capolavoro, stavolta il film funziona, a parte le gag e le battute, da agghiacciante premonizione della deriva ormai irreparabile della politica italiana. Ingaggiato un Fabrizio Bentivoglio (il Sottosegretario) travestito da Jean-Paul Gaultier, e omaggiato dalla presenza silente di un Paolo Villaggio (il Presidente del Consiglio) felliniano, Antonio Albanese, oltre al solito Cetto rispolvera il vecchio Frengo-e-stop di Mai dire gol, togliendogli il calcio e (ri)nominandolo Frengo Stoppato, e crea un Olfo Favaretto secessionista veneto nonché nostalgico austro-ungarico, dando sfogo al suo disappunto verso la deriva razzista-leghista, e mettendo in piedi un baraccone, come già detto, satirico-fumettistico-felliniano piuttosto godibile, ma sempre amaro nonostante le risate, che alla fine non sono poi così tante.
Se si pensa alle cocenti delusioni dei film precedenti del pur eccezionale comico di Olginate, travolgente in televisione e in teatro, ma sempre (o quasi) sprecato sul grande schermo, è già qualcosa.
Il titolo fa riferimento al motto di un altro personaggio di Albanese, il filosofo cocainomane.
Nessun commento:
Posta un commento