Life On Mars - di Matthew Graham, Tony Jordan e Ashley Pharoah - 2 stagioni (16 episodi; BBC) - 2006/2007
2006, Manchester. L'Ispettore capo Sam Tyler, fidanzato con la collega Maya Roy, di origini pakistane, indagando su un serial killer che ha appena rapito proprio Maya, viene investito e travolto da un auto in corsa, e finisce in coma. Si sveglia, apparentemente, ma dopo qualche minuto si rende conto di essere nel 1973, sempre a Manchester. Sorprendentemente, è ancora un poliziotto, ed è stato trasferito nella stessa stazione di polizia dove lavorava nel 2006 da Hyde. E' un semplice ispettore, ed è sotto il comando di Gene Hunt, un Ispettore capo misogino, rozzo, prepotente. I metodi investigativi e di interrogatorio, assieme al modo di fare assolutamente non politicamente corretto, sono le cose che Sam stenta a fare suoi. Pian piano si convince di essere in una specie di sogno, e di essere ancora in coma; crede che questa realtà parallela sia come una prova, una metafora del suo affrontare il problema che lo relega nel coma. Essendo stato catapultato trentatré anni prima, ma nel luogo dove è nato e cresciuto, avrà modo di incrociare persone conosciute, e perfino suo padre, sua madre, addirittura la madre della sua fidanzata. Continua ad avere stranissimi incubi, visioni, allucinazioni uditive, crede di sentire persone conosciute che gli parlano mentre lui è in coma nel suo letto d'ospedale; contemporaneamente, tenta di integrarsi nel gruppo investigativo di Hunt, con il quale instaura un rapporto di amore/odio.
Avevo sentito parlare con insistenza e con ammirazione a proposito di questa serie inglese, ripresa prontamente anche per gli USA dalla ABC (con nientemeno che Harvey Keitel nei panni di Gene Hunt, scelta scontata ma indovinata, direi così a naso, senza aver mai visto niente della serie USA); per completezza di informazione, c'è da dire che i diritti sono stati acquistati anche per la Spagna e per l'Italia, e in Spagna è stato già prodotto e mandato in onda La chica de ayer, una stagione di otto episodi (con "ritorno al passato" del protagonista nel 1977, immediatamente post-Franco, per cui doppio impegno) e cancellato, mentre per l'Italia non si sa niente (ma forse è meglio così). Ecco quindi che ho scelto di vederla, anche per voi, vista la relativa snellezza (due stagioni da otto episodi ciascuno, durata episodi 50 minuti) del tutto.
Mi ha colpito immediatamente il pretesto narrativo, terribilmente somigliante a quello di Awake, segno quindi che il creatore Kyle Killen ha solo decontestualizzato il "salto" del protagonista, da salto indietro nel passato a semplice salto in bilico tra due realtà parallele, alla Sliding Doors. Qua, il passaggio all'indietro diventa fulcro per far sbizzarrire sceneggiatori, scenografi, costumisti, e soprattutto, curatori della colonna sonora. La scelta è onesta e sicuramente non sfarzosa: la Manchester del 1973 è grigia, sporca, razzista, omofobica, misogina, scorretta, corrotta. Sam Tyler è una sorta di moralizzatore/innovatore, ma è costantemente preso per pazzo, e lui per primo ha costantemente quell'impressione. Una metafora? Sicuramente. Uno dei difetti che mi sento di imputare a Life On Mars, è quello del non affondare il colpo. Hunt non è mai del tutto cattivo, e Tyler non lo condanna mai abbastanza, del resto, lo humour è una parte importante della serie, e le situazioni comiche si susseguono, così come le battute causate dal salto nel tempo. Però molti argomenti "retrospettivi" sono affrontati con una certa onestà, come detto prima. Soprattutto, complice il fidanzamento di Sam con Maya, il razzismo e le coppie "miste" (anche se in realtà i figli di indiani o pakistani o caraibici sono del tutto inglesi, seppur con colori di pelle variamente ambrati). Per il resto, è un'apoteosi di vetture alla Starsky & Hutch, camice inguardabili con colletti enormi indossati sopra le giacche, pantaloni a zampa di elefante e una colonna sonora bellissima tutta fatta in maniera preponderante di glam rock di origine controllata: Bowie, naturalmente, ma anche The Sweet, Roxy Music, Slade, T. Rex, Elton John e Mott the Hoople, ma anche di buon hard rock quale quello di Uriah Heep, Thin Lizzy, Free, Cream e Blue Oyster Cult.
John Simm (ve lo ricordate interpretate il chitarrista dei Joy Division in 24 Hour Party People?) è un Sam Tyler tormentato, ma sicuramente la sua prestazione è quasi oscurata da quella dell'ottimo Philip Glenister (Gene Hunt), attore soprattutto televisivo.
Mi aspettavo di più, ma è comunque una visione curiosa e divertente.
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