dalla rubrica di Zucconi su repubblica.it copio incollo.
Egregio Zuc
io penso, come tanti, che sia meglio vivere in un paese nel quale chi decide di abortire può farlo e chi non vuole farlo è altrettanto libero. C' è un però, temo. L'altro giorno il mio coinquilino mi ha posto questo quesito: "Tu non accetteresti che si potesse abortire a otto mesi e mezzo (è un esempio) e non voteresti mai una legge che lo permette, perché avresti a tal proposito riserve etiche e morali. Se le mie riserve etiche e morali scattano non a otto mesi e mezzo ma al momemto del concepimento, come puoi pretendere che ti lasci la libertà di abortire? Tu non voteresti la possibilità di abortire a otto mesi e mezzo, io non voterei la possibilità di abortire nemmeno dopo un giorno. E non puoi chiedermi di lasciarti la possibilità di farlo, perché per me è inammissibile, come per te sopprimere un feto che dopo 15 giorni vedrebbe la luce." Sono rimasto a corto di argomenti e non ho saputo difendermi bene.
Saluti
Massimiliano Pani
Ci sarebbero argomenti migliori per opporsi all'aborto di quello usato dal suo coinquilino che è ovviamente assurdo, perché a otto, sette, sei mesi e in rarissimi casi anche prima, la creatura può sopravvivere anche fuori dal grembo di sua madre, cosa che non è possibile fino a quando alcuni organi essenziali alla vita, sì, proprio alla vita, non si sono formati. La maternità, caro Massimiliano, per quello che noi maschi possiamo capire e permetterci di giudicare semplicmente avendo visto donne madri, è una condizione psicologica e morale, prima che fisica. Le femmine della nostra specie, non sono gatte o cavalle, non devono essere considerate "incubatrici" o "fattrici" depositarie di qualcosa di superiore che, nel momento della fecondazione dell'embrione non appartiene più a loro comunque essa sia avvenuta (il figlio di uno stupro non è anch' esso una vita? Il prodotto di un incesto non è anch' esso una vita?). Se una donna non vuole diventare madre, nessun prete, nessun imam, nessun politicante, nessun presidente, nessun marito, nessun giornalista può avere il diritto di costringerla a farlo, soltanto perché è scattato un meccanismo biologico di riproduzione che non è maternità se e fino a quando come tale non è stata accettata. Dunque la obbiezione più chiara all'argomento capzioso del suo vicino è che negare il diritto ad abortire legalmente non significa affatto eliminare gli aborti, perché le donne non sono incubatrici o fattrici, restano esseri pensanti e coscienti con la loro volontà intatta anche quando nutrono un embrione che soltanto grazie a loro può diventare una vita. La retorica della "difesa della vita" a oltranza e per principio assoluto, che diventa invece flessibile e relativa quando si tratta di bombardare una città nemica per un presunto "Bene" superiore, significa soltanto spostare l'interruzione volontaria di gravidanza nella clandestinità, senza salvare la vita del feto nè proteggere quella della donna. Oppure significa riservare l'aborto alle donne che si possono permettere di volare nei Paesi dove è clinicamente praticato. Non impediremmo gli aborti, che sono stati praticati sempre e ovunque dalle donne, di diritto o di rovescio, ma li riporteremmo all'oscenità dell'"aborto per censo", nel quale le poveracce sarebbero costrette ad arrivare al parto, esattamente come gli animali, o ricorrere a pratiche orrende. Mentre le signorine di buona famiglia che avessero commesso "una disattenzione" andrebbero a farsi una vacanzina a Londra, come accadeva una generazione fa. Dio ci protegga da coloro che spacciano per pietà la loro prepotenza.
se la mia compagna rimanesse pregnant adesso, sarei felice di avere un bambino e non ci penserei un minuto.
in generale la penso proprio come zucconi.
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